L’equilibrio tra informare sui rischi del vaiolo delle scimmie ed evitare discriminazioni

È importante comunicare che sta interessando soprattutto uomini gay e bisessuali, evitando però di creare uno stigma sociale

(Jeenah Moon/Getty Images)
(Jeenah Moon/Getty Images)
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Nel fine settimana l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha dichiarato il vaiolo delle scimmie un’emergenza sanitaria internazionale, specificando che la maggior parte dei casi finora ha riguardato uomini che fanno sesso con altri uomini (MSM). Sui social network molte persone hanno criticato la specificazione, accusando l’OMS di omofobia e di voler discriminare una parte della comunità LGBTQ+, ma numerosi osservatori hanno fatto notare che, per quanto delicato, il tema del maggior numero di contagi tra uomini gay e bisessuali non debba essere nascosto o lasciato in secondo piano, in primo luogo per tutelare proprio la salute di chi è più esposto ai rischi di contagio.

Una ricerca da poco pubblicata sul New England Journal of Medicine, tra le riviste scientifiche più importanti al mondo, ha segnalato che il 98 per cento dei casi di vaiolo delle scimmie rilevati all’incirca dalla primavera di quest’anno ha interessato uomini gay o bisessuali. Solo negli Stati Uniti, secondo l’OMS il 99 per cento dei casi sono finora riconducibili a contagi tra MSM, che è la sigla utilizzata in ambito medico per includere tutti gli uomini che fanno sesso con altri uomini indipendentemente dal loro orientamento sessuale, e quindi anche quelli che non si definiscono gay o bisessuali. Se segnalata in maniera opportuna, questa circostanza può aiutare molte persone a evitare di essere contagiate, senza che avvengano particolari stigmatizzazioni.

Conoscendo la porzione di popolazione più esposta a una malattia, i sistemi sanitari possono adottare politiche di comunicazione e di azione pensate direttamente per le persone più a rischio. Nel caso del vaiolo delle scimmie ciò si traduce nel comunicare le pratiche da seguire per ridurre il rischio di contagio, evitando per esempio contatti stretti quando si sviluppano sintomi che facciano pensare a un’infezione, oppure incentivare le vaccinazioni tra le persone maggiormente interessate dal problema.

La stessa OMS ha chiarito che il vaiolo delle scimmie mette a rischio la popolazione in generale, visto che le vie di contagio sembrano essere molteplici compresa quella per contatto con la pelle e oggetti contaminati. I virus non fanno distinzione tra genere, età e orientamento sessuale, semplicemente prosperano in alcune specifiche condizioni e di conseguenza sono più presenti o hanno maggiori effetti in alcuni individui. L’attuale coronavirus, per esempio, non ha certo nulla contro le persone più anziane, ma in queste ha più possibilità di diffondersi e causare infezioni che possono comportare forme gravi di COVID-19, talvolta letali.

Nel caso del vaiolo delle scimmie, un’ipotesi è che abbia iniziato a circolare per caso in gruppo di maschi che fanno sesso con altri maschi, rimanendo poi nella comunità. A oggi, la malattia non è inoltre classificata come sessualmente trasmissibile.

Intorno alle malattie che riguardano soprattutto alcune categorie di persone c’è una comprensibile attenzione, legata proprio al timore che possano essere stigmatizzate. Le preoccupazioni derivano soprattutto da come furono inizialmente gestite le informazioni intorno all’AIDS, malattia la cui diffusione tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta era stata riscontrata soprattutto tra gli omosessuali. Su giornali e riviste mediche all’epoca si parlò di «cancro dei gay» e «peste dei gay» o ancora di «immunodeficienza gay-correlata», prima che emergesse l’ipotesi di una causa virale a trasmissione sessuale, che avrebbe poi portato alla scoperta del virus HIV tra il 1983 e il 1984.

Intorno all’AIDS si creò un enorme stigma nei confronti della comunità LGBTQ+ di cui ancora oggi sono tangibili le conseguenze, e che ebbe risvolti importanti sulla gestione stessa dell’epidemia, oltre che sulle vite delle persone coinvolte. Temendo di essere giudicate per il proprio orientamento sessuale, in un periodo in cui le discriminazioni erano ancora più forti di oggi, molte persone preferivano non sottoporsi ai test per riscontrare l’eventuale presenza del virus, o evitavano consulti medici per trattare i loro sintomi.

