Come andò davvero il “martirio” di santa Maria Goretti

Il tentato stupro e la morte di una bambina 120 anni fa portarono a un culto utile ai dogmi della Chiesa e del fascismo

di Mario Macchioni

I resti di santa Maria Goretti durante il tour in Nord America del 2015 (EPA/TANNEN MAURY)
I resti di santa Maria Goretti durante il tour in Nord America del 2015 (EPA/TANNEN MAURY)

Nel primo pomeriggio di sabato 5 luglio 1902, Maria Goretti era seduta sull’ultimo gradino della scala che portava all’ingresso di casa sua, in mezzo alla campagna delle paludi pontine, nel Lazio. Stava cucendo delle toppe sulla camicia del suo vicino, Alessandro Serenelli, mentre il resto della sua famiglia era indaffarata, presa dalla trebbiatura del favino nell’aia poco lontano. In casa c’era solo sua sorella piccola, Teresa, che si era appena addormentata. Quando Serenelli si accorse di Goretti, si allontanò dall’aia e salì le scale, le passò davanti ed entrò per prendere un punteruolo, una specie di lungo chiodo con manico d’osso usato di solito per intagliare le scope. Lo poggiò su un mobile vicino all’ingresso, poi chiese a Goretti di entrare in casa. Lei si rifiutò, Serenelli ripeté la richiesta, dopodiché la costrinse a entrare trascinandola per un braccio.

Subito dopo Serenelli chiuse la porta e tentò di violentarla. Ciò che successe in quei minuti è stato oggetto di processi civili e religiosi, ma è accertato che Goretti si sia rifiutata gridando: «Dio non vuole queste cose, tu vai all’inferno!». Serenelli la zittì premendole un fazzoletto sulla bocca. Poi, non riuscendo a violentarla, la infilzò per quattordici volte con il punteruolo in due tempi, prima mentre era a terra, al ventre, e poi mentre tentava di scappare, alla schiena. Goretti morì dopo lunghe ore di agonia a Nettuno, il 6 luglio 1902, centoventi anni fa. Aveva undici anni, nove in meno del suo assassino.

Le circostanze della morte attirarono l’interesse di associazioni cattoliche laiche e religiose, che fecero nascere un culto popolare attorno a Goretti già poco tempo dopo la sua morte.

Negli anni successivi poi i padri passionisti nettunesi cercarono di certificare ufficialmente questo culto avviando una causa per rendere santa la bambina (la cosiddetta canonizzazione). Tuttavia, le procedure per iscrivere una nuova persona nel catalogo dei santi venerati dalla Chiesa cattolica possono rivelarsi lunghe, e Maria Goretti venne dichiarata Santa e “martire della purezza” soltanto il 24 giugno 1950. Da quel momento in poi si sviluppò un culto intorno alla Santa assai praticato non soltanto in Italia ma anche in molti paesi del mondo.

Ma se nelle comunità cattoliche il martirio di Maria Goretti è incontestabile, fuori è stato messo in discussione innanzitutto per le forzature e le manipolazioni avvenute durante le procedure di canonizzazione, e poi per il significato attribuito alla figura di Goretti: la difesa della verginità e dell’onore femminili anche a costo della morte.

I Goretti non erano originari del Lazio; si erano trasferiti lì da Corinaldo, nelle Marche, nel 1897. Erano stati attirati dalla richiesta di manodopera contadina nelle campagne laziali che oggi ricadono nella provincia di Latina, ma che all’epoca erano un territorio paludoso e infestato dalla malaria. Una parte di quelle paludi era stata bonificata e i terreni asciutti andavano quindi popolati e coltivati.

In particolare, i Goretti finirono nelle tenute poco sfruttate del senatore Giacinto Scelsi stabilendosi in una località chiamata Le Ferriere, oggi frazione di Latina.

