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  • Martedì 31 maggio 2022

Fare surf ma senza tavola

È il bodysurf, che probabilmente esiste da prima e che negli ultimi anni sta raccogliendo seguaci, anche in Italia

(AP Photo/Tammy Lechner)
(AP Photo/Tammy Lechner)
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Molti pensano probabilmente che per fare surf serva, come minimo, una tavola da surf. Invece in Italia e nel mondo esiste – e si sta facendo conoscere – un’alternativa: si chiama bodysurf (o bodysurfing) e consiste nello sfruttare il corpo per scivolare sulle onde. Per certi versi, è una disciplina più rischiosa del tradizionale surf con la tavola: «è una delle cose più estreme che abbia mai visto», ha detto al New York Times il surfista professionista Nic von Rupp, «ed è tanto estremo quanto stare appesi all’ala di un aeroplano mentre tutti stanno seduti all’interno». Per altri versi è invece qualcosa di più elementare e perfino più sicuro, proprio in virtù dell’assenza della tavola.

Al bodysurf, che a sua volta ha una sua sotto-nicchia rappresentata da chi usa una piccola tavola da mano, qualcuno arriva dal surf, per poi alternare le due discipline: «impara tutto quello che sai sul bodysurf e non darai mai più per scontata nessuna onda», ha detto Kelly Slater, vincitore di undici campionati mondiali di surf.

Ma c’è anche chi al bodysurf ci arriva in altro modo, senza aver mai messo prima i piedi su una tavola. È il caso di Nazzareno Picchianti, fondatore e gestore del sito Bodysurf Italia, che dice: «non ci sono arrivato dal surf; ho iniziato istintivamente a prendere le onde con il corpo e mi sono appassionato». Addirittura, racconta Picchianti, quando nella prima metà degli anni Novanta iniziò a fare surf col corpo, era convinto di «aver inventato un nuovo modo di fare surf». E aggiunge: «solo dopo alcuni anni ho scoperto che si chiamava bodysurf guardando in TV un documentario sulla California».

Data l’essenzialità che lo contraddistingue riesce in effetti difficile dire quando e dove il bodysurfing sia stato inventato, ma la semplice logica dice che, ammesso di adottare una definizione un po’ flessibile, fu inventato prima del surf. Senz’altro, dice Picchianti, internet e i social «hanno consentito alle varie comunità di bodysurfer sparse nel mondo di entrare in contatto» e «formare una comunità globale che si scambia informazioni».

Prima, era perlopiù una questione di sperimentazione e autodidattica: «devo dire» ammette Picchianti «che da solo avevo immaginato soltanto la metà delle possibili manovre, mentre ad altre non avrei mai potuto pensare perché in Italia non ci sono onde adatte. Aggiunge poi: «per più di dieci anni sono migliorato planando in mezzo agli altri surfisti senza avere interesse nel provare le tavole».

Picchianti, che attraverso Bodysurf Italia cerca di mettere in contatto praticanti esperti e si pone come punto di riferimento per aspiranti neofiti, si dice «praticamente certo» che al momento, in Italia, i praticanti di surf senza tavola siano tra cinquanta e cento. Qualcuno ci arriva come lui, senza passare dalla tavola; altri lo fanno invece «dopo aver capito di non riuscire a raggiungere un livello di divertimento soddisfacente con la propria tavola da surf», magari dopo aver provato il bodyboarding: un’altra disciplina ancora (che usa una vera e propria tavola, anche se più piccola) e che però ha ben poco a che fare con il surf senza tavola, seppur talvolta vengano confuse.

Concretamente, il bodysurf presuppone di prepararsi all’onda in arrivo in modo non granché diverso rispetto al surf. Dopodiché si sfruttano le pinne (che i surfisti non possono avere ai piedi, dovendoli tenere sulla tavola) e la forza delle braccia per spostarsi e “cavalcare” l’onda. Con l’ovvia differenza che mentre la tavola da surf permette di stare sopra l’acqua, il solo uso del corpo implica di doverci stare dentro.

Così come nel surf, anche il bodysurf si può fare su onde relativamente semplici così come su altre ben più minacciose. Di recente, il New York Times ha dedicato infatti un articolo al ventottenne brasiliano Kalani Lattanzi, capace di surfare senza tavola, in quello che in Brasile è noto come surf de peito, “surf di petto”, alcune delle onde più imponenti al mondo, come quelle di Nazaré, in Portogallo, alte anche oltre dieci metri.

