• Media
  • Giovedì 14 luglio 2022

È morto Eugenio Scalfari

Era uno dei giornalisti italiani più noti e influenti, fondatore e direttore per vent'anni di “Repubblica”: aveva 98 anni

Sccalfari nel 2016 (ANSA/GIORGIO ONORATI)
Sccalfari nel 2016 (ANSA/GIORGIO ONORATI)
Caricamento player

Eugenio Scalfari, uno dei giornalisti più noti e influenti della storia italiana, tra i fondatori dell’Espresso e fondatore di Repubblica di cui fu direttore per vent’anni, è morto oggi a 98 anni. Lo ha annunciato il quotidiano. Per diversi decenni, a cavallo tra la fine del Novecento e il Duemila, Scalfari fu tra gli intellettuali di sinistra più riconosciuti e visibili in Italia, spesso coinvolto in dibattiti e campagne pubbliche come quelle contro l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Nella sua lunghissima carriera fu tante cose, anche deputato tra gli anni Sessanta e Settanta, e fino a tempi recenti aveva scritto con regolarità su Repubblica, principalmente analisi e retroscena politici e, negli ultimi anni, sempre più frequenti editoriali su temi di religione e filosofia, a cui aveva dedicato anche diversi libri. Erano diventate un genere letterario anche le sue interviste a papa Francesco, che si era scoperto in più occasioni essere parzialmente inventate, ma che nonostante le puntuali smentite erano comunque proseguite a lungo.

Scalfari era nato a Civitavecchia nel 1924 da genitori calabresi. In gioventù studiò prima a Roma e poi a Sanremo, dove la sua famiglia si era trasferita quando suo padre aveva iniziato a lavorare come direttore artistico del casinò della città. Scalfari raccontò spesso di avere avuto come compagno di banco lo scrittore Italo Calvino. Le sue prime esperienze da giornalista le fece durante il fascismo, prima di essere espulso dal Partito Nazionale Fascista nel 1943 perché aveva accusato alcuni gerarchi di speculazione edilizia. Dopo la Seconda guerra mondiale lavorò con il settimanale Il Mondo e poi con il mensile L’Europeo, diretti da due giornalisti spesso rievocati in seguito da Scalfari, Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti.

Nel 1955 contribuì a fondare il Partito radicale e, nello stesso anno, il settimanale L’Espresso, che si caratterizzò per una serie di inchieste rimaste poi nella storia italiana, come quella sulla speculazione edilizia a Roma negli anni Cinquanta e quella sul SIFAR (il servizio segreto militare) che fece conoscere l’esistenza del cosiddetto “piano Solo”, un presunto colpo di stato mai avvenuto e organizzato dal generale dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo. Quando l’inchiesta sul SIFAR venne pubblicata, firmata da Lino Jannuzzi, Scalfari era direttore dell’Espresso da quattro anni. Sia Scalfari che Jannuzzi vennero querelati da De Lorenzo e poi condannati a poco più di un anno di carcere. Non andarono in prigione per l’immunità parlamentare: nel 1968 Scalfari era diventato deputato e Jannuzzi senatore, tutti e due con il Partito socialista.

A metà degli anni Settanta, Scalfari fondò un nuovo quotidiano, Repubblica, che uscì nelle edicole il 14 gennaio 1976 ed ebbe una crescita rapidissima: in pochi anni diventò il primo quotidiano italiano per tiratura e lo rimase a lungo, scombinando il panorama editoriale italiano con un approccio innovativo e battagliero, diventando il giornale di riferimento per l’elettorato di centrosinistra. Il successo di Repubblica fu dovuto tra le altre cose all’introduzione del formato “berlinese”, più compatto rispetto al formato broadsheet allora utilizzato dai principali giornali, a uno stile meno ingessato e più brillante nel linguaggio, e a una grande attenzione riservata alle inchieste.

Nel 1996 Scalfari abbandonò la direzione di Repubblica, sostituito da Ezio Mauro, ma fino a poco tempo fa era rimasto editorialista fisso con lunghi e rituali articoli pubblicati di domenica, nonché venerata figura nella vita pubblica del quotidiano. Su ogni prima pagina, ancora oggi, compare il suo nome, indicato come fondatore accanto a quello del direttore (attualmente Maurizio Molinari). Nel 2018 Scalfari ebbe un lungo battibecco con il suo storico editore, Carlo De Benedetti, il quale disse di aver «solo pagato dei prezzi» per essere stato l’editore di Repubblica accusando il giornale di aver perso la sua identità. Poco tempo dopo, a fine 2019, la maggioranza delle quote del gruppo editoriale di Repubblica, GEDI, era stata acquisita da Exor, la società della famiglia Agnelli-Elkann.

– Leggi anche: La storia più grossa in mezzo secolo di giornali italiani