Lo streaming a diecimila metri

Il settore dei sistemi di intrattenimento in volo è molto importante per le compagnie, e sta cambiando in fretta come quello che gli sta intorno

di Gabriele Gargantini

(Borja Sanchez Trillo/Getty Images)
(Borja Sanchez Trillo/Getty Images)
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«Un’enorme quantità di ingegno è stata spesa dopo il pensiero, che mi venne un giorno mentre ero in volo, che i viaggi aerei sono la forma di trasporto più avanzata, ma anche la più noiosa» disse nel 1962 David Flexer, uno che evidentemente non era seduto vicino al finestrino o si annoiava a guardarci fuori. Flexer, che qualche anno prima aveva fondato la Inflight Motion Pictures, è la persona che nella storia più si impegnò affinché i passeggeri potessero vedere film in volo.

Ancora oggi, a oltre mezzo secolo da quelle parole di Flexer e a più di un secolo dalla prima volta in cui qualcuno vide un film volando, l’intrattenimento in volo (o in-flight entertainment, spesso abbreviato in IFE) fa compagnia ogni giorno a migliaia e migliaia di passeggeri, e rappresenta una parte non irrilevante delle spese di molte compagnie aeree, così come delle entrate di molte case di produzione e distribuzione cinetelevisiva.

Ma gli stravolgimenti portati nel settore dell’aviazione civile dalla pandemia hanno messo davanti a un bivio l’intrattenimento in volo, che oltre a film e serie comprende anche la ristorazione e una serie di attività come i videogiochi e l’ascolto di musica. Da un lato c’è chi lo ritiene obsoleto e infruttuoso, visto che sempre più passeggeri hanno tablet o smartphone e facile accesso a contenuti di sempre più servizi di streaming. Dall’altro c’è chi crede, al contrario, che schermi e contenuti dei servizi di intrattenimento in volo continueranno a essere determinanti, forse ancor più che in passato, nel far sì che – in un contesto in cui le compagnie aeree fanno spesso le stesse tratte, con gli stessi aerei, a prezzi simili – i passeggeri scelgano una anziché l’altra.

(E. Bacon/Getty Images)

Su un aereo, il cinema ci arrivò non molto dopo l’invenzione sia dell’uno che dell’altro, rispettivamente per merito dei fratelli Wright e Lumière. Successe nel 1921, quando il cortometraggio muto Howdy Chicago fu mostrato a una decina di passeggeri su un idrovolante che sorvolava la città del film, di fatto un filmato promozionale. Il film Il mondo perduto fu invece proiettato nel 1925 su un volo della compagnia britannica Imperial Airways: tratto da un romanzo di Arthur Conan Doyle, era muto ma fu accompagnato dalle musiche suonate a terra da un’orchestra, trasmesse via radio all’aereo.

Per decenni, tuttavia, fu complicato combinare cinema e aviazione: le pellicole erano pesanti, ingombranti e infiammabili, con costi e rischi ingestibili. Poi negli anni Sessanta arrivò Flexer, un imprenditore con un passato nel cinema che grazie alla Inflight Motion Pictures superò il fatto che, come raccontò al New Yorker, «le compagnie aeree pensavano non si potesse fare, o che anche ammesso che si potesse fare non valeva la pena farlo». Dopo diversi tentativi, Flexer riuscì a ridurre a circa trentacinque chili il peso dei proiettori necessari e a far sì che il tutto funzionasse con la semplice supervisione del personale di bordo, senza un proiezionista dedicato.

Ci vollero comunque diversi anni perché il cinema si diffondesse davvero come forma d’intrattenimento in volo. All’inizio il film era uno solo, proiettato su un unico schermo, ma già nel 1982 il New York Times scrisse che a mostrare film erano almeno 85 compagnie aeree e che Hollywood guadagnava 20 milioni di dollari l’anno dalla vendita dei relativi diritti cinematografici: «prima di volare pochi passeggeri chiedono che film sarà mostrato, ma molti vogliono sapere se ci sarà o meno un film».

Nel corso dei decenni aumentarono i film proiettati uno dopo l’altro e anche gli schermi, fino ad arrivare verso la fine degli anni Ottanta all’introduzione di quelli personali, seguita poi, intorno al 2000, dalla possibilità di scegliere se e cosa guardare. Negli ultimi vent’anni le innovazioni hanno riguardato soprattutto la diminuzione dello spazio occupato da schermi e relativi cavi, l’aumento dell’offerta e la possibilità di vedere programmi dal vivo nonostante si stia viaggiando a ottocento chilometri orari a diecimila metri dal suolo.