Nei decenni successivi sarebbero stati pubblicati numerosi studi sulla gestione della salute pubblica e della comunicazione della scienza all’inizio dell’epidemia di HIV. Varie ricerche hanno segnalato l’importanza di informare tempestivamente e con trasparenza la popolazione, ricordando che le conoscenze scientifiche che si hanno in un dato momento potrebbero cambiare in futuro. È inoltre importante aiutare le persone a mettere i rischi in prospettiva, come nel caso del vaiolo delle scimmie sul decorso della malattia positivo nella maggior parte dei casi.

Seguendo queste pratiche di comunicazione dei rischi si possono diffondere informazioni importanti, al tempo stesso evitando la stigmatizzazione di particolari minoranze, come ha ricordato di recente il giornalista Owen Jones in un editoriale sul Guardian:

È chiaro che i maschi che fanno sesso con altri maschi sono quasi esclusivamente gli unici a rischio. Perché? Perché la malattia si è diffusa nei gruppi di maschi a cui piace fare sesso con più partner. Ed è qui che diventa importante evitare la stigmatizzazione. Non c’è nulla di male nel trovare piacere dal sesso con molte persone, compresi partner occasionali. Il sesso è una bella cosa, uno dei più grandi piaceri – per molti di noi, almeno – delle nostre spesso stressanti esistenze.
Non a tutti gli omosessuali e bisessuali piace cercare rapporti intimi con sconosciuti per il proprio piacere sessuale, ma c’è comunque una porzione significante a cui piace. Nel momento in cui c’è un esplicito consenso, i confini emozionali sono rispettati e si prendono le giuste precauzioni, l’unico problema che rimane è l’avversione senza motivo per i maschi a cui piace fare sesso tra loro.

L’Istituto superiore di sanità (ISS), che in Italia sta tenendo sotto controllo l’andamento dei casi di vaiolo delle scimmie, ha di recente aggiornato le proprie valutazioni ricordando che:

Nell’epidemia attuale nei paesi non endemici la maggior parte dei casi è stata identificata nei maschi tra 18 e 50 anni, principalmente in MSM (men who have sex with men). Particolari pratiche sessuali hanno facilitato la trasmissione del vaiolo delle scimmie tra gruppi MSM con partner multipli, tuttavia potenzialmente sono possibili casi di trasmissione in altri gruppi di popolazione. In base alle evidenze riportate la probabilità che il vaiolo delle scimmie si diffonda in network di persone che hanno partner sessuali multipli è considerata alta, mentre quella di diffusione nella popolazione generale è molto bassa.

Secondo il bollettino più recente prodotto dal ministero della Salute, e aggiornato al 26 luglio, i casi finora rilevati in Italia sono stati 426 con un’età mediana di 37 anni: 424 casi hanno riguardato maschi.

Il vaiolo delle scimmie è una malattia infettiva causata dal virus MPXV (Monkeypox virus) e non va confusa con il ben più rischioso vaiolo, malattia dichiarata eradicata nel 1980 dall’OMS in seguito a una massiccia campagna di vaccinazione condotta tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Settanta.

In generale, il vaiolo delle scimmie è diffuso nei primati non umani (come suggerisce il nome) e in alcune specie di piccoli roditori, soprattutto in Africa. L’infezione si trasmette da questi animali agli esseri umani attraverso la saliva e altri fluidi, oppure in seguito a un contatto diretto. Una persona infetta può in alcune circostanze contagiarne un’altra, per esempio attraverso gocce di saliva, contatti con ferite o liquidi biologici infetti, ma le vie di trasmissione umano-umano non sono ancora completamente chiare.

Nel giro di pochi giorni chi contrae il virus sviluppa sintomi tipici delle infezioni virali come febbre, dolori muscolari, mal di testa, spossatezza e ingrossamento dei linfonodi. La malattia causa poi la comparsa di vescicole e pustole sul viso e in seguito sulle mani e sui piedi, che possono rivelarsi molto pruriginose e con la formazione di croste.

Il vaiolo delle scimmie ha nella maggior parte dei casi un decorso positivo. I sintomi si attenuano e scompaiono in un paio di settimane, senza la necessità di dover seguire particolari terapie, se non quelle per ridurre alcuni fastidi dovuti ai sintomi. In alcuni casi vengono utilizzati farmaci antivirali per rallentare la replicazione del virus all’interno dell’organismo, in modo da consentire al sistema immunitario di contrastare più facilmente l’infezione.