Difficilmente immaginate come produciamo la vanillina

L'aroma che in quasi tutti gli alimenti riproduce quello della vaniglia è ottenuto sinteticamente a partire, molto spesso, dal petrolio

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(Michael Loccisano/Getty Images for NYCWFF)
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Quello della vaniglia è un aroma tra i più apprezzati e utilizzati nell’industria dolciaria, ma anche nella produzione di altri alimenti e in quella di profumi, farmaci e altro. Sono circa 18 mila i prodotti in tutto il mondo che lo contengono, una mole tale per cui, a un certo punto, fu necessario trovare dei metodi alternativi per riprodurlo: non più dall’estratto di vaniglia naturale ma dalla sintesi della vanillina, la molecola principalmente responsabile della sua tipica fragranza e gusto.

Si stima che meno dell’un per cento del mercato mondiale dell’aroma di vaniglia provenga dai frutti – comunemente detti baccelli – della pianta di vaniglia, una rampicante della famiglia delle orchidacee originaria dell’America centrale. Il resto è il risultato di un processo di sintesi della vanillina, e uno degli aspetti che possono apparire più sorprendenti riguarda l’origine delle risorse a partire dalle quali è possibile ottenerla con costi relativamente bassi: i prodotti petrolchimici. Ma ci arriviamo.

La vaniglia – il cui nome deriva dalla parola spagnola «vainilla», che significa «piccolo baccello» – era utilizzata in Messico già nel XVI secolo, quando i conquistatori spagnoli giunti in quelle terre notarono che gli Aztechi erano soliti aromatizzare una bevanda al cacao con la vaniglia. Gli spagnoli la introdussero in Europa ma per oltre tre secoli la vaniglia rimase un prodotto elitario, dal momento che proveniva tutta quanta dal Messico e nessuno era in grado di coltivare le piante altrove. Mancavano infatti gli insetti necessari per l’impollinazione, un genere di api presente soltanto in America tropicale.

vaniglia baccelli

Baccelli di vaniglia in una piantagione nel Kerala, in India (Wikimedia)

A Réunion, una colonia francese vicino al Madagascar in cui la vaniglia era stata introdotta nel tentativo di coltivarla, fu un dodicenne di nome Edmond Albius a scoprire nel 1841 e rendere popolare una tecnica manuale di impollinazione che tramite l’utilizzo di un bastoncino metteva a contatto lo stigma e il polline nel fiore della pianta. Questa tecnica rese possibile la coltivazione della vaniglia fuori dal Messico, in particolare a Réunion e nel vicino Madagascar, che è ancora oggi il principale paese produttore di baccelli di vaniglia al mondo.


I baccelli sono inizialmente inodori, e devono trascorrere molti mesi prima che una serie di reazioni enzimatiche porti alla formazione della vanillina, la più importante delle oltre 250 molecole aromatiche individuate nella vaniglia. È un processo che prosegue dopo la raccolta e durante le varie fasi di trattamento dei baccelli, e anche nei mesi in cui vengono lasciati a riposare prima di essere preparati per la distribuzione. A causa della laboriosità e dei costi della coltivazione della pianta e della raccolta e preparazione dei frutti, storicamente la produzione di vaniglia non riuscì a tenere il passo della domanda rapidamente cresciuta in tutto il mondo.

I francesi cominciarono a gustare il gelato alla vaniglia fin dal XVIII secolo, e si racconta che fu l’allora governatore della Virginia e futuro presidente americano Thomas Jefferson, dopo un viaggio a Parigi, a trascrivere la ricetta nel 1780 e rendere popolare il gelato alla vaniglia anche negli Stati Uniti. Si diceva andasse matta per la vaniglia, tra gli altri, anche la regina Elisabetta I d’Inghilterra.

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Durante il XIX secolo, nel tentativo di ottenere una versione artificiale di quel gusto così popolare, i chimici scoprirono la singola molecola maggiormente responsabile dell’aroma di vaniglia, la vanillina. E nel 1874, a partire dalla coniferina, una sostanza ricavata dalla resina del pino, i due chimici tedeschi Wilhelm Haarmann e Ferdinand Tiemann ottennero per la prima volta la vanillina attraverso un processo di sintesi. Avviarono quindi la prima produzione industriale di vanillina, fondando in Germania insieme a un altro chimico tedesco, Karl Reimer, una società che è oggi parte della Symrise, una delle principali aziende di produzione di aromi e fragranze al mondo.

Verso la fine dell’Ottocento, per rendere ancora più economico il processo di sintesi della vanillina, la produzione industriale cominciò a utilizzare al posto della coniferina altre sostanze come l’eugenolo, un liquido ricavato dall’olio di chiodi di garofano. E negli anni Trenta del Novecento l’eugenolo fu a sua volta sostituito da un’altra sostanza, la lignina, prodotta a partire dagli scarti della lavorazione della cellulosa utilizzata nell’industria della carta. Nel 1981, un’unica cartiera a Thorold, in Ontario, riforniva il 60 per cento del mercato mondiale di vanillina sintetica.

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I successivi sviluppi dell’industria della carta resero gli scarti contenenti lignina progressivamente meno convenienti come materia prima da utilizzare per la produzione della vanillina. E predominante nell’industria della vanillina sintetica diventò l’utilizzo del guaiacolo, un composto che già Reimer alla fine del XIX secolo aveva ricavato dalla pirolisi (un metodo di rottura dei legami molecolari per mezzo di alte temperature ma senza combustione) del legno e del carbone nel tentativo di giungere alla sintesi della vanillina. È chiamata reazione di Reimer-Tiemann, dal nome dei due chimici, il processo oggi largamente utilizzato nell’industria petrolchimica per ottenere vari composti aromatici.

Attualmente, delle circa 18 mila tonnellate di aroma di vaniglia prodotte ogni anno, circa il 15 per cento è ottenuto da vanillina sintetizzata utilizzando la lignina e circa l’85 per cento da vanillina sintetizzata utilizzando il guaiacolo, che non viene ricavato più con la pirolisi di legno e carbone, ma dal benzene ottenuto dalla distillazione del petrolio.

Le persone sono inoltre talmente abituate all’aroma di vaniglia ottenuto tramite sintesi chimica della vanillina da non distinguerlo e in alcuni casi da preferirlo a quello molto più costoso ricavato dai baccelli o dall’estratto di vaniglia.

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In un esperimento del 1995 della rivista di cucina americana Cook’s illustrated, citato dal chimico e divulgatore scientifico Dario Bressanini, un gruppo di assaggiatori composto da chef e pasticceri non fu in grado di distinguere in quali prodotti da forno (biscotti e torte) fosse stato utilizzata la vaniglia e in quali la vanillina. Lo stesso esperimento fu replicato nel 2003 e diede gli stessi risultati.

yogurt vaniglia

(Eugene Gologursky/Getty Images for Chobani)

La vaniglia fu preferita dagli assaggiatori soltanto in un successivo esperimento, del 2009, che incluse nel test anche prodotti la cui preparazione non prevedeva alte temperature. Gli assaggiatori preferirono la vaniglia nel latte, per esempio, e anche nel budino. Nei prodotti come torte e biscotti preferirono invece la vanillina. Una delle ipotesi di spiegazione dei risultati, secondo Bressanini, è che forse gli altri composti aromatici presenti nella vaniglia, oltre alla vanillina, «sono molto volatili o si decompongono in fretta con il calore», e quindi vengono rapidamente distrutti nelle preparazioni da forno ad alte temperature, rendendo di fatto inutile in quei casi utilizzare la vaniglia anziché la vanillina sintetica.