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  • Venerdì 17 giugno 2022

Cosa sta facendo la commissione sull’attacco al Congresso americano

Nelle udienze di questi giorni sta cercando di dimostrare le responsabilità di Trump, ma difficilmente porterà a qualcosa di concreto

(Drew Angerer/Getty Images)
(Drew Angerer/Getty Images)
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Dalla settimana scorsa sono in corso a Washington le udienze pubbliche della commissione d’inchiesta della Camera statunitense che sta indagando sull’attacco al Congresso del 6 gennaio 2021, compiuto dai sostenitori dell’allora presidente Donald Trump per cercare di fermare la certificazione dell’elezione vinta da Joe Biden. Si sono già tenute le prime tre audizioni e ce ne saranno altrettante entro la fine del mese: a settembre, poi, la commissione pubblicherà un documento finale con i risultati completi della sua indagine.

I lavori della commissione, sia quelli compiuti nel corso dell’ultimo anno sia le udienze pubbliche di questi giorni, si sono tenuti finora in un clima peculiare. Trattano fatti di eccezionale rilevanza: come ha notato l’Economist, la commissione sul 6 gennaio 2021 è una delle più importanti della storia recente degli Stati Uniti, perché si occupa potenzialmente di un tentativo compiuto da Trump e dai suoi alleati di sovvertire il sistema democratico del paese. Al tempo stesso, però, è stata accolta con un’attenzione non paragonabile ad altre commissioni celebri (come quella per lo scandalo Watergate), è stata boicottata dalla stragrande maggioranza dei Repubblicani ed è quasi certo che la chiusura dei lavori non porterà a grossi cambiamenti.

Questo dipende in parte dall’eccezionale polarizzazione politica degli Stati Uniti, e in parte da alcune caratteristiche uniche della commissione. Anzitutto, i suoi obiettivi primari sono politici e non giudiziari: è difficile che dopo la fine dei lavori Trump o i suoi collaboratori saranno accusati di qualche reato; inoltre, la commissione sul 6 gennaio 2021 non si prefigge il compito di scoprire cosa avvenne quel giorno, come successe con altre celebri commissioni parlamentari degli scorsi decenni, che avevano una funzione più indagatoria: i fatti dell’assalto al Congresso sono ben noti, così come le ragioni per cui l’assalto fu compiuto.

Per questo, finora, il lavoro della commissione parlamentare è stato quello di mettere assieme tutti i pezzi, aggiungere particolari importanti a una storia già conosciuta nei suoi elementi principali, attirare l’attenzione del pubblico americano e cercare di tirare le fila della vicenda, individuando quali siano esattamente le responsabilità di Trump nell’assalto al Congresso, e più in generale nel tentativo di ribaltare il risultato delle elezioni del 2020. Queste responsabilità non saranno di tipo giudiziario, anche se alcuni analisti non escludono che dai lavori potrebbero nascere procedimenti penali, ma soprattutto di tipo politico.

(Drew Angerer/Getty Images)

Come funziona la commissione
La commissione parlamentare era stata istituita circa un anno fa, il 1° luglio 2021, ed è il risultato del lungo e duro dibattito tra Democratici e Repubblicani al Congresso su come indagare sui fatti del 6 gennaio e, più in generale, sul tentativo portato avanti da Trump e dai suoi di sovvertire il risultato delle elezioni del 2020 e impedire al Democratico Joe Biden di accedere alla presidenza. Dopo un primo periodo in cui avevano condannato Trump e i suoi sostenitori per l’assalto al Congresso, da tempo ormai quasi tutti i Repubblicani sono tornati a sostenere l’ex presidente, che è ancora la figura più potente e influente del partito. Per questo cercano sistematicamente di sminuire il tentativo di sovvertire il risultato elettorale, le violenze e le responsabilità di Trump.

I Democratici inizialmente avrebbero voluto istituire una “commissione bicamerale”, cioè un organo più autorevole, partecipato e bipartisan, come quello che indagò sugli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, ma erano stati bloccati dai Repubblicani. L’attuale è invece una “commissione speciale”, istituita quasi esclusivamente con i voti dei Democratici. I Repubblicani l’hanno ostacolata sistematicamente, sia rifiutandosi di partecipare alla commissione sia rifiutandosi di contribuire ai suoi lavori. Dei nove membri della commissione, soltanto due sono Repubblicani, ed entrambi sono stati ostracizzati dai loro colleghi: Liz Cheney, che per la sua decisione ha perso tutti gli incarichi di responsabilità che deteneva nel partito, e Adam Kinzinger, che ha già annunciato che non si presenterà alle prossime elezioni.

Nel corso di un anno di indagini, la commissione ha intervistato più di 1.000 persone, ma il culmine dei lavori della commissione sono le audizioni pubbliche di questi giorni.

Cosa si è detto finora
Delle tre audizioni tenute finora, la prima è stata la più notevole e piena di rivelazioni: è un risultato voluto, per cercare di sfruttare il più possibile l’attenzione pubblica. Tra le altre cose, nel primo giorno di lavori la commissione ha mostrato un video inedito – e molto duro – delle violenze dei sostenitori di Trump che assaltarono il Congresso, e un video di Ivanka Trump, figlia e consigliera dell’ex presidente, che dice di non credere alla bugia diffusa da suo padre secondo cui le elezioni gli furono rubate.


