Cosa è successo alle pubblicità durante la pandemia

Soprattutto nei mesi del lockdown, le aziende hanno adattato i loro spot alle nuove abitudini dei consumatori

di Ludovica Doppietti

(Sean Gallup/Getty Images)
(Sean Gallup/Getty Images)
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Nei primi sei mesi del 2020, per via delle misure imposte per limitare la diffusione del coronavirus, gli investimenti pubblicitari sono calati in media del 36 per cento in tutto il mondo e anche i contenuti pubblicitari sono cambiati notevolmente. Molte aziende hanno deciso di adattare i contenuti delle loro pubblicità al nuovo contesto in cui milioni di persone stavano vivendo a causa dei lockdown e delle regole di distanziamento fisico. Ne sono risultate pubblicità molto diverse rispetto al passato, nelle quali si cercava di non ignorare la pandemia e gli enormi effetti che stava avendo sulla vita delle persone.

Nel 2020 in Italia si è speso in pubblicità il 10,2% in meno rispetto al 2019, secondo i dati dell’agenzia di ricerca Nielsen. Nei mesi di marzo, aprile e maggio, a causa del lockdown, il calo degli investimenti è stato più accentuato, con il primo semestre del 2020 che si è concluso con un calo del 26,8% rispetto al primo semestre del 2019.

Investimenti pubblicitari nel 2020, rispetto a quelli nel 2019 – Fonte: elaborazioni Confindustria Radio Televisioni (CRTV) su dati Nielsen

Ancora a inizio marzo 2020, quando anche in Europa si è iniziato a parlare di lockdown, gli spot pubblicitari mostravano scene di aerei affollati, feste, supermercati e bar pieni di persone: situazioni che proprio allora iniziavano a essere percepite come pericolose. In quel periodo, molte aziende hanno ritenuto che mantenere nelle loro pubblicità rappresentazioni di situazioni sociali di fatto sparite dalle vite delle persone avrebbe avuto un effetto straniante, e avrebbe finito per allontanare i consumatori dai loro prodotti.

(Spot pubblicitario di Crodino uscito all’inizio di marzo 2020 e poi ritirato. Nel video, il gorilla degli spot di Crodino sta tenendo un discorso ad una conferenza in cui invita a fare aperitivi con gli amici e ad abbracciarsi. Il discorso è ascoltato da tantissime persone che si affollano davanti ai televisori nelle case, nei bar e in strada, e che alla fine della conferenza si abbracciano rispondendo all’invito del gorilla)

Le pubblicità che hanno cominciato a circolare durante il lockdown rispondevano alle nuove necessità dei consumatori, e comunicavano sicurezza e senso di appartenenza. Nello spot pubblicitario di Parmigiano Reggiano di marzo 2020, per esempio, il Presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano si rivolgeva ai consumatori, e diceva che i casari non avrebbero lasciato i caseifici, ma avrebbero rifornito i supermercati italiani tutti i giorni. Il riferimento era al fatto che a inizio marzo c’era il diffuso timore che potessero verificarsi carenze di generi alimentari a causa del lockdown.

Nelle pubblicità uscite durante il periodo della pandemia difficilmente si trovavano degli espliciti riferimenti al coronavirus. Uno studio di Daniela Pietrini pubblicato sul sito di Treccani ha analizzato 62 spot pubblicitari usciti nella prima metà del 2020 per osservare i cambiamenti del linguaggio pubblicitario dovuti alla diffusione del coronavirus. Nei 62 spot osservati le parole COVID-19 e coronavirus non ricorrono che 3 volte: la maggior parte degli spot si riferiva alla pandemia alludendo ad una “situazione difficile” o a “momenti così”.

(Spot pubblicitario Ikea di maggio 2020. Lo spot racconta tutte le attività che si possono svolgere a casa, senza mai parlare esplicitamente del lockdown)

Anche senza che ci fossero allusioni esplicite alla pandemia, il fatto che siano entrati nel discorso pubblicitario riferimenti a una realtà dolorosa ha costituito un ribaltamento delle tradizionali caratteristiche degli spot pubblicitari. Di solito le rappresentazioni pubblicitarie sono ambientate in un mondo ideale dove mancano sofferenza e malattia: ma, data la difficoltà a marzo 2020 di ignorare la nuova quotidianità degli italiani, le aziende hanno scelto di non ambientare i loro spot nel solito mondo pubblicitario privo di brutture. «Per mantenere una relazione positiva con i consumatori e rafforzare la visibilità del marchio in maniera coerente con il contesto della pandemia in atto» spiega lo studio di Pietrini, «le aziende sono costrette a modificare le proprie strategie di marketing addentrandosi in un terreno finora inesplorato di rappresentazione della sofferenza, con tutti i rischi che l’inevitabile allontanamento dalla retorica consueta della comunicazione commerciale comporta».

Il ricorso a questo nuovo linguaggio, tuttavia, ha prodotto una graduale omogeneizzazione dei contenuti pubblicati nei primi mesi di pandemia, come mostra efficacemente un video pubblicato nell’aprile 2020 dal canale YouTube Microsoft Sam e intitolato Tutti gli spot sul Covid-19 sono esattamente uguali. È un fenomeno che è stato osservato anche dalla società italiana di consulenza Reply che in un report pubblicato a giugno 2020 ha analizzato 52 campagne pubblicitarie di quell’anno, per osservare come i contenuti pubblicitari in quel periodo fossero cambiati a causa della pandemia. Il report mostra che in un primo momento le campagne pubblicitarie sono state efficaci nel suscitare l’interesse dei consumatori, ma che con il tempo gli spot dei diversi marchi sono diventati meno originali e sempre più simili, con un effetto negativo sull’apprezzamento da parte dei consumatori.

Questo e gli altri articoli della sezione Tra cultura e pandemia sono un progetto del workshop di giornalismo 2022 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.