La tv durante la pandemia è rimasta a galla

Durante il primo lockdown c’è stato un picco di ascolti ma un crollo degli investimenti pubblicitari, poi i numeri sono tornati quelli di prima

di Edoardo Coco

(Getty Images)
(Getty Images)

Il 2020 per la televisione è stato un anno di forti scossoni: durante il primo lockdown, dal 9 marzo al 18 maggio, si è verificato contemporaneamente un grande aumento del pubblico e un crollo degli investimenti pubblicitari, scesi di oltre il 45% ad aprile rispetto allo stesso mese del 2019. Nel 2021, invece, i dati raccolti sia sul piano degli ascolti che degli investimenti mostrano un riallineamento rispetto a quelli del 2019. La pandemia ha avuto delle conseguenze anche nella realizzazione dei prodotti televisivi, per le difficoltà dovute ai lockdown e alla necessità di contenere i contagi, che hanno complicato e in certi casi impedito la registrazione di programmi, fiction e altri contenuti audiovisivi. La produzione si è gradualmente ripresa grazie alle nuove misure anti-Covid adottate nella stagione televisiva 2020-21 e al progressivo miglioramento della situazione sanitaria nel paese.

A partire dalla fine di febbraio 2020, in corrispondenza con i primi casi di coronavirus in Italia, le emittenti televisive nazionali hanno avuto un aumento degli ascolti. Secondo i dati raccolti da AGCOM nel report Osservatorio delle Comunicazioni 2022, il numero dei telespettatori è ulteriormente aumentato tra marzo e maggio, a causa delle restrizioni negli spostamenti rese necessarie dalla pandemia e all’obbligo imposto alle persone di passare più tempo a casa. Le tv hanno infatti avuto un primo picco di 13,9 milioni di telespettatori durante un’intera giornata il 22 febbraio, quando è stato approvato dal governo italiano il decreto che introduceva le prime zone rosse nei comuni di Lodi in Lombardia e Vo in Veneto. Un dato superato l’11 marzo, quando sono stati rilevati oltre 15 milioni di telespettatori, il numero più alto di tutto il 2020, con una crescita del 49,1% rispetto alla stessa giornata del 2019 (poco più di 10 milioni).

L’allentamento delle restrizioni iniziato a maggio è coinciso con una graduale diminuzione degli ascolti, che si sono assestati già nelle prime settimane di giugno raggiungendo una media molto vicina a quella del 2019. Da ottobre a novembre 2020, quando in Italia si è verificata la cosiddetta “seconda ondata” e il governo ha introdotto nuove restrizioni di movimento, gli ascolti sono cresciuti di nuovo, seppur in maniera più contenuta rispetto alla prima fase della pandemia. In sintesi, nel 2020 è stata raggiunta una media di più di 11 milioni di telespettatori al giorno, superiore dell’11,4% ai dati dell’anno precedente (9,94 milioni di telespettatori durante la giornata).

Nel 2021, secondo i dati raccolti da AGCOM, c’è stata una diminuzione di oltre 1 milione di telespettatori nel giorno medio rispetto al 2020, non ci sono stati particolari picchi e la media dei telespettatori è stata molto vicina a quella del 2019. Anche nel mese di dicembre, interessato da limitazioni degli spostamenti e da un corposo aumento dei contagi causato dalla diffusione della variante omicron, la media degli spettatori dalle 20:30 alle 22:30 – la fascia di maggior pubblico e interesse per le emittenti – è stata di 10,4 milioni di persone: erano state 10,5 milioni nel 2019 e 12 milioni nel 2020. I dati di AGCOM mostrano insomma come la televisione italiana, dopo i picchi dei mesi del lockdown, si sia riallineata agli ascolti del 2019.

