La controversa assoluzione per un caso di stupro a Torino

Un uomo condannato in primo grado è stato assolto in appello perché la vittima aveva bevuto e l'avrebbe spinto «a osare»

(ANSA/MATTEO CORNER)
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Giovedì la corte d’appello di Torino ha assolto un uomo che era stato condannato in primo grado a 2 anni e quasi tre mesi di carcere per lo stupro di una conoscente avvenuto nel 2019. Nella sentenza il giudice ha motivato la decisione con argomenti che giustificano l’aggressore sulla base di alcuni comportamenti della vittima. Ha scritto che non si può escludere che «la giovane abbia dato speranze» e segnali che abbiano spinto l’imputato «a osare», anche perché «era alterata per un uso smodato di alcol». Sempre secondo la sentenza, la rottura della cerniera dei pantaloni di lei non proverebbe niente, perché sarebbe potuta avvenire «sull’esaltazione del momento» e perché «di modesta qualità».

La procura ha fatto ricorso in Cassazione, spiegando che «la corte dimostra di non applicare i principi giurisprudenziali in tema di consenso all’atto sessuale» e che «non risulta provata la mancanza di dissenso da parte delle persona offesa, anzi risulta evidente la sussistenza di un dissenso manifesto»: secondo la procura, infatti, la vittima avrebbe manifestato il suo dissenso a parole e a gesti e nessuno dei suoi comportamenti potrebbe aver indotto l’imputato a pensare che ci fosse un consenso.

L’episodio avvenne a maggio del 2019: i due erano ventenni, si conoscevano da circa 5 anni e si erano ritrovati per un aperitivo in un locale. Tra i due c’erano stati dei baci in precedenza, ma poi lei aveva chiarito di non avere intenzione di iniziare una relazione sentimentale, mentre lui le aveva detto di provare dei sentimenti per lei e che non avrebbe perso le speranze. Lo stupro sarebbe avvenuto nel bagno del locale (che si trovava nel cortile interno), dove lui l’aveva accompagnata per tenerle la borsa.

Secondo quanto riportato in aula, la giovane avrebbe negato più volte il proprio consenso a parole: «Ho ripetuto più volte a lui: “Che cazzo stai facendo? Che cazzo stai facendo? Non voglio”». Dopo il fatto la donna sarebbe stata vista da altre persone in lacrime, mentre l’accusato avrebbe avuto un atteggiamento normale e cordiale. La rottura della cerniera dei pantaloni di lei è stata portata in aula dall’accusa a sostegno dell’avvenuta violenza.

La sentenza della corte d’appello non ha negato che il fatto sia avvenuto, ma ha sostenuto che non ci fossero elementi per considerarlo uno stupro.

Una motivazione è che in quella circostanza la giovane non era pienamente in sé per l’uso smodato di alcol: cosa che altri giudici potrebbero considerare un’aggravante per il comportamento dell’imputato, ma che nella sentenza è stata usata per colpevolizzare la vittima. Un’altra motivazione è che la giovane avrebbe lasciato la porta del bagno socchiusa «così da fare insorgere nell’uomo l’idea che questa fosse l’occasione propizia che la giovane gli stesse offrendo. Occasione che non si fece sfuggire».

Il giudice ha inoltre motivato la rottura della cerniera sostenendo che fosse di scarsa qualità e che si sarebbe potuta rompere «sull’esaltazione del momento».