– Leggi anche: Una città costruita dove c’erano le paludi

La parte di terra assegnata loro era circondata dai boschi di Nettuno e Cisterna e si estendeva per circa 200mila metri quadri, tanti da lavorare per una famiglia con sei figli, il più grande dei quali – Angelo – di 13 anni. Inoltre era un terreno che drenava poco e ampie porzioni si impantanavano facilmente con la pioggia.

Nel 1898 il senatore Scelsi assunse un’altra famiglia marchigiana di braccianti da affiancare ai Goretti per aiutarli, i Serenelli: Giovanni, sessantenne vedovo e alcolizzato, e suo figlio Alessandro, allora diciassettenne. In quanto membro più anziano della nuova comunità, Giovanni Serenelli se ne mise a capo.

Una delle poche ricostruzioni non agiografiche della vicenda di Maria Goretti è quella dello storico Giordano Bruno Guerri, pubblicata per la prima volta da Mondadori nel 1984 con il titolo Povera santa, povero assassino. Guerri è stato il primo a inquadrare la figura di Goretti nel contesto in cui visse la sua breve vita, caratterizzata con ogni probabilità da abbrutimento, violenza e ignoranza. Pur adottando uno stile narrativo a tratti romanzesco, il suo libro ricostruisce con un certo grado di accuratezza la vita contadina del tempo, e in particolare la vita contadina di una regione italiana allora particolarmente degradata.

San Pietro il giorno della cerimonia della beatificazione di santa Maria Goretti, il 27 aprile 1947 (AP Photo/Jim Pringle)

In quanto figlia maggiore, a Maria erano affidati tutti i compiti di cura della casa. Scrive Guerri:

Maria arriva nella palude a otto anni e la vita le grava addosso come un insulto. Si alza quando ancora urlano i grilli della notte, e subito accende il fuoco e va nel pollaio, a liberare e nutrire le galline. Lavarsi non è attività contemplata, e la casa è normalmente lercia. […] Dopo aver pensato alle galline rientrava in casa e preparava la colazione per tutti, fatica semplice: un poco di polenta fatta avanzare dal giorno prima, pane vecchio, acqua. Poi svegliava i fratelli, lavava i piatti e spazzava la casa. La fonte era a qualche centinaio di metri, e Maria doveva andarci due volte al giorno, tornando con due pesanti secchi pieni d’acqua. Anche il pranzo era semplice da preparare: il pane veniva fatto una volta alla settimana, in piena notte. Ognuno vi avrebbe aggiunto la sua cipolla e una fetta della polenta che Maria aveva rimestato a lungo sul fuoco. […] Nel pomeriggio, di nuovo lavaggio dei piatti, di nuovo bambini tra i piedi, panni da rammendare, lavori nell’orto, e il pezzo di pane e l’acqua da portare come merenda a chi lavora nei campi.

Queste erano le principali attività quotidiane, poi c’erano anche le relazioni con i familiari e con i Serenelli, che Guerri ha potuto ricostruire leggendo gli atti dei tribunali civili e religiosi, contenenti tra le altre cose i verbali delle testimonianze. Sua madre Assunta una volta raccontò a un padre passionista che la mattina stessa in cui Goretti morì le aveva dato un calcio perché il pranzo non era pronto, pensando forse che questo episodio aggiungesse ulteriore valore alla sua figura di martire. In un secondo momento ritrattò, ma ammise che picchiava regolarmente gli altri bambini di casa.

Essendo analfabeta come tutta la sua famiglia, Assunta aveva impartito ai figli un’educazione religiosa piuttosto rudimentale e sessuofoba: pur dovendosi occupare dei suoi fratelli più piccoli, per esempio, Goretti aveva l’ordine perentorio di non guardarli senza vestiti perché, diceva la madre, sarebbe stato peccato. Forse proprio per questo, Goretti non raccontò mai ai genitori che Serenelli aveva tentato diverse altre volte di abusare di lei prima di ucciderla.

