Il grande scandalo in uno degli eventi più importanti del mondo dell’arte

La direttrice di Documenta, che si tiene ogni cinque anni in Germania, si è dimessa dopo settimane di accuse di antisemitismo

di Marta Papini

(Thomas Lohnes/Getty Images)
(Thomas Lohnes/Getty Images)
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La quindicesima edizione di Documenta, una delle più importanti mostre di arte contemporanea al mondo che si tiene ogni cinque anni a Kassel, in Germania, è stata protagonista di grandi polemiche pochi giorni dopo l’apertura al pubblico, a causa di un’opera contenente una rappresentazione giudicata antisemita. Dopo averla inizialmente coperta, quattro giorni dopo l’apertura – avvenuta il 18 giugno scorso – gli organizzatori avevano rimosso l’opera contestata da Friedrichsplatz, una delle piazze pubbliche principali di Kassel, e a distanza di un mese la direttrice generale Sabine Schormann si è dimessa.

Intitolata People’s Justice, l’opera è uno stendardo di otto metri per dodici disegnato nel 2002 da Taring Padi, un gruppo di artisti indonesiani. Ritrae la vita politica indonesiana come una grande battaglia tra oppressori – rappresentati da un esercito guidato da Suharto, dittatore dell’Indonesia dal 1967 al 1998 – e popolo oppresso. Tra le file degli oppressori compaiono anche alcune caricature, tra cui quella di un personaggio ebreo – con cappello nero e peyot, i caratteristici riccioli davanti alle orecchie – raffigurato con occhi iniettati di sangue, denti aguzzi e il simbolo delle SS sul cappello.

Poco lontano, insieme a una serie di figure caratterizzate come membri della CIA, del MI5 e del KGB, tutti servizi segreti stranieri accusati di avere aiutato il regime di Suharto, è rappresentato un personaggio in divisa col volto di un maiale, un fazzoletto rosso al collo con al centro una stella di David e sul casco la scritta Mossad (i servizi segreti israeliani).

Un dettaglio dello stendardo contestato. (Thomas Lohnes/Getty Images)

Quando le immagini dei due personaggi sono state diffuse sui social media, su Documenta erano arrivate molte accuse e critiche. La ministra della cultura tedesca Claudia Roth aveva diffuso una dichiarazione nella quale sosteneva che a parer suo quello proposto da People’s Justice fosse un immaginario antisemita, sostenendo che si fosse superato il limite della libertà artistica, mentre diverse associazioni ebraiche e una parte della politica tedesca avevano chiesto da subito le dimissioni di Schormann.

La prima reazione degli organizzatori e degli autori era stata di coprire con un telo nero l’opera criticata, apponendo un testo esplicativo su quanto accaduto. In questo primo comunicato Taring Padi aveva affermato il proprio rammarico per il fatto che i dettagli dell’opera fossero stati equivocati rispetto al proposito originario e, scusandosi per il dolore arrecato, aveva comunicato di aver deciso di coprirlo e di farlo diventare così “un monumento all’impossibilità di dialogo in questo momento”.

La dichiarazione si chiudeva con un commento in cui Schormann affermava che il suo ruolo non fosse, e non potesse essere, quello di controllare preventivamente il contenuto delle opere esposte.

Sabine Schormann, ex direttrice di Documenta. (AP Photo/Jens Meyer)

A distanza di un giorno un secondo comunicato firmato da Schormann, in accordo con la direzione artistica e con gli artisti, aveva annunciato il ritiro dell’opera dalla mostra. In un terzo comunicato Schormann aveva poi comunicato ulteriori azioni riparative in collaborazione con il centro educativo Anne Frank di Francoforte, sostenendo di «non essere responsabile del programma artistico, ma di essere responsabile per aver dato alla direzione artistica la libertà tecnica di attuarlo».

La direzione artistica di Documenta 15 era infatti stata affidata a Ruangrupa, un gruppo indonesiano di artisti, che si era giustificato spiegando che «la verità è che collettivamente non siamo riusciti a riconoscere la figura nell’opera, che è un personaggio che evoca gli stereotipi classici dell’antisemitismo. Comprendiamo che questo sia stato un nostro errore». Gli artisti dello stendardo invece si erano difesi dicendo di aver «descritto il coinvolgimento del governo dello stato di Israele [nella dittatura di Suharto] nel modo sbagliato».

L’apertura di Documenta 15 era già stata preceduta da altre accuse di antisemitismo riguardanti il programma di conferenze collaterale alla mostra. Josef Schuster, presidente del Zentralrat der Juden in Deutschland (Consiglio centrale degli ebrei in Germania), un organo di rappresentanza degli ebrei tedeschi, aveva criticato la scelta di includere una discussione a proposito del razzismo antipalestinese.

Il programma era a sua volta stato ideato per rispondere a ulteriori accuse di antisemitismo che avevano riguardato l’inclusione di alcuni artisti palestinesi. Un post pubblicato su un blog chiamato Bündnis gegen Antisemitismus Kassel (“Alleanza contro l’antisemitismo Kassel”) accusava il gruppo di artisti palestinesi The Question of Funding di aderire a Boycott, Divestment and Sanctions, il movimento per il boicottaggio dello stato di Israele, e denunciava l’assenza di artisti israeliani in mostra. Il post era stato subito ripreso e diffuso dai quotidiani tedeschi. Secondo gli organizzatori le accuse erano infondate, ma a maggio il programma era stato sospeso, dal momento che molti relatori avevano rinunciato a partecipare per paura di essere censurati.

