Perché la legge elettorale “favorisce le alleanze”

Con il Rosatellum per i partiti è difficile vincere da soli nei collegi uninominali, motivo per cui si vedranno coalizioni pittoresche

(Roberto Monaldo / LaPresse)
(Roberto Monaldo / LaPresse)
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Il “Rosatellum”, la legge elettorale con cui si voterà alle politiche del 25 settembre, assegna i 600 seggi del prossimo parlamento – 400 alla Camera e 200 al Senato, un terzo in meno di quelli attuali dopo il referendum – in parte con un sistema proporzionale, e in parte con un sistema maggioritario. Significa, in sostanza, che una parte sarà distribuita tra i partiti sulla base della percentuale che riceveranno a livello nazionale per la Camera e regionale per il Senato; e che un’altra sarà assegnata sulla base di chi vincerà in determinati collegi, in cui il candidato o la candidata che prende un voto in più ottiene il seggio.

La parte di seggi assegnata con il proporzionale è quella maggiore: 245 alla Camera e 122 al Senato, cioè 367 su 600 totali. Ma quelli assegnati con il sistema maggioritario sono comunque 147 alla Camera e 74 al Senato, in totale 221 (i restanti 12 parlamentari sono eletti nelle circoscrizioni estere): decideranno probabilmente quale sarà, se ci sarà, la coalizione che otterrà la maggioranza in parlamento.

È per come funziona la parte maggioritaria della legge, quella dei “collegi uninominali”, che in questi giorni si dice spesso che il Rosatellum “favorisce le alleanze”. Ed è per questo che nell’attuale fase della campagna elettorale i partiti sono perlopiù intenti a discutere e trattare di come formare le alleanze, che saranno quindi piuttosto ampie e in certi casi prevederanno convivenze difficili e anche un po’ pittoresche.

La spiegazione della parte proporzionale è facile. I 367 seggi sono distribuiti proporzionalmente tra tutti i partiti che hanno superato certe soglie a livello nazionale o regionale, e sono assegnati ai candidati delle liste “bloccate”, cioè decise dalle segreterie di partito. Il Rosatellum prevede una soglia per entrare in Parlamento uguale per la Camera e il Senato, del 3%, peraltro piuttosto bassa e quindi favorevole a una maggiore rappresentazione dei partiti più piccoli (per il Senato ci sono alcune eccezioni su base regionale).

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Un collegio è semplicemente una porzione di territorio italiano. Uninominale significa che in quel collegio viene eletto un solo parlamentare. I collegi sono diversi per Camera e Senato – i secondi sono più grandi, perché sono circa la metà – e ovviamente si sovrappongono. Ogni partito che si presenta da solo e ogni coalizione presentano per ciascun collegio un proprio candidato o una propria candidata: se prende un voto in più degli avversari, viene eletto a rappresentare quel collegio.

È evidente che in un sistema in cui chi vince porta a casa tutto siano favoriti i partiti o le coalizioni più note e conosciute. Chi andrà a votare infatti troverà sulla scheda vari riquadri, ciascuno per ogni partito autonomo o coalizione, sopra il quale sarà segnato il candidato di quel partito o quella coalizione per il collegio (ci sarà una scheda per la Camera e una per il Senato). Potrà apporre una croce sul simbolo del partito, sia che corra da solo sia che faccia parte di una coalizione, e il suo voto andrà al partito per la parte proporzionale, e al candidato sostenuto dal partito all’uninominale. Viceversa, potrà mettere una croce solo sul nome del candidato, e il suo voto per il proporzionale sarà distribuito tra i partiti che lo sostengono.

Non ci sarà il voto disgiunto: non si potrà cioè votare un partito per la parte proporzionale, e per l’uninominale un candidato sostenuto da un’altra coalizione.

È questo in sostanza il motivo per cui sarà sconveniente per un partito presentarsi da solo. Facciamo l’esempio del Movimento 5 Stelle: i sondaggi dicono che ha un consenso intorno al 10%. Con un sistema proporzionale puro, otterrebbe più o meno una sessantina di parlamentari. Ma con il Rosatellum sono solo 367 i seggi messi in palio col proporzionale, e perciò i parlamentari del M5S sarebbero meno di 40. Gli altri dovrebbe vincere nei collegi uninominali, ma il 10% dei voti non sarà probabilmente sufficiente in nessun collegio. Il M5S potrebbe puntare a vincere in qualche collegio presentando candidate o candidati particolarmente forti e popolari sul territorio, ottenendo un risultato eccezionale in quel determinato collegio: ma non è un’operazione facilmente replicabile in tutta Italia.

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Il punto in sostanza è che è più facile che un elettore o un’elettrice scelga di votare un partito, assegnando di conseguenza il suo voto alla sua coalizione e al candidato collegato, piuttosto che viceversa. E quindi la coalizione della destra, che i sondaggi stimano sopra al 40%, è quella che si prevede vincerà in più collegi.

Per un partito più piccolo del M5S, come per esempio Azione di Carlo Calenda, il Rosatellum è una legge ancora più sfavorevole, almeno in teoria. I sondaggi lo danno infatti tra il 4% e il 6%, quindi se si presentasse da solo sarebbe sopra la soglia di sbarramento: otterrebbe tra i 15 e i 20 parlamentari circa. Ma nei collegi uninominali farebbe molta fatica: potrebbe forse vincere Calenda stesso se si candidasse nel territorio in cui è più forte, Roma, ma sarebbe comunque una sorpresa perché vorrebbe dire che Azione avrebbe battuto in quel collegio sia la destra sia il centrosinistra.

È per questo che, a meno di rinunciare completamente ai collegi uninominali, i partiti più piccoli sono incentivati ad allearsi, in modo da ottenere i seggi assegnati con la parte proporzionale e competendo anche in qualche collegio. In cambio del proprio apporto elettorale, infatti, i partiti più piccoli negoziano con le coalizioni la possibilità di mettere i propri candidati anche in alcuni collegi considerati “blindati”, cioè in cui la coalizione è sicura di vincere. Azione, che dovrebbe decidere in questi giorni se allearsi col centrosinistra, chiederà eventualmente per sé un po’ di queste candidature, e bisognerà vedere quante ne otterrà.

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Sabato, per esempio, il Corriere della Sera ha scritto che il ministro degli Esteri Luigi Di Maio potrebbe ottenere la candidatura per sé nel collegio di Modena, in cui il centrosinistra ha storicamente sempre vinto, in cambio della propria alleanza, con cui porterebbe al centrosinistra i voti del suo partito Impegno Civico. Domenica Di Maio ha smentito questa voce.

Per portare effettivamente i propri voti alla coalizione, però, il partitino in questione deve superare almeno l’1% delle preferenze: in caso contrario, i suoi voti vanno persi. Significa che per le coalizioni imbarcare forze troppo piccole è un rischio.