La colonizzazione dei conigli in Australia cominciò da soli 24 animali

Secondo un nuovo studio la devastante invasione ecologica fu causata dall’importazione di un singolo colono nel 1859

Una vecchia fotografia fornita dalla Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO), l’ente governativo australiano che si occupa di ricerca scientifica e tecnologica (Wikimedia Commons)
Una vecchia fotografia fornita dalla Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation (CSIRO), l’ente governativo australiano che si occupa di ricerca scientifica e tecnologica (Wikimedia Commons)
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Uno studio pubblicato di recente sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences ha mostrato che la progressiva e disastrosa diffusione dei conigli in Australia non partì dall’insieme di tutti gli animali introdotti nel paese nel corso del tempo, bensì è riconducibile a un solo gruppo di 24 animali che furono importati dall’Inghilterra a metà Ottocento. Grazie allo studio di documenti storici e ad analisi del DNA i ricercatori sembrano aver ricostruito quella che hanno descritto come «una delle invasioni biologiche più emblematiche e devastanti mai osservate nella storia», confermando una teoria che molti scienziati ipotizzavano da tempo.

I conigli sono mammiferi autoctoni dell’Europa. In Australia furono portati per la prima volta nel 1788 con la Prima Flotta, cioè sulle 11 navi partite dall’Inghilterra per fondare nel continente una colonia penale. Nei settant’anni successivi, grazie ad almeno altre 90 importazioni, arrivarono in Australia centinaia di nuovi conigli destinati per lo più all’allevamento. In base alle ricerche degli scienziati però la stragrande maggioranza dei quasi 200 milioni di animali che attualmente vivono sul territorio discende da un gruppo di poco più di venti conigli, che furono fatti arrivare da un colono britannico che voleva dedicarsi alla caccia al coniglio anche in Australia.

Nel 1859 infatti Thomas Austin liberò nella sua tenuta vicino a Geelong, a ovest di Melbourne, 24 conigli selvatici che si era fatto mandare dal sud-ovest dell’Inghilterra per poter riprendere le sue abitudini di caccia. Nel giro di tre anni i conigli – animali molto prolifici – si adattarono e si moltiplicarono fino a raggiungere una popolazione di alcune migliaia di esemplari. Cinquant’anni dopo si erano diffusi in tutto il paese, con effetti disastrosi sui molti habitat che avevano invaso.

I ricercatori che hanno condotto lo studio hanno analizzato il DNA di 187 conigli europei catturati in Australia, Tasmania, Nuova Zelanda, Inghilterra e Francia tra il 1865 e il 2018, scoprendo che il materiale genetico di quelli australiani era simile a quello delle popolazioni di conigli che vivevano nell’area di Baltonsborough, nel sud-ovest dell’Inghilterra, l’area da cui proveniva Austin. Anche i conigli esaminati in Tasmania (lo stato insulare che fa parte dell’Australia) e Nuova Zelanda avevano tratti in comune a quelli selvatici o addomesticati che erano stati importati dall’Inghilterra.

Come ha spiegato ad ABC Mike Letnic, professore dell’Università del New South Wales e co-autore dello studio, una delle ipotesi principali è che il corredo genetico dei conigli importati da Austin sia stato essenziale per l’adattamento al nuovo ambiente. La gran parte dei conigli che erano stati importati in Australia in precedenza infatti era addomesticata ed era rimasta confinata nelle colonie o comunque non era riuscita a diffondersi in maniera significativa: quelli importati nel 1859 invece avevano elementi tipici degli animali selvatici che potrebbero essere stati determinanti per la proliferazione e pertanto anche per il successo della colonizzazione, dice Letnic.

Conigli che si abbeverano durante un tentativo di controllo della popolazione attraverso la diffusione del virus che provoca la mixomatosi. Isola di Wardang, Australia, 1938 (MW Mules, Wikimedia Commons)

Joel Alves, ricercatore dell’Università di Oxford e primo autore dello studio, ha osservato che «questo singolo gruppo di conigli provocò un’invasione biologica devastante, i cui effetti sono visibili ancora oggi». Alves l’ha descritta come la «colonizzazione più rapida mai osservata» di qualsiasi mammifero sia stato introdotto in un nuovo ambiente, definendola «una catastrofe enorme per l’Australia».

In poche decine di anni i conigli invasero molti habitat australiani, mettendo a rischio la sopravvivenza di specie di fauna e flora tipiche dell’Australia. Secondo gli scienziati, nella prima metà del Novecento la popolazione di conigli raggiunse un picco di 10 miliardi di animali, spingendo le autorità australiane a organizzare iniziative di vario tipo per tenere sotto controllo la loro diffusione: dalla costruzione di lunghi recinti per confinarli in aree ristrette, al loro avvelenamento, all’introduzione di un virus che causa una malattia infettiva nei conigli, provocandone in molti casi la morte.

La massiccia presenza dei conigli e le loro proliferazioni straordinarie sono un grande problema ancora oggi, tanto che è stato stimato che i danni provocati ai raccolti da questi animali si aggirino attorno ai 200 milioni di dollari australiani all’anno (l’equivalente di circa 140 milioni di euro). Secondo gli scienziati, dal momento che le invasioni biologiche sono «una minaccia significativa alla biodiversità a livello globale», lo studio mostra come «le azioni di una singola persona o di un piccolo gruppo di persone possano avere un impatto devastante sull’ambiente».

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