Twitter ha fatto causa al governo indiano

Contro l’ordine che impone di eliminare contenuti che minacciano la sicurezza nazionale: il social network lo ritiene un abuso di potere

(Avishek Das/ SOPA Images via ZUMA Wire, ANSA)
(Avishek Das/ SOPA Images via ZUMA Wire, ANSA)
Caricamento player

Twitter ha fatto causa al governo indiano contro gli ordini con cui in varie occasioni le autorità nazionali avevano richiesto di bloccare profili e contenuti presenti sul social network.

Non è la prima volta che Twitter si espone così apertamente contro il governo indiano, accusato in più occasioni di limitare la libertà di espressione nel paese: negli anni il governo nazionalista e conservatore del primo ministro Narendra Modi ha aumentato sistematicamente il proprio controllo sull’informazione e sulla censura, e ha cercato sempre di più di reprimere le voci critiche e il dissenso, anche online.

La causa di Twitter è stata intentata martedì al tribunale di Bangalore in risposta a un avvertimento del governo indiano, che a giugno aveva scritto all’azienda per invitarla a rispettare gli ordini di bloccare decine di account. Secondo fonti citate da BBC, nella lettera che il governo aveva scritto a Twitter si diceva che in caso di violazione degli ordini ci sarebbero state «serie conseguenze». Twitter aveva inizialmente bloccato gli account, come richiesto dal governo indiano, ma in un secondo momento aveva deciso di fare causa.

Le richieste del governo sono state avanzate sulla base di una serie di leggi che disciplinano le tecnologie dell’informazione, che erano entrate in vigore nel febbraio del 2021 e avevano esteso il potere dello stato sul controllo dei contenuti online. In particolare, queste leggi avevano dato al governo la facoltà di ordinare l’eliminazione di contenuti considerati una minaccia per la sicurezza dello stato o dell’ordine pubblico. Le piattaforme online e i social network che non rispettano gli ordini possono essere denunciate e perseguite per legge.

Le autorità indiane ritengono che tutti i siti e i social network stranieri attivi in India debbano rispettare queste leggi, ma Twitter sostiene che le richieste del governo indiano derivino da interpretazioni troppo ampie delle leggi. Sostiene inoltre che siano la dimostrazione di un uso eccessivo del potere da parte del governo, poiché permetterebbero di censurare senza grossi problemi le voci critiche.

– Leggi anche: Come i social hanno istupidito le istituzioni

Per fare qualche esempio, da quando sono entrate in vigore le nuove leggi, le autorità indiane hanno chiesto a Twitter di bloccare decine di account ed eliminare centinaia di post relativi alle grandi proteste dei contadini avvenute tra il 2020 e il 2021, oltre che i messaggi critici nei confronti della gestione della pandemia da coronavirus. In entrambi i casi il governo aveva citato preoccupazioni per la sicurezza dell’ordine pubblico. La settimana scorsa avevano ordinato di bloccare alcuni tweet di Freedom House, una ong statunitense che aveva citato l’India come esempio di paese in cui la libertà di stampa era a rischio.

In alcuni di questi casi Twitter aveva bloccato temporaneamente centinaia di account, tra cui quelli di una rivista di giornalismo investigativo, di vari attivisti e di gruppi che sostenevano le proteste dei contadini. Nel giro di poche ore però li aveva sbloccati, sostenendo che non ci fossero motivazioni insufficienti per tenerli ancora fermi.

Già lo scorso maggio Twitter si era detto preoccupato per la libertà di espressione in India. Pochi giorni prima la società aveva etichettato come “contenuti manipolati” alcuni post in cui vari funzionari del Bharatiya Janata Party, il partito di Modi, attaccavano i politici dell’opposizione sostenendo che avessero criticato la gestione della pandemia solo per danneggiare la reputazione del governo. Non è comunque l’unica grossa azienda tecnologica straniera a essersi esposta contro l’India. L’anno scorso WhatsApp aveva avviato una causa per contestare la richiesta del governo indiano di rendere «tracciabili», su richiesta, i messaggi criptati scambiati tramite la popolare app di messaggistica. Il caso è ancora aperto.

– Leggi anche: La “giustizia delle ruspe” in India