La storia del Copasir e dei “filoputiniani”, dall’inizio

Cos'è il documento “riservato” su giornalisti e politici di cui si è parlato per una settimana, e perché ha provocato tante polemiche 

Il presidente del Copasir Adolfo Urso mostra in televisione a "Porta a Porta" una stampa dell'articolo del Corriere (Mauro Scrobogna /LaPresse)
Il presidente del Copasir Adolfo Urso mostra in televisione a "Porta a Porta" una stampa dell'articolo del Corriere (Mauro Scrobogna /LaPresse)
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Da oltre una settimana i giornali e la politica in Italia parlano del coinvolgimento del governo e del Copasir, il Comitato parlamentare che controlla il lavoro dei servizi segreti, in una vicenda che riguarda un rapporto sulla disinformazione filorussa in Italia, la cui esistenza è stata interpretata come una minaccia di monitoraggio e dossieraggio compiuta dai servizi segreti nei confronti di persone simpatizzanti di Vladimir Putin. La notizia dell’esistenza del rapporto, resa nota inizialmente dal Corriere della Sera, ha avuto una grande risonanza, ha originato campagne stampa critiche nei confronti del governo e, alla fine, ha costretto il governo stesso a intervenire per cercare di chiarire la questione.

Una settimana dopo l’inizio del caso, la minaccia delle indagini segrete che il Copasir o altri enti avrebbero compiuto contro personaggi considerati “filorussi”, tra cui giornalisti, opinionisti e politici, si è però notevolmente ridimensionata: i presunti dossier (definiti “liste di proscrizione” da alcuni giornali) sarebbero documenti compilativi di monitoraggio delle attività mediatiche della propaganda filorussa in Italia, e l’ipotesi che i servizi stiano controllando o indagando su alcune personalità pubbliche è stata smentita.

Il caso del dossieraggio dei filorussi era cominciato il 5 giugno, quando le giornaliste Fiorenza Sarzanini e Monica Guerzoni avevano pubblicato sul Corriere della Sera un articolo intitolato “Influencer e opinionisti: ecco i putiniani d’Italia”, in cui spiegavano che il Copasir aveva avviato un’indagine, usando materiale dell’intelligence, sulla rete della propaganda russa in Italia: «una rete complessa e variegata» che «si attiva nei momenti chiave del conflitto», può «contare su parlamentari e manager, lobbisti e giornalisti» e «tenta di orientare, o peggio boicottare, le scelte del governo».

Che il Copasir stesse lavorando sulla disinformazione russa in Italia era un fatto noto da almeno un mese, ma la grossa novità dell’articolo di Sarzanini e Guerzoni, oltre a vari elementi sulle presunte attività di indagine del Copasir, era che le due giornaliste facevano un elenco piuttosto lungo, con nomi e foto, dei principali membri di questa presunta rete filorussa, su cui appunto il Copasir starebbe indagando. Tra i nomi ci sono alcuni influencer e giornalisti poco noti, come Maurizio Vezzosi, Giorgio Bianchi e Alberto Fazolo, ma anche persone ben più famose: soprattutto Vito Petrocelli, ex parlamentare del M5S che era da poco stato al centro di uno scandalo per le sue posizioni favorevoli all’invasione dell’Ucraina, e l’opinionista televisivo Alessandro Orsini.

L’elenco dei nomi (più ancora che il contenuto dell’articolo) ha creato una sentita reazione: alcune delle persone coinvolte si sono dette vittime di dossieraggio, intesa come attività di raccolta di informazioni più o meno compromettenti su una persona sgradita, mentre vari giornali hanno parlato esplicitamente di “liste di proscrizione”, facendo intendere che il Copasir e i servizi segreti stessero indagando un numero imprecisato di giornalisti, politici e personaggi pubblici semplicemente per le loro idee. Nel caso sarebbe stato un fatto notevole, anche perché i servizi d’intelligence dipendono direttamente dalla presidenza del Consiglio.

Il giorno dopo la pubblicazione dell’articolo, il presidente del Copasir Adolfo Urso aveva però smentito il Corriere con un comunicato in cui diceva: «Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica rileva di non aver mai condotto proprie indagini su presunti influencer e di aver ricevuto solo questa mattina [cioè il 6 giugno, il giorno dopo la pubblicazione da parte del Corriere, ndr] un report specifico che per quanto ci riguarda, come sempre, resta classificato». Urso aggiungeva che il Copasir sta sì conducendo un’indagine sulla disinformazione russa, ma che si tratta di un’indagine pubblica, di cui sono già state fatte varie udienze, e che non prevede attività di dossieraggio e controllo di singoli individui, poteri che peraltro non spetterebbero al Copasir, che è un comitato parlamentare e non una parte dei servizi.

