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  • Mercoledì 1 giugno 2022

La prevenzione degli incendi in Sicilia è ancora in ritardo

Dovrebbe essere fatta in inverno, invece da decenni viene ignorata o fatta solo parzialmente, e i roghi continuano ad aumentare

di Isaia Invernizzi

(AP Photo/Salvatore Cavalli)
(AP Photo/Salvatore Cavalli)
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Lunedì a San Cusumano, in provincia di Trapani, un incendio ha distrutto una vasta area coperta da boschi sulla montagna di Erice. È stato necessario l’intervento dell’elicottero per spegnere le fiamme ed evitare che arrivassero troppo vicino alle case. Per alcune ore è stata chiusa la strada provinciale 20 che porta a San Vito Lo Capo, una delle località più note della Sicilia occidentale. Già dall’inizio di maggio gli incendi avevano distrutto moltissimi ettari di territorio a causa dei forti venti di Scirocco, dice Carmelo Pernice dell’associazione SOS Valderice che grazie a molti volontari offre un servizio antincendio in collaborazione con la Protezione civile. «In questo periodo siamo perennemente operativi», spiega. «È sempre così, tutti gli anni, perché la prevenzione non c’è oppure è in forte ritardo».

Nelle ultime settimane in Sicilia si è iniziato a discutere dell’emergenza incendi, un termine improprio perché questa situazione si ripete ogni anno da decenni: gli incendi iniziano a divampare dalla metà di maggio, a luglio cresce l’attenzione dei media, poi la politica regionale chiede nuovi fondi per prevenire gli incendi, ma nei mesi invernali non si fa nulla. In questo ciclo ripetitivo bruciano decine di migliaia di ettari di territorio, con rischi per le persone e conseguenze significative per l’economia dell’isola.

L’estate del 2021 è stata una stagione particolarmente negativa: secondo i dati dell’European forest fire information system (Effis), ci sono stati 8.133 incendi con una media di 135 ogni giorno nei mesi di luglio e agosto. Sono bruciati oltre 78mila ettari di territorio, il doppio rispetto ai 36mila del 2020, poco più del 3 per cento della superficie della regione. All’inizio di agosto, uno degli incendi più grossi degli ultimi anni ha distrutto la maggior parte del territorio di San Mauro Castelverde, sulle Madonie, in provincia di Palermo: le fiamme hanno ucciso centinaia di animali, distrutto fienili, stalle, abitazioni, auto, tir, linee elettriche e telefoniche e danneggiato l’acquedotto.

Negli ultimi anni molte associazioni ambientaliste hanno presentato esposti e rivolto appelli alla politica, rimasti sempre inascoltati. La commissione antimafia si è occupata del problema con un’indagine iniziata nel giugno dello scorso anno per individuare le principali cause dei roghi.

Secondo l’assessore regionale al Territorio e all’Ambiente, Toto Cordaro, le uniche ragioni che possono portare qualcuno ad appiccare volontariamente un incendio sono la «volontà di bruciare residui vegetali al fine pascolivo», cioè per trasformare alcuni terreni in pascoli. «Questo accade soprattutto in alcuni periodi dell’anno, dalla fine di agosto in poi, quando l’erba con le prime piogge o con la prima umidità si rigenera immediatamente e, quindi, crea l’humus per una più facile attività di pascolo», ha detto Cordaro durante l’audizione della commissione. L’assessore ha ricordato che ci sono anche interessi legati alle concessioni di aree per ottenere finanziamenti e contributi europei, e tra le cause non mancano anche ritorsioni tra allevatori.

Altri dati interessanti sono stati riportati nel “Piano regionale per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta agli incendi boschivi” approvato dalla Sicilia nel 2015 e aggiornato ogni anno. In questo studio si parla in modo esteso delle cause degli incendi: nel decennio tra il 1999 e il 2008 il 74,6 per cento degli ettari bruciati è stato incendiato per causa dolosa, una percentuale cresciuta fino all’82 per cento nel quadriennio tra il 2010 e il 2013. Anche in questo documento le prime due cause citate sono l’eliminazione di erbe infestanti dai pascoli attraverso il fuoco e l’incendio come mezzo per eliminare alberi e arbusti su terreni da recuperare e poi coltivare.

Anche l’estorsione è una causa dolosa: l’incendio viene appiccato per obbligare a pagare forme non richieste di protezione oppure per lucrare su premi di assicurazione. L’impatto della piromania, invece, è considerato piuttosto trascurabile.

(AP Photo/Salvatore Cavalli)

In tutto ciò, come in molte altre regioni del Mediterraneo, anche in Sicilia è aumentata la frequenza di condizioni meteorologiche che favoriscono gli incendi. La stagione degli incendi è sempre più lunga: l’aumento delle temperature medie annuali, l’alterazione delle precipitazioni e l’aumento degli eventi meteorologici estremi come ondate di calore e siccità favoriscono lo stress idrico della vegetazione rendendola molto infiammabile. Tutte queste condizioni, che fanno sì che gli incendi siano più difficili da spegnere e si diffondano su superfici più ampie, sono legate al cambiamento climatico dovuto alle attività umane.