La tesi di Guerri è che Maria Goretti, suo malgrado, non avesse una sensibilità religiosa straordinaria per la sua età e per la sua estrazione sociale. Era ubbidiente e devota, ma come lo erano gli altri bambini cresciuti come lei in un contesto di ignoranza e dogmatismo. Una volta, mentre erano in piazza a Nettuno per vendere pollame e uova, Assunta chiese al parroco se «Marietta era pronta» per la prima comunione. Il parroco, don Temistocle Signori, fece alla bambina alcune domande e poi rispose: «Voi affidatela alla Madonna, mettetela sotto il suo manto e poi non abbiate paura».

Lo stesso Signori disse che Goretti ricevette la comunione solamente tre volte in tutto, di cui l’ultima mentre stava per morire. Secondo le testimonianze raccolte dai passionisti a partire dal 1904, invece, le comunioni sarebbero state cinque, in ogni caso poche per una bambina candidata a diventare Santa. Nel 1930, quindi, la presidente della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, Armida Barelli, suggerì ad Assunta di modificare la sua testimonianza e posticipare la data della prima comunione di Goretti al 29 maggio 1902, nonostante nei registri del santuario di Nettuno sia scritto che fu il 16 giugno 1901. Così facendo le comunioni diventarono cinque in cinque settimane, una quota più accettabile.

Questa non fu l’unica forzatura che avvenne prima della canonizzazione e durante i processi religiosi.

La canonizzazione di un santo avviene attraverso procedimenti non dissimili da quelli dei tribunali civili, solamente che invece di accertare la colpevolezza o l’innocenza, la Santa Sede deve valutare la santità o meno della persona sulla base della sua vita e di eventuali miracoli compiuti. Anche nei processi per la canonizzazione c’è un difensore della causa, chiamato “postulatore”. Nel caso di Maria Goretti, il postulatore era il padre passionista Mauro Liberati e gli elementi per accertare la santità della bambina in quanto martire erano due: il fatto che avesse rifiutato di essere violentata per fede e il fatto che avesse perdonato il suo assassino in punto di morte.

Durante il processo penale, però, Serenelli disse che quando alzò il punteruolo su di lei, Goretti «impaurita mostrò di voler cedere alle mie lascive voglie» esclamando tre volte . Serenelli la uccise comunque, secondo Guerri perché il vero motivo per cui non riuscì a violentarla era l’impotenza. In ogni caso, questo particolare avrebbe smontato la causa di canonizzazione, e infatti durante il primo processo religioso del 1935 Serenelli cambiò versione: «Mi disse no, no con rifiuto deciso».

Era una versione che per i sacerdoti del tribunale non stava in piedi, perciò nel successivo processo del 1938 Serenelli cambiò ancora versione: Goretti avrebbe detto mentre ripeteva la frase “Dio non vuole queste cose, tu vai all’inferno!” e quindi quei erano una richiesta di martirio, un invito a ucciderla.

I resti di santa Maria Goretti nella sede abituale, la cripta del santuario di Nettuno (il Post)

Visto che anche questa versione all’inizio fu ritenuta poco credibile, i passionisti non si persero d’animo e suggerirono un’ulteriore interpretazione, cioè che quei fossero in realtà delle esclamazioni di spavento (ih!). Serenelli, preso alla sprovvista, negò e si contraddisse. L’udienza venne sospesa, riprese il giorno dopo e Serenelli diede nuovamente la precedente versione, quella dei che significavano invocazione al martirio. Tuttavia, a causa di un’irregolarità nei verbali, il processo del 1938 venne annullato e rifatto nel 1941. Stavolta la versione di Serenelli e dei passionisti venne accettata: Goretti aveva accettato il martirio.

Quanto al perdono dato a Serenelli, sarebbe avvenuto durante l’agonia. Goretti infatti non morì subito: il 5 luglio rimase circa tre ore ad aspettare l’arrivo della carrozza ambulanza, poi andò a Nettuno, a circa undici chilometri di distanza, percorrendo una strada piena di buche e sassi. All’ospedale di Nettuno, ancora viva e cosciente, venne operata senza anestesia ai polmoni, al diaframma e all’intestino, in un contesto assai poco igienico che le causò infezioni e atroci dolori.