La smentita di Urso è rilevante anche perché sostiene che il documento a cui presumibilmente faceva riferimento il Corriere per descrivere la rete filorussa in Italia sia arrivato al Copasir soltanto un giorno dopo l’uscita dell’articolo di Sarzanini e Guerzoni (anche se in quel momento non si sapeva con certezza assoluta quali documenti si fossero basate le giornaliste). Urso descrive il documento come un «report specifico», lasciando intendere che si tratti di un testo di lavoro non particolarmente rilevante.

La smentita di Urso, tuttavia, non è stata sufficiente a calmare le polemiche, che sono proseguite molto duramente per vari giorni, coinvolgendo anche il governo e il presidente del Consiglio Mario Draghi.

Il 7 giugno Franco Gabrielli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, ha pubblicato un comunicato in cui sostiene che l’intelligence italiana «non ha mai stilato alcuna lista di politici, giornalisti, opinionisti o commentatori, né ha mai svolto attività di dossieraggio». Gabrielli aggiunge tuttavia che esiste un «gruppo di lavoro interministeriale» che prepara rapporti periodici sulla disinformazione russa, ma che questi rapporti sono sviluppati «esclusivamente sulla base di fonti aperte», cioè pubbliche, e mirano «non all’individuazione di singoli soggetti, bensì alla disamina di contenuti riconducibili al fenomeno della disinformazione».

Ma anche in questo caso il comunicato di Gabrielli non ha avuto l’effetto sperato. Tre giorni dopo il sottosegretario ha deciso di fare un passo ulteriore e pubblicare, desecretandolo, il documento di cui tutti stavano parlando da una settimana.

È intitolato “Hybrid Bulletin” ed è un documento che presenta in maniera relativamente generica lo stato della propaganda russa. Questo rapporto viene redatto periodicamente e quello desecretato da Gabrielli è il quarto di una serie: copre la disinformazione russa tra il 15 aprile e il 15 maggio. A leggerlo, si nota chiaramente che si tratta di un lavoro compilativo, basato su informazioni pubbliche (cioè cose trovate sui media e sui social network) e non su indagini dei servizi segreti: una specie di rassegna stampa ragionata e commentata.

In una nota piuttosto dura, Gabrielli spiega che la pubblicazione del documento è stata resa necessaria dal «perdurare di una campagna diffamatoria circa una presunta attività di dossieraggio da parte della comunità di intelligence». Il bollettino, dice Gabrielli, viene compilato periodicamente per essere letto da un gruppo di lavoro (un “tavolo interministeriale”) creato nel 2019 e molto ampio, che prevede, oltre ai servizi segreti, anche vari componenti del governo e l’Agcom.

Secondo Gabrielli, il documento dunque non è la prova di dossieraggio da parte dell’intelligence, ma un testo di lavoro compilativo che tiene traccia dei principali fenomeni di disinformazione russa e che viene diffuso tra una serie piuttosto ampia di cariche e autorità: il documento è effettivamente segreto, ma è classificato soltanto come “riservato”, il grado più basso di segretezza. In conferenza stampa, Gabrielli è comunque molto duro contro chi ne ha rivelato l’esistenza: il documento sarebbe dovuto rimanere segreto e la sua diffusione ai giornali «è una cosa gravissima. E nulla rimarrà impunito».

Il documento pubblicato da Gabrielli riporta in realtà soltanto due degli 11 nomi citati dal Corriere come membri della presunta rete filorussa. A spiegare la questione sono state le stesse Sarzanini e Guerzoni, che l’11 giugno hanno confermato infine che quello citato nei loro articoli è proprio il bollettino di Gabrielli. Se i nomi non corrispondono dipende dal fatto che quello desecretato è soltanto l’ultimo di quattro bollettini finora redatti: tutti i nomi dei filorussi citati dal Corriere sarebbero contenuti nei precedenti tre bollettini, che le due giornaliste hanno potuto consultare o sui quali hanno avuto quanto meno informazioni.

Se questa ricostruzione sarà confermata, non è mai esistita una vera “lista”: gli 11 nomi citati dal Corriere sarebbero stati diffusi in vari bollettini e in vari contesti, e sono stati raccolti a posteriori da Sarzanini e Guerzoni. La stessa Sarzanini, in interviste televisive, ha comunque specificato che il Corriere non ha mai accusato né il Copasir né i servizi di fare dossieraggio, cosa che ha definito una «mistificazione».