In questi anni, Lattanzi ha spostato più volte il limite di ciò che si credeva si potesse fare nel bodysurfing e il suo nuovo obiettivo è una pericolosa onda che si crea a Mavericks, nel nord della California, e si avvicina ai 20 metri d’altezza. Mark Cunningham – presentato dal New York Times come «colui che è considerato dai più il miglior bodysurfer di sempre» – ha detto di Lattanzi: «sta nuotando in acque a cui io nemmeno penserei di avvicinarmi». Così come molti altri atleti di sport estremi, Lattanzi dice di farlo per «l’adrenalina» e il piacere di spostare i limiti un po’ più in là.

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Tolti casi estremi come quello di Lattanzi, il bodysurfing può però anche essere meno estremo e meno pericoloso del surf, ovviamente a patto che si sia ottimi nuotatori e conoscitori delle onde. La tavola e le sue pinne possono infatti provocare tagli o ematomi ai surfisti.

«Il livello di rischio» dice Picchianti «dipende essenzialmente dagli stessi fattori per tutte le discipline del surf da onda: le condizioni meteo marine, le caratteristiche del fondale e l’affollamento. Nel caso del bodysurfing, però, aumentano considerevolmente «il contatto col fondale e le sollecitazioni causate dall’acqua sul corpo». Inoltre, «senza una tavola galleggiante è più faticoso spostarsi in acqua per tornare sulla linea di partenza e mantenere la posizione, e anche per questo il surf senza tavola è più duro e dispendioso del surf». Non a caso, prosegue Picchianti, «molti bodysurfer nel mondo sono anche bagnini di salvataggio che praticano il bodysurfing per essere più efficienti e sicuri mentre svolgono il loro servizio».

Picchianti puntualizza che però che seppur complicato, il bodysurfing permette, anche ai principianti, di togliersi qualche soddisfazione, poiché «male che vada si riesce ad avanzare di qualche metro sospinti dall’onda prima di essere travolti». Secondo lui, «chi sceglie il bodysurfing ama il senso di libertà, la purezza della connessione con la natura e il contatto diretto con la sua forza».

(Kevork Djansezian/Getty Images)

A proposito dell’handplane, la piccola tavola da mano che qualcuno usa nel bodysurf, Picchianti dice che «in generale si sceglie di volta in volta se usare una tavoletta di certe dimensioni e caratteristiche oppure no, in base alle onde che ci sono». La tavoletta serve a controllare meglio direzione e posizione del corpo ma «le gare internazionali si svolgono senza handplane e solo in alcuni casi gli organizzatori prevedono anche una versione della competizione con la tavoletta». Dei suoi anni di sperimentazione e autodidattica, Picchianti – che sul suo sito offre una dettagliata “Guida per principianti” – ricorda: «non avevo neanche pensato a usare una tavoletta sulla mano».

A livello mondiale, nel 2018 è stata fondata a Oceanside, in California, la IBSA, la International Bodysurfing Association. Il New York Times parla del bodysurfing come di una disciplina che ha visto crescere molto «sia i praticanti che le competizioni». Sebbene ancora manchi un vero e proprio circuito internazionale di gare, si parla – come succede spesso per gli sport poco noti – di una intenzione piuttosto vaga di far arrivare il bodysurfing alle Olimpiadi del 2032 di Brisbane, in Australia.

Picchianti, che rappresenta l’Italia presso la IBSA, dice: «la pandemia ha rallentato i nostri piani ma stiamo andando avanti dopo aver posto delle buone basi approvando innanzitutto delle regole comuni per le competizioni». Aggiunge inoltre che «il bodysurf sta entrando a fare parte delle attività in molte federazioni del surf nel mondo».

Più in piccolo, Picchianti sta portando avanti le sue attività di ricerca e reclutamento di bodysurfer italiani, anche se ammette che «non sono noti tanti surf spot italiani adatti al bodysurf». Un po’ per assenza di onde idonee, un po’ «proprio perché sono pochi i praticanti e non circolano informazioni». Parla di Liguria, Toscana e Lazio come dei posti con più bodysurfer, e aggiunge che «è strana la carenza in Sardegna, dove ci sono tra le onde migliori d’Italia che scaturiscono dal frequente vento di maestrale».

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