La stampa tedesca ha definito l’accaduto “la più grande catastrofe culturale e politica nella storia di Documenta” e “un indebolimento della posizione di Documenta”. Le polemiche hanno spinto il governo federale tedesco a chiedere un maggiore controllo sui contenuti della mostra quinquennale, finanziata per la maggior parte da fondi pubblici, locali e federali.

L’allestimento di un’opera a Documenta 15. (Thomas Lohnes/Getty Images)

Da quando fu fondata nel 1955, anno in cui attirò 130mila visitatori, Documenta ha continuato a crescere in dimensioni, fondi e pubblico, fino a arrivare a quasi un milione di visitatori nelle ultime due edizioni. Anche il budget è stato progressivamente incrementato, e ha raggiunto i 42 milioni di euro di questa edizione. Documenta è considerata uno dei due appuntamenti fondamentali per l’arte contemporanea, pari solo alla Biennale di Venezia. Ma a differenza della Biennale, Documenta si svolge ogni cinque anni. Grazie a questa estensione nel tempo la mostra di Kassel è slegata dalla ricognizione delle tendenze recenti dell’arte contemporanea e si è affermata piuttosto come luogo di proposte artistiche innovative.

I curatori scelti per dirigere Documenta lavorano spesso con un approccio sperimentale. Per la prima volta quest’anno la direzione era stata affidata a un gruppo di artisti che lavora collettivamente dal 2000 a Jakarta, la capitale dell’Indonesia, sotto il nome di Ruangrupa. La mostra parte dall’idea del lumbung, termine indonesiano che indica una risaia in cui il surplus di produzione viene diviso equamente tra i membri della comunità. Questo modello di produzione è stato applicato all’organizzazione della mostra a Kassel, che si è basata sulla pratica della condivisione e redistribuzione delle risorse economiche, sulla collaborazione tra gli artisti e sul concetto di bene comune.

Sulla base di questo modello, Ruangrupa aveva invitato inizialmente 14 altri “collettivi”, gruppi di artisti che lavorano in modo collaborativo e che si riuniscono sotto un unico nome. Ognuno di questi collettivi, a sua volta, aveva invitato una propria selezione di artisti a partecipare. E questi nuovi artisti avevano poi invitato ancora più artisti. Il risultato di questo processo partecipativo e aperto, secondo Farid Rakun, membro dei Ruangrupa, è che il numero degli artisti partecipanti raggiunge le migliaia. «Non è completamente controllabile», ha detto Rakun in un’intervista. «E va bene così, noi non vogliamo controllare».

Lo scorso 8 luglio l’artista più nota inclusa in mostra, la tedesca Hito Steyerl, aveva annunciato che avrebbe ritirato la propria opera da Documenta 15. «Non ho fiducia nella capacità dell’organizzazione di mediare e tradurre la complessità» aveva scritto.  Lo stesso giorno il direttore del centro educativo Anne Frank, Meron Mendel, che avrebbe dovuto attuare il programma riparativo, si era dimesso dal ruolo di consulente di Documenta 15. Nella sua intervista al settimanale Spiegel, Mendel aveva denunciato l’assenza di un “dialogo onesto” sull’antisemitismo sostenendo che non sono stati intrapresi né un dialogo approfondito con Ruangrupa né un’indagine su vasta scala sull’antisemitismo nell’edizione di quest’anno.

In una dichiarazione rilasciata pochi giorni prima delle sue dimissioni, Schormann aveva risposto alle critiche scrivendo: «la direzione artistica e gli ormai 1.500 artisti temevano una censura già a gennaio in seguito alle accuse di antisemitismo, e per questo avevano respinto una giuria di esperti esterni. Si vedevano sospettati, diffamati e in parte minacciati a causa della loro origine, colore della pelle, religione o orientamento sessuale».

In questo contesto, proseguiva Schormann «la rinnovata richiesta da parte dei media e della politica di far esaminare la mostra da un comitato di esperti esterno con poteri decisionali non ha solo portato a disaccordi con il prof. Meron Mendel, ma ha anche messo a dura prova il rapporto di fiducia con i Ruangrupa e gli artisti partecipanti».

L’ex direttrice aveva concluso spiegando che l’importanza di Documenta si basa sulla sua capacità di guardare al futuro non solo nell’ambito dell’arte, ma anche sulle questioni sociali, e aveva sottolineato come questo sia possibile «perché da decenni è garantita la libertà artistica dei rispettivi direttori artistici e degli artisti partecipanti».

Sabato Documenta ha diffuso un comunicato stampa nel quale annuncia la conclusione del contratto di Schormann da direttrice generale. Le polemiche comunque non hanno fermato l’afflusso di visitatori, anzi: secondo i dati comunicati il 13 luglio, i ricavi della vendita dei biglietti a fine giugno 2022 sono stati superiori rispetto alle due precedenti edizioni .