Nonostante quel grande aumento del pubblico, durante il lockdown del 2020 gli investimenti pubblicitari hanno subìto un importante calo. Nel mese di marzo, secondo i dati riportati da Confindustria Radio Televisioni, gli investimenti pubblicitari nelle emittenti televisive italiane sono diminuiti del 30,9% rispetto al 2019. La situazione è ulteriormente peggiorata in aprile, quando le inserzioni pubblicitarie si sono ridotte di oltre il 45% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Questo crollo degli investimenti è stato probabilmente dovuto alla drastica riduzione dei consumi causata dalla pandemia e dai lockdown, soprattutto per quanto riguarda prodotti e servizi legati a spostamenti, viaggi e attività da svolgere all’esterno, per esempio le automobili: e quindi alle minori opportunità per aziende e inserzionisti di promuovere e vendere i propri prodotti o servizi.

In concomitanza con l’allentamento delle restrizioni a partire da maggio, il divario tra gli investimenti del 2020 e quelli del 2019 è diminuito, fino ad annullarsi del tutto nei mesi di luglio e agosto. Durante il 2021, poi, le aziende sono tornate a acquistare gli spazi pubblicitari offerti dalla televisione in maniera più simile al periodo precedente alla pandemia, raccogliendo 3,7 miliardi di euro di investimenti pubblicitari, cifra superiore del 14,4% a quella del 2020, e di poco maggiore di quella del 2019. I dati sui primi mesi del 2022 mostrano un aumento della raccolta pubblicitaria dell’8,4% a febbraio, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, una diminuzione del 10,4% a marzo e un ulteriore calo ad aprile, ma dato il periodo limitato è difficile fare delle previsioni per la restante parte dell’anno.

Gli ascolti tv e gli investimenti pubblicitari non sono stati gli unici due aspetti del settore televisivo su cui la pandemia ha avuto un effetto, per quanto siano di gran lunga i più importanti. La televisione ha dovuto affrontare grossi cambiamenti anche nella realizzazione di programmi, fiction e in generale prodotti audiovisivi, e rispetto ai palinsesti. Durante la prima fase della pandemia, infatti, molte produzioni televisive si sono fermate, come nel caso dei game show giornalieri di Rai e Mediaset, L’Eredità e Avanti un Altro, tra i più importanti e redditizi programmi della tv italiana. Inoltre, secondo i dati dell’Associazione Produttori Audiovisivi (APA) riportati dalla fondazione Symbola, nella prima fase della pandemia si sono fermati 13 set di serie italiane, tra cui le nuove stagioni del Paradiso delle Signore e deI Bastardi di Pizzofalcone, entrambe in onda su Rai 1 e tra le più seguite. Dopo i mesi del primo lockdown, le produzioni televisive hanno gradualmente ripreso le registrazioni adottando misure anti-Covid come l’uso delle mascherine, l’eliminazione del pubblico, il distanziamento fisico all’interno degli studi televisivi e la somministrazione pressoché quotidiana di test ai lavoratori.

Secondo il professor Massimo Scaglioni, docente di Storia ed Economia dei media all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, la pandemia è stata l’acceleratore di un cambiamento già in atto che ha cambiato «l’universo dei media», di cui però la televisione «continua a rimanere un fulcro (economico oltre che sociale)». Intervistato dal sito Letture.org, Scaglioni ha sostenuto che nella prima parte della pandemia la tv abbia «funzionato da guida affidabile, da orizzonte per orientarsi e capire di più ma anche da strumento di intrattenimento e distrazione». Solo in una seconda fase gli italiani avrebbero cominciato a familiarizzare con lo streaming, consumando più prodotti di piattaforme come Netflix o Amazon Prime Video.
Secondo Scaglioni nel consumo dei prodotti audiovisivi è evidente una «polarizzazione», tra i più adulti «zoccolo duro della tv tradizionale» e i giovani «molto più abituati allo streaming», ma in futuro i due modelli si ibrideranno: un po’ per la sempre maggiore diffusione delle SmartTV, le televisioni che si possono connettere a internet, e un po’ per l’aumento della visione di contenuti televisivi su dispositivi digitali come smartphone, tablet e pc, che nel 2020 è aumentata del 63%.

Questo e gli altri articoli della sezione Tra cultura e pandemia sono un progetto del workshop di giornalismo 2022 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.