A metà settembre, l’assessore ha spiegato che era stato fatto tutto il possibile per prevenire gli incendi e ha assicurato che nel 2021 i lavori di prevenzione sarebbero iniziati il 16 ottobre, in largo anticipo rispetto al passato.

In realtà la manutenzione affidata ai forestali è iniziata soltanto lo scorso 26 aprile, poco prima rispetto al solito, ma comunque in forte ritardo, come dimostrano i primi roghi già segnalati in Sicilia. «Pur consapevoli di non avere la bacchetta magica, vogliamo fare tesoro delle esperienze drammatiche di quest’anno», ha detto Cordaro. «Procederemo ad azioni mirate come l’acquisto di mezzi, l’equipaggiamento di uomini e l’individuazione per tempo dei direttori delle operazioni di spegnimento».

La copertura finanziaria per la campagna antincendio siciliana è di 66 milioni di euro, di cui una parte è stata stanziata con la legge regionale finanziaria, approvata in ritardo rispetto al previsto, e un’altra sarà approvata con una variazione di bilancio entro la fine di luglio.

Da anni associazioni, sindaci e gli stessi operatori forestali chiedono alla Regione di finanziare opere di prevenzione nei mesi invernali per farsi trovare pronti all’estate. Uno degli interventi più lungimiranti sarebbe la sistemazione delle strade sterrate e la rimozione dei muri crollati che spesso impediscono gli interventi dei mezzi dei vigili del fuoco, della Protezione civile e dei forestali. A causa di questo problema, ogni anno migliaia di incendi devono essere spenti a secco, cioè con la pala e la terra, a mano, perché le autobotti non possono raggiungere i luoghi dove divampano i roghi.

Volontari cercano di spegnere le fiamme (AP Photo/Salvatore Cavalli)

Finora la prevenzione si è sempre limitata alla pulizia dei terreni di proprietà del demanio regionale e alla rimozione delle sterpaglie lungo le strade provinciali per creare dei corridoi tagliafuoco. Ogni anno i sindaci firmano ordinanze per costringere i proprietari dei terreni a rimuovere potenziali pericoli e materiali, come plastica e copertoni, che possono favorire gli incendi. Anche i boschi nei terreni privati dovrebbero essere puliti, ma ci sono due grossi problemi: le ordinanze non vengono quasi mai fatte rispettare perché i comuni non hanno personale sufficiente per fare i controlli, e soprattutto in molti casi è molto difficile risalire ai proprietari dei terreni, ereditati da famiglie o persone spesso emigrate all’estero o in altre regioni. «Purtroppo siamo sempre costretti a rincorrere le emergenze», dice Emanuele Gallo, segretario generale della Cisl di Agrigento, Enna e Caltanissetta. «Gli interventi di prevenzione vengono fatti sempre in ritardo o in molti casi vengono ignorati».

I sindacati hanno chiesto più volte alla Regione di introdurre una riforma degli operatori forestali per farli lavorare tutto l’anno e non soltanto durante l’emergenza estiva. Cinque anni fa il presidente regionale Nello Musumeci promise che i forestali non avrebbero fatto più giorni di riposo: c’era l’intenzione di farli lavorare in autunno e in inverno per pulire le spiagge, i torrenti e i fiumi, oltre che per le opere di prevenzione contro gli incendi. La riforma dei forestali, tuttavia, non è mai stata completata ed è stata rimandata a dopo le elezioni regionali in programma a ottobre.

Attualmente in Sicilia ci sono 18.700 forestali: 1.328 hanno un contratto a tempo indeterminato, 5.295 sono in servizio per 151 giornate all’anno, 8.774 per 101 giornate e i restanti 3.252 per 78 giorni. L’età media dei lavoratori è piuttosto alta, 57 anni, con rischi legati alla sicurezza, ai tempi e alla qualità degli interventi.

(AP Photo/Salvatore Cavalli)

Antonino Lomonaco è uno dei pochi forestali che quest’anno è stato assunto a tempo indeterminato. Ha 57 anni: per 37 anni è stato precario, con contratti rinnovati di anno in anno per far fronte all’emergenza. La maggior parte dei suoi colleghi ha la sua età. Molti sono andati in pensione o hanno preferito lasciare per dedicarsi ad altri lavori.

Nel 2021 Lomonaco ha lavorato nel distaccamento forestale di Linguaglossa, a Catania, un territorio di circa 20mila ettari in cui sono stati segnalati 474 incendi: una media di circa 5 incendi al giorno nei quattro mesi della campagna antincendio. «Solo conoscendo profondamente cosa sia un intervento di antincendio boschivo si può intendere il lavoro immane che abbiamo sostenuto» dice. «Soprattutto bisogna considerare che siamo rimasti solo in venti addetti, tutti ben oltre i cinquanta anni, tutti con una grande esperienza che non andrebbe sprecata».

Anche nelle ultime settimane il contributo dei forestali è arrivato in ritardo, non per colpa loro. I finanziamenti e le tempistiche regionali impongono diverse pratiche amministrative prima di farli entrare in servizio, oltre alle visite mediche e alla consegna degli automezzi e dei dispositivi di protezione. Questi ritardi, dice Lomonaco, sono avvenuti con qualsiasi forza politica abbia amministrato la Sicilia negli ultimi decenni.