L’entusiasmo per le promettenti evoluzioni di quel che la tecnologia permetteva fu seguito, già qualche anno fa, dai dubbi sul fatto che ogni innovazione sarebbe stata vanificata dalla possibilità per molti viaggiatori, ad esempio, di scaricarsi sull’iPad tutta la nuova stagione di Stranger Things prima di un lungo volo per il Sudamerica. Per questo, già alcuni anni fa alcune compagnie pensarono di avviare la graduale eliminazione degli schermi, puntando invece sul potenziamento del wi-fi o sull’aggiunta di prese elettriche, in modo che ciascuno potesse usare i suoi dispositivi con comodità.

In questo senso, un problema non indifferente è dato dal fatto che costruire e mettere in cielo gli aerei richiede anche alcuni anni, e in quel tempo c’è il rischio che certi schermi diventino già vecchi ancor prima di volare: voliamo senza problemi su aerei di vent’anni fa, ma ci innervosiamo facilmente di fronte a un touch screen poco reattivo.

«Nell’industria del trasporto aereo» disse qualche anno fa l’analista Jason Rabinowitz «l’unica cosa che si muove velocemente sono gli aerei».

Senz’altro, togliere gli schermi permette di risparmiare soldi per quanto riguarda installazione, gestione e acquisizione dei diritti. Ci sono poi costi non indifferenti che riguardano la messa in sicurezza e l’isolamento dei cablaggi e di tutte le cose che servono a far funzionare gli schermi, al fine di evitare cortocircuiti, folgorazioni o incendi. A questo proposito, si ritiene che un particolare sistema di in-flight entertainment non più in uso da diversi anni fu alla base dell’incidente aereo del volo Swissair in cui nel 1998 morirono 229 persone.

La rimozione degli schermi dagli aerei permetterebbe inoltre di risparmiare peso (e quindi carburante, e quindi soldi) e di guadagnare spazio: sebbene i cavi siano sempre meno e certe dimensioni sempre più ridotte, installare gli schermi comporta infatti avere sedili più grandi, e quindi meno sedili, e di conseguenza meno passeggeri per aereo (e quindi meno soldi). Fino a qualche anno fa, inoltre, i sistemi di in-flight entertainment contribuivano a ridurre ulteriormente il già scarso spazio riservato alle gambe, perché sotto certi sedili erano messi delle piuttosto ingombranti scatole necessarie a far funzionare gli schermi.

Nella pratica, schermi e cavi necessari per i sistemi di intrattenimento in volo sono forniti da apposite società che li producono (una stessa compagnia aerea, avendo in flotta aerei diversi e di anni diversi, ha spesso a che fare con più società di questo tipo) e sono installati insieme ai sedili, quindi quando gran parte dell’aereo è già stata fatta. I costi di installazione non sono affatto indifferenti (secondo alcune stime sono infatti pari ad almeno un paio di milioni di euro per aereo), ma ancora maggiori sono poi i costi che riguardano l’acquisizione dei diritti di film o serie da mostrare.

Francesca Luce – che per il suo ruolo di Customer Experience and CRM Manager per ITA Airways ha spesso direttamente a che fare con i servizi di in-flight entertainment – spiega che ITA aggiorna ogni due mesi i contenuti offerti sulla sua flotta, e che degli oltre 200 contenuti previsti per la programmazione bimestrale che inizierà ad agosto, almeno il 30 per cento sarà rappresentato da contenuti nuovi al momento non disponibili.

Luce spiega che i nuovi contenuti sono proposti da un “content service provider”, un intermediario che negozia i diritti con produttori o distributori e poi li offre a diverse compagnie aeree adattandoli in base a specifiche esigenze, richieste e trattative, di cui per ITA si occupa una persona dedicata agli In-flight Services Procurement, l’approvvigionamento di contenuti per i servizi in volo (compresi quelli relativi al cibo).

Per fare l’esempio più classico, sono già gli intermediari a premurarsi che tra i film trasmessi in volo non ce ne sia nessuno che abbia a che fare con incidenti aerei. Ma questi intermediari si occupano anche, tra le altre cose, di evitare di proporre film che si pensa poco si addicano al contesto comunque parzialmente pubblico di visione aerea. Certi film con scene particolarmente esplicite, che si tratti di sesso o violenza, sono evidentemente poco adatti a uno spazio in cui possono essere facilmente visti anche da bambini seduti nei paraggi.