Nel corso delle prime tre giornate di audizioni pubbliche, la commissione ha mostrato come l’assalto al Congresso fosse stato organizzato in anticipo, e come Trump e i suoi lo abbiano sostenuto; come, fin dalla notte elettorale del novembre 2020, la maggior parte dei collaboratori di Trump sapesse che non c’erano stati brogli e come, nonostante questo, Trump e alcuni collaboratori più estremisti guidati dall’avvocato Rudy Giuliani avessero deciso comunque di montare una campagna per denunciare che l’elezione era stata rubata. Quella campagna sfociò infine nell’attacco al congresso del 6 gennaio 2021, secondo la commissione.

La commissione ha mostrato inoltre come soltanto grazie all’intervento di alcuni funzionari e amministratori il piano illegittimo di ribaltare le elezioni di Trump e dei suoi sia stato bloccato sul nascere: tra questi c’è il vicepresidente Mike Pence, su cui si è concentrato il terzo giorno di lavori. Nonostante la fedeltà dimostrata a Trump fino a quel momento, Pence si rifiutò di bloccare i lavori per la certificazione dell’elezione, come gli aveva chiesto il presidente, resistendo a fortissime pressioni e a minacce fisiche. La commissione ha rivelato che durante l’assalto al Congresso i gruppi di estrema destra sostenitori di Trump avrebbero davvero potuto uccidere Pence, «se ne avessero avuto l’occasione».

(Anna Moneymaker/Getty Images)

Gli obiettivi della commissione
Gli obiettivi principali della commissione sono politici: dimostrare, o meglio ribadire, le responsabilità di Donald Trump nel piano per ribaltare il risultato delle elezioni del 2020. L’idea generale è rendere ben chiaro al pubblico americano che l’assalto al Congresso non fu semplicemente una manifestazione di protesta sfuggita di mano, bensì il culmine di un piano studiato e portato avanti da Trump e da alcuni suoi collaboratori con l’obiettivo consapevole di sovvertire la democrazia americana, negare il risultato delle elezioni e, in pratica, mettere in atto un colpo di stato.

I Democratici, che dominano questa commissione, sperano di far passare questo messaggio in tempo per le elezioni di metà mandato che si terranno in autunno, in cui il partito rischia di perdere la maggioranza sia alla Camera sia al Senato. I Democratici hanno fretta di chiudere i lavori entro le elezioni per due motivi: perché sperano di ottenere qualche vantaggio elettorale, ma soprattutto perché sanno che non appena i Repubblicani otterranno il potere al Congresso smantelleranno la commissione, e cercare di indagare sul 6 gennaio 2021 diventerà di fatto impossibile.

Benché sia poco probabile, non è da escludere comunque che dai lavori della commissione possa uscire anche qualche indagine giudiziaria.

La commissione non ha potere di mettere sotto indagine nessuno ma dai lavori potrebbero emergere elementi sufficienti da consentire al dipartimento di Giustizia di incriminare qualcuno. Ci sono due ipotesi in questo senso: la prima è che la commissione riesca a dimostrare che Trump era perfettamente consapevole di stare compiendo un atto illegale – ben diverso da un semplice scontro politico – quando mise in dubbio il risultato delle elezioni e cercò di bloccarne la certificazione. In questo caso, sarebbe imputabile del reato di ostruzione a un atto ufficiale.

La seconda ipotesi è che dopo l’elezione Trump avrebbe ingannato i suoi sostenitori chiedendo loro di donare denaro a un fondo per la difesa del risultato elettorale. Secondo alcuni membri della commissione i 250 milioni di dollari donati dai sostenitori furono però usati per altri scopi: se fosse possibile dimostrare che quando Trump fece l’appello per le donazioni stava mentendo consapevolmente, allora potrebbero esserci gli estremi per un’indagine penale. La possibilità che dai lavori della commissione emergano conseguenze giudiziarie è comunque estremamente bassa.

(Drew Angerer/Getty Images)

Cambierà qualcosa?
Considerando che difficilmente ci saranno conseguenze giudiziarie per Trump e i suoi collaboratori, è molto improbabile che i lavori della commissione porteranno a risultati politici. L’elettorato americano è eccezionalmente polarizzato, e il 6 gennaio del 2021 è diventato uno dei principali argomenti di divisione tra Democratici e Repubblicani. Come hanno notato molti analisti, gli elettori Democratici non hanno bisogno di essere convinti che quello portato avanti da Trump e dai suoi fu un tentativo di colpo di stato, mentre i Repubblicani a questo punto difficilmente cambieranno opinione a riguardo.

Un risultato dei lavori della commissione potrebbe arrivare sul lungo periodo. Come ha notato la giornalista politica del New Yorker Susan B. Glasser, già ora «è evidente che le informazioni raccolte da questa notevole inchiesta terranno occupati gli storici per anni».