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  • Venerdì 29 luglio 2022

Rebekah Vardy ha perso il processo “Wagatha Christie”

Non solo Coleen Rooney non l'ha diffamata, ha stabilito il tribunale di Londra che si è occupato del seguitissimo caso, ma aveva ragione ad accusarla

Rebekah Vardy, moglie del calciatore del Leicester City Jamie Vardy (AP Photo/Alastair Grant, File)
Rebekah Vardy, moglie del calciatore del Leicester City Jamie Vardy (AP Photo/Alastair Grant, File)
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Venerdì Rebekah Vardy, moglie del calciatore del Leicester Jamie Vardy, ha perso la causa per diffamazione che aveva intentato quasi due anni fa contro Coleen Rooney, sposata con l’ex attaccante del Manchester United Wayne Rooney. Il processo, seguitissimo dai giornali scandalistici inglesi, riguardava una vicenda iniziata nel 2019, quando Rooney accusò Vardy di aver fornito informazioni riservate sul suo conto al tabloid Sun, accuse da lei sempre smentite e anzi ritenute, per l’appunto, diffamatorie.

Fin dagli anni Duemila i tabloid britannici hanno creato una sorta di genere letterario attorno alle notizie e ai pettegolezzi sulle compagne dei calciatori, che chiamano – con un’accezione giudicata da molti sessista – WAGs (“wives and girlfriend”, mogli e fidanzate). Per questo il processo era stato soprannominato “Wagatha Christie”, unione di WAGs e del nome della celebre scrittrice di gialli.

La sua conclusione è stata all’altezza delle aspettative costruite nel tempo dai tabloid: di fatto, Rooney non solo non è stata riconosciuta colpevole di aver diffamato Vardy, ma l’articolata e improbabile versione di quest’ultima su come andarono le cose tra le due è stata smontata e ritenuta non credibile dal tribunale. È «una plateale sconfitta giudiziaria che la lascia con notevoli spese legali, e la reputazione in brandelli» secondo il Guardian.

Vardy aveva citato in giudizio Rooney nel luglio del 2020, sostenendo che l’avesse diffamata quando l’aveva accusata di aver diffuso informazioni private sul suo conto al Sun. A rendere particolarmente interessante la vicenda per i media britannici, oltre alla notorietà delle persone coinvolte e dei loro compagni, era il fatto che Rooney avesse svolto una specie di indagine privata per incastrare Vardy (e quindi il nome “Wagatha Christie”).

Le due si conoscevano, anche se non erano grandi amiche, e quando Rooney iniziò a vedere dettagli sulla sua vita privata pubblicati sul Sun capì che arrivavano da una delle poche e selezionate persone che potevano vedere le Storie che pubblicava sul suo account privato di Instagram. Sospettando di Vardy, modificò le impostazioni del social in modo che solo lei potesse vedere quello che pubblicava: quando anche il contenuto di quelle Storie finì sul Sun, capì che a passare le informazioni era stata lei.

Il processo era iniziato lo scorso 9 maggio e si è concluso oggi, quando la giudice del tribunale di Londra Karen Steyn ha stabilito che le prove fornite da Vardy a sostegno della sua causa sono poco credibili. Non solo: secondo la giudice, ci sono ragionevoli elementi per ritenere plausibile che Vardy, insieme alla sua agente Caroline Watt, abbia effettivamente diffuso alcune informazioni riservate riguardanti Rooney al Sun. La giudice ha concluso che Vardy e Watt, ritenuta la probabile fonte diretta del Sun, hanno con tutta probabilità cancellato alcune delle prove che dimostravano la diffusione delle informazioni.

La giudice si riferiva alle chat di WhatsApp che Vardy si era scambiata con Watt. Quando la difesa di Rooney aveva chiesto di avere accesso a questi messaggi, Watt aveva detto che il telefono era “caduto” in mare e l’esperto di informatica che era stato contattato da Vardy per esaminare le sue conversazioni su WhatsApp aveva detto di aver perso le password per accedervi. Secondo la giudice Steyn «è probabile che la signora Vardy abbia deliberatamente cancellato le proprie chat di WhatsApp e che la signora Watt abbia deliberatamente buttato il proprio telefono in mare», con l’obiettivo di rendere inaccessibili le informazioni al suo interno.