Ogni compagnia, comunque, gestisce il suo catalogo un po’ come vuole (e in genere, come nel caso di ITA, senza voler rivelare alcuna cifra sui costi di acquisizione dei film): ITA per esempio ha accordi diretti – senza intermediari – per i contenuti italiani.

I film vengono caricati fisicamente sui sistemi di intrattenimento degli aerei mentre sono fermi per altri motivi negli hub di riferimento delle compagnie, spiega Luce, con un tempo medio che può oscillare tra le tre e le cinque ore. Dopodiché gli aerei – ricaricati con i nuovi film del nuovo bimestre – sono pronti a riprendere il volo. Nel caso di ITA, la programmazione di ogni bimestre è la stessa su tutti gli aerei, che a volarci sia il papa o un normale turista.

Le scelte su cosa aggiungere sono fatte in base alla stagionalità (un film di Natale non ha senso in estate) e soprattutto seguendo le novità: i film più importanti, per cui si è disposti a spendere di più, sono ovviamente quelli freschi di cinema e dai grandi incassi. Per il resto, dice Luce, ci si basa sulle scelte di chi si occupa di negoziare i contenuti e sul fatto che i produttori di sistemi di intrattenimento mettono a disposizione «ai fini di analisi e sempre su base anonima» sistemi per sapere, aereo per aereo, cosa i passeggeri hanno guardato e per quanto tempo lo hanno fatto. Analisi di questo tipo servono inoltre a decidere quali film tenere per più di un ciclo.

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Chi crede che nei prossimi anni gli schermi continueranno a restare nei sedili degli aerei, quantomeno sui voli a lungo raggio, prevede due principali ordini di novità.

Da un lato, ci si aspetta un intensificarsi di un fenomeno già in atto e talvolta chiamato “netflixizzazione” dei servizi offerti dalle compagnie aeree. In altre parole, il tentativo di emulare per quanto possibile funzionalità e approcci di servizi come Netflix: per esempio offrendo la possibilità di scelta casuale di un contenuto o di ritrovare, viaggio dopo viaggio, proposte personalizzate. Oppure di offrire piattaforme di streaming che possano essere usate ancor prima del decollo, per esempio già dal momento del check-in. Un’opzione è che anziché inseguire Netflix o altre aziende, le compagnie scelgano semplicemente di farci accordi diretti. Già ora ci sono poi compagnie che offrono la possibilità di ascoltare podcast, seguire corsi su Masterclass e persino lezioni di stretching e ginnastica da sedile proposti da Peloton.

Dall’altro lato, le compagnie stanno invece puntando molto sui miglioramenti tecnologici: schermi più grandi e definiti, ovviamente, ma anche possibilità di connettersi via Bluetooth con i propri auricolari (sembra semplice ma c’è da lavorare affinché tante connessioni Bluetooth in uno spazio così ristretto non creino interferenze o problemi) o di replicare su schermo quel che si vede sul proprio smartphone. Come succede da anni, ogni volta che si parla di intrattenimento c’è inoltre qualcuno che pensa che a far superare gli schermi potrebbero essere i visori per la realtà virtuale, ammesso che qualcuno voglia metterseli in testa durante un viaggio aereo.

Più semplicemente, c’è inoltre chi ipotizza che sempre più compagnie sceglieranno di noleggiare per la durata del volo tablet a chi ne è sprovvisto, o magari offrire contenuti audiovisivi “premium” a chi sceglierà di volare in classi premium.

Tra tanti grandi discorsi, c’è poi chi sostiene che gli schermi resteranno perché – anche volando – una rilevante quota di passeggeri non vuole rinunciare ad avere due schermi: un computer su cui lavorare a un file Excel mentre si guarda in sottofondo una sitcom, o uno smartphone da sbirciare mentre dallo schermo sul sedile si segue un film d’azione.

Anche per questo, i contenuti audiovisivi da vedere tra le nuvole sono studiati ogni tanto anche dal punto di vista accademico: il ricercatore italiano Emiliano Rossi, autore di uno studio dal titolo “Cine-Traffic in the Air”, li considera una forma di visione ibrida: un po’ privata, come a casa, e un po’ pubblica e isolata da altri stimoli, come invece succede al cinema.

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