I presenti hanno poi raccontato che durante l’agonia le fu chiesto da don Signori e dalle suore presenti: «Perdoni all’offensore?». Si sa che Goretti tentennò e all’inizio non rispose, fatto che viene ricordato spesso anche durante i processi religiosi. La domanda le fu posta più volte e alla fine Goretti disse: «Sì lo perdono e lo voglio con me in paradiso». Non è chiaro se prima o dopo disse anche: «Perdono tutti».

La casa dei Goretti alle Ferriere, fotografata nel 2006 (Wikimedia Commons)

Secondo Guerri, la «santità di Goretti nacque in un clima concordatario di confluenza politica tra regime fascista e Chiesa cattolica». Il regime infatti condivideva almeno in parte con la Chiesa una visione della donna idealizzata e puritana, protettrice dell’onore, sposa e madre. Soprattutto, condivideva una visione colpevolizzante della donna, secondo cui accettare la violenza sessuale da parte sua equivaleva a prendersi una parte della colpa e del peccato. Una figura come quella di Maria Goretti serviva proprio come monito e come modello per le donne, addossando loro la responsabilità di respingere la violenza maschile con buoni comportamenti e se necessario dando la vita.

Inoltre, scrive Guerri, il regime «aveva interesse a ricordare l’infamia della vita nelle paludi pontine prima della bonifica» avvenuta tra il 1928 e metà degli anni Trenta.

Quando uscì, il libro di Guerri causò un discreto scompiglio all’interno della Chiesa e delle comunità cattoliche. L’Osservatore Romano scrisse che Guerri si era messo «fuori dalla comunità ecclesiale» e anche diversi altri media cattolici o di ispirazione cattolica lo attaccarono duramente. La Santa Sede, dal canto suo, reagì quasi subito istituendo il 5 febbraio 1985 una commissione per «ristabilire la verità dei fatti», individuando nel libro di Guerri 79 errori, alcuni dei quali riguardavano formalità di incarichi religiosi o di definizioni dei processi canonici. Nelle edizioni del libro successive degli anni Novanta e Duemila Guerri ha aggiunto un’appendice in cui risponde punto per punto agli errori a lui imputati.

Nel periodo in cui la Chiesa istituì la commissione contro Guerri nacque un acceso dibattito non solo all’interno delle comunità cattoliche ma anche fuori, sui giornali nazionali. Gli intellettuali e i commentatori cattolici criticarono Guerri, altri – pochi – ne presero le difese. Tra questi ci fu il critico d’arte Federico Zeri, che sulle pagine della Stampa elogiò l’opera di ricostruzione del contesto storico in cui visse Goretti. A proposito del ruolo dei Santi, Zeri scrisse una cosa che aiuta a spiegare il culto di Goretti e la sua estensione:

[…] Alla radice della venerazione di una giovinetta assassinata c’era l’esigenza (captata dai padri passionisti) di possedere una Santa locale, uscita da quel tremendo ambiente di sofferenza, di infinita miseria, di apocalittica disperazione […]. Che poi la Goretti, da Santa dei disperati sia divenuta la castissima eroina del pudore violentato e martirizzato, questo è un fatto diverso, forse anche deplorevole, ma che non cambia le originarie motivazioni del cammino per cui divenne Santa. E poco interessa che (pare sia proprio vero) nell’iter canonico alcuni dati siano stati alterati e riferiti con inesattezza, persino sfacciata. Perché, una volta entrata nel regno del mito religioso, o anche in procinto di entrarci, la persona umana cessa di esser tale, per assumere tratti che non sono quelli dell’obiettività e dell’anagrafe, rispondendo a criteri di idealizzazione assoluta.