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  • Venerdì 9 settembre 2022

Le proteste per lo stupro di una bambina, in Kosovo

Cinque uomini e ragazzi hanno violentato un'undicenne che era già stata abusata e avrebbe dovuto essere protetta dai servizi sociali

Una manifestazione contro la violenza su bambine e donne a Pristina, in Kosovo, il 31 agosto 2022 (Collettivo per il pensiero e l'azione femminista)
Una manifestazione contro la violenza su bambine e donne a Pristina, in Kosovo, il 31 agosto 2022 (Collettivo per il pensiero e l'azione femminista)
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Nelle ultime settimane in Kosovo ci sono state varie manifestazioni contro la violenza sulle bambine e sulle donne, dopo che il 27 agosto una bambina di 11 anni è stata stuprata in più momenti da un gruppo di uomini e ragazzi a Pristina, la capitale del paese. Le proteste non sono state rivolte solo contro il contesto sociale e culturale legato a questo crimine, ma anche contro le istituzioni kosovare, in particolare dopo che si è scoperto che la stessa bambina, vittima di traffico di esseri umani, era già stata stuprata da diversi uomini lo scorso 21 giugno, anche in questo caso più volte, e nessuno era stato arrestato all’epoca.

Per gli stupri di agosto sono stati accusati due uomini e tre ragazzi minorenni. Secondo la ricostruzione degli investigatori, due di loro avrebbero inizialmente avvicinato e poi violentato la bambina in un parco del quartiere Arberia; gli altri l’avrebbero poi fatta salire su un’auto mentre la ragazzina era vicina a casa sua e l’avrebbero stuprata di nuovo in un altro luogo.

Dopo i primi articoli di giornale che hanno messo in relazione gli stupri di giugno con quelli di agosto, compiuti in una serie di motel nei dintorni di Pristina, sono stati arrestati anche sei uomini sospettati per quel caso. Saranno detenuti per 30 giorni, così come i cinque arrestati il 27 agosto, in attesa di ulteriori decisioni del tribunale.

Il Centro kosovaro per gli studi di genere (QKSGj), una delle principali organizzazioni femministe del Kosovo, ha accusato lo stato di essere complice delle ultime violenze compiute sulla bambina perché in teoria dallo scorso giugno avrebbe dovuto essere sotto la protezione dei servizi sociali.

Secondo il QKSGj, «questo non è come un incidente isolato, ma come un continuo comportamento statale nei confronti di ragazze e donne che subiscono violenza di genere». E il problema riguarderebbe in modo particolare le bambine e le ragazze perché secondo i dati dell’Istituto di medicina forense del Kosovo l’85 per cento delle vittime di violenza sessuale tra il 2019 e il 2021 erano minorenni.

Prishtina Insight, un sito di notizie in lingua inglese dell’ong di giornalismo investigativo BIRN Kosovo, dice che stando ai documenti dell’indagine l’identificazione e l’arresto degli accusati per gli stupri di giugno sono stati possibili grazie all’analisi del telefono della bambina stuprata: «Ci sono voluti più di due mesi per farla». La polizia ha detto a BIRN che è stata avviata un’indagine interna sul comportamento degli agenti che hanno gestito i due casi. Già dopo le prime proteste, il 31 agosto, il capo della polizia del Kosovo Samedin Mehmeti si era dimesso, «per motivi personali e di coscienza professionale», ha detto il ministro dell’Interno Xhelal Sveçla.

Migliaia di persone hanno partecipato al primo e al secondo corteo di protesta, il 30 e il 31 agosto, e centinaia al terzo, organizzato il 5 settembre da una serie di gruppi attivisti femministi locali, tra cui il Collettivo per il pensiero e l’azione femminista e il QKSGj. Le femministe kosovare stanno portando avanti varie richieste per il governo e le altre istituzioni del paese. Innanzitutto il licenziamento degli agenti di polizia negligenti riguardo agli stupri di giugno e quello del procuratore capo di Pristina, Kujtim Munishi, oltre a un’inchiesta sul lavoro dei servizi di assistenza sociale.

Chiedono anche la creazione di un’unità di polizia specializzata per la gestione dei casi di violenza sessuale e di un programma di sostegno alle vittime di violenza, comprensivo di forme di terapie psicologiche gratuite; la legalizzazione dell’uso di spray irritanti per l’autodifesa; l’introduzione di corsi di educazione sessuale nelle scuole e nelle carceri.

Secondo un rapporto di Eulex, la missione dell’Unione Europea in Kosovo sullo stato di diritto, nel 2021 sono stati denunciati 107 casi di violenza sessuale nel paese, che ha circa 1,9 milioni di abitanti. Nel 2020 erano stati 64, nel 2019 57: sono dati che suggeriscono che sia aumentata la propensione a denunciare le violenze, un aspetto su cui stanno lavorando molti gruppi in difesa dei diritti delle donne. Dato che però le donne che denunciano sono spesso stigmatizzate nei contesti sociali, e che spesso non vengono credute dalle forze di polizia, si pensa che siano ancora molte a non farsi avanti.

Secondo le femministe kosovare c’è poi un problema nel modo in cui i casi di stupro sono gestiti dai tribunali. «Impongono le pene minime, da pochi anni di carcere, o solo multe», ha detto al giornale tedesco Der Standard Viona Krasniqi, della Rete delle donne del Kosovo (RrGK): «Nella maggior parte dei casi vengono invocate circostanze attenuanti, mentre quelle aggravanti sono ignorate». Secondo un’analisi di BIRN, tra il 2015 e il 2020 i tribunali del Kosovo si sono occupati di 521 casi di violenza sessuale: le sentenze che hanno portato a un’incarcerazione sono state 140; in 79 casi i processi sono finiti con una multa o con un’assoluzione. Per altri 189 casi non si è proceduto per la prescrizione.

In aggiunta alle manifestazioni di Pristina, ce ne sono state altre, in solidarietà con le donne kosovare in altre città dei Balcani: a Tirana, in Albania, e a Skopje, in Macedonia del Nord.