Un’azienda texana vuole de-estinguere il tilacino

Cioè il marsupiale carnivoro che viveva in Australia fino all'Ottocento: molti scienziati pensano che non sia una buona idea

Un tilacino nel 1930 circa (Topical Press Agency/Hulton Archive/Getty Images)
Un tilacino nel 1930 circa (Topical Press Agency/Hulton Archive/Getty Images)
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Fino all’Ottocento in Australia c’erano anche marsupiali predatori: i tilacini, o “lupi della Tasmania”, animali simili a cani con una serie di strisce nere sul dorso e sulla coda. Per decenni furono cacciati dai coloni di origine europea perché ritenuti dannosi per gli allevamenti e si estinsero ufficialmente nel 1936, alla morte dell’ultimo esemplare in uno zoo.

Nei prossimi decenni potrebbero in un qualche modo tornare perché un’azienda texana, in collaborazione con l’Università di Melbourne, investirà 10 milioni di dollari per cercare di de-estinguere la specie.

Il concetto di “de-estinzione” può sembrare fantascientifico, ma c’è una parte della comunità scientifica che lo prende sul serio. Non bisogna pensare a Jurassic Park e ai dinosauri – si sono estinti troppo tempo fa perché si possa anche solo progettare di farlo – ma a specie animali scomparse da relativamente poco e di cui abbiamo buone riserve di DNA e informazioni. E non bisogna pensare che de-estinguere una specie significhi ricrearla tale e quale, bensì ottenere animali nuovi che le assomiglino il più possibile.

Per farlo ci sono tre possibili metodi: la clonazione, che però ha molti limiti; il breeding back, cioè l’allevamento di animali tuttora in circolazione mirato a selezionare le caratteristiche che hanno in comune con loro “parenti” estinti; e la clonazione interspecie, che prevede di modificare il DNA di una specie esistente per farlo assomigliare a quello di una specie estinta già vicina e di utilizzare femmine della prima specie come madri surrogate di nuovi esemplari di quella da de-estinguere.

Nel mondo ci sono vari progetti di de-estinzione. Uno di quelli più avanzati riguarda gli uri, i grandi bovini selvatici che un tempo vivevano in Europa e in Asia e da cui discendono le razze bovine domesticate: a partire dal 2008 due diversi progetti nei Paesi Bassi e in Germania stanno cercando di ricrearli attraverso il breeding back, partendo dalle razze contemporanee che mantengono caratteristiche che gli uri possedevano, come la chianina toscana e la podolica dell’Italia meridionale.

L’anno scorso l’azienda texana Colossal Biosciences, fondata dal genetista dell’Università di Harvard George Church e dall’imprenditore del settore tecnologico Ben Lamm, aveva già annunciato di voler ricorrere invece alla clonazione interspecie per de-estinguere i mammut, e la settimana scorsa ha detto di voler fare lo stesso coi tilacini.

Più nello specifico Colossal Biosciences progetta di sequenziare i genomi di tilacini che sono stati conservati (è già stato fatto per il 96 per cento, ma il restante 4 è il più complicato da sequenziare) e di fare lo stesso con dei genomi di topi marsupiali dalla coda grassa (Sminthopsis crassicaudata), gli animali esistenti più simili ai tilacini, benché molto diversi alla vista.

Poi confronterà i genomi e modificherà quello dei topi marsupiali per farlo assomigliare il più possibile a quelli dei tilacini, e inserirà il DNA modificato in cellule di topo marsupiale con l’obiettivo di ottenere un embrione di un animale vicino al tilacino. Se tutto dovesse funzionare, l’embrione sarà fatto crescere grazie a una femmina di topo marsupiale, almeno inizialmente, e poi in un marsupio artificiale, che dovrà essere creato.

Andrew Pask dell’Università di Melbourne ha detto a Scientific American che con la collaborazione di Colossal Biosciences e delle sue risorse finanziarie è ragionevole aspettarsi che il primo «essere tilacinico de-estinto» potrà esistere nel giro di un decennio e che sarà una creatura «per il 90 per cento uguale a un tilacino». L’obiettivo finale sarebbe di arrivare a un animale identico a quello estinto per il 99,9 per cento, di allevarlo e poi liberarlo in natura per restituire agli ecosistemi selvaggi dell’Australia il predatore che manca da decenni.

Per quanto basati su presupposti e tecniche scientifiche, i progetti di de-estinzione sono generalmente molto criticati da un gran numero di biologi ed ecologi, e anche questo ha già ricevuto delle contestazioni. Ad esempio Jeremy Austin, biologo dell’Australian Centre for Ancient DNA, ha detto al Sydney Morning Herald che il progetto è «scienza delle fiabe»: «La de-estinzione dei tilacini o dei mammut riguarda soprattutto attirare l’attenzione dei media, meno fare della scienza seria».

Le critiche si dividono tra quelle più concrete, sui dettagli del piano di Colossal Biosciences, e quelle di carattere etico ed ecologico.

Alla prima categoria appartiene l’opinione di Kris Helgen dell’Australia Museum, che nel 2009 aveva lavorato al sequenziamento di un genoma di tilacino: ritiene che sia impossibile modificare il DNA dei topi marsupiali al punto da farli somigliare a quello dei tilacini perché le due specie sono troppo lontane, separate da 40 milioni di anni di evoluzione. Ha detto che trasformare un topo marsupiale in un tilacino è difficile quanto modificare il genoma di un cane per ottenere un animale simile a un gatto – riguardo all’altro progetto di Colossal Biosciences: i mammut e gli elefanti sono molto più strettamente “imparentati”.

Per quanto riguarda gli aspetti etici ed ecologici, le critiche principali sono due e riguardano tutti i progetti di de-estinzione: reintrodurre un animale in un ambiente che da tempo ne fa a meno potrebbe creare degli squilibri imprevedibili, e il denaro investito in progetti del genere potrebbe essere più sensatamente utilizzato per preservare le specie che esistono tuttora.

Pask però sostiene che grazie al progetto di de-estinzione e alla sua capacità di attirare l’attenzione ci siano molti più fondi per proteggere animali come i koala.

Nel 2014 Axel Moehrenschlager, direttore dello zoo di Calgary, in Canada, e Phil Seddon, professore dell’Università di Otago, in Nuova Zelanda, avevano creato un test di dieci domande a cui “sottoporre” le specie estinte per capire se possa avere un senso provare a de-estinguerle. Le domande riguardano diversi aspetti, dalle cause dell’estinzione (se non sappiamo perché un certo animale non esiste più, non sapremmo come evitare una sua nuova scomparsa) alla presenza di habitat necessari per far prosperare una specie, passando ovviamente dai potenziali rischi di una reintroduzione per il resto dell’ambiente naturale.

Infatti ogni ecosistema si regge sull’equilibrio della scala alimentare, per cui il numero delle prede e dei predatori deve essere nelle giuste proporzioni per consentire a tutti gli animali di prosperare.

Come esempio Moehrenschlager e Seddon avevano messo alla prova alcuni animali estinti, tra cui il tilacino: la specie aveva passato il test perché in alcune delle zone che un tempo abitava esistono ancora ambienti adatti a ospitarla e in questi ambienti la sua presenza non dovrebbe stravolgere gli attuali equilibri tra le altre specie.

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