C’è infine un accordo per fare la “rete unica”

Cosa cambierà con una sola infrastruttura per la connessione internet ultraveloce, e come si progetta di realizzarla

(Jordan Harrison/Unsplash)
(Jordan Harrison/Unsplash)
Caricamento player

Cassa Depositi e Prestiti, Tim e Open Fiber hanno autorizzato la firma di un accordo preliminare per integrare le infrastrutture della rete italiana a banda larga di Tim e Open Fiber con l’obiettivo di creare un’unica società per migliorare la qualità delle connessioni internet ultraveloci. In sostanza, le società hanno iniziato formalmente il percorso che porterà alla creazione della rete unica, di cui si discute da anni. Questa operazione, che coinvolgerà due tra le più grosse aziende italiane e un bene strategico come la connessione a internet, ha lo scopo di velocizzare la sostituzione delle vecchie reti con un’unica rete ultraveloce in fibra. 

Il documento firmato dai consigli di amministrazione delle società, chiamato “memorandum of understanding”, impegna Cassa Depositi e Prestiti, Tim e Open Fiber a trovare un accordo definitivo entro il 31 ottobre. Secondo i piani, la nuova società sarà controllata da Cassa depositi e prestiti, partecipata dal gruppo Macquarie, una banca di investimenti australiana che possiede il 40 per cento di Open Fiber, e da Kkr, un fondo di investimento azionista di FiberCop, la società che gestisce la rete secondaria di Tim. Rispetto al passato, questa sembra essere la volta buona perché Tim ha di fatto rinunciato a controllare la futura rete unica attraverso una cessione alla nuova società dell’attuale rete di telecomunicazioni, di cui è proprietaria, per ridurre almeno in parte i suoi debiti.

In sostanza, con la rete unica cambierà la gestione della rete di telecomunicazioni, in particolare l’accesso alle case. Per Tim, questa parte di rete è definita “secondaria” ed è costituita dai collegamenti tra le case e i cosiddetti armadi stradali, ora prevalentemente in rame, meno efficiente e veloce rispetto alla fibra.

La lentezza nello sviluppo della rete è da sempre legata a Tim: la società è “verticalmente integrata”, cioè proprietaria della rete telefonica in rame, fino a non molti anni fa l’unica infrastruttura fisica di telecomunicazione dell’Italia, ed è anche venditrice al dettaglio delle connessioni al pubblico. Il risultato di questa anomalia è che Tim ha investito prevalentemente nella tecnologia FTTC, Fiber-to-the-cabinet, il collegamento in fibra fino agli armadi stradali, senza portare la fibra direttamente nelle case come prevede la tecnologia FTTH, Fiber-to-the-home, il modello scelto da Open Fiber.

Dal 2015, con la nascita di Open Fiber, cambiarono molte cose. Open Fiber aveva iniziato a sviluppare reti in fibra ottica partendo dalle grandi città, nelle cosiddette “aree di mercato”: quelle in cui la richiesta è tale da rendere l’investimento economicamente sostenibile. Dopo l’adozione di un’Agenda Digitale Europea, iniziativa dell’Unione Europea per incentivare l’innovazione nel sistema delle telecomunicazioni tra i suoi stati membri, in Italia si decise di mettere a punto un piano per non lasciare indietro anche le aree cosiddette “a fallimento di mercato” (circa 7mila comuni in cui gli operatori avevano dichiarato di non avere interesse a investire, stimando che i costi avrebbero superato i ricavi).

– Leggi anche: L’Italia offline

Le gare per assegnare fondi europei con i quali costruire una rete moderna e veloce in fibra ottica furono vinte da Open Fiber, che diventò dunque un concessionario dello Stato per costruire, gestire e mantenere questa rete pubblica nelle aree a fallimento di mercato. Open Fiber non offre le connessioni direttamente ai singoli, ma dà in uso la sua rete all’ingrosso agli operatori attivi sul territorio per portare Internet nelle case attraverso la fibra ottica.

L’idea della rete unica si basa anche sulla necessità di non duplicare gli investimenti infrastrutturali: l’obiettivo è di concentrare gli investimenti in un’unica società e in questo modo rendere più efficiente e capillare la connessione a internet.

È molto complicato capire se la duplicazione della rete sia effettivamente uno spreco oppure un’opportunità di concorrenza e crescita dei servizi. Finora, infatti, il tema della duplicazione si è posto soltanto nelle aree più richieste dal mercato, come le grandi città. Nei piccoli comuni, dove i possibili investimenti per le società sono molto alti a causa della bassa densità abitativa, la rete è quasi sempre solo una e solitamente vecchia. Soltanto con la nascita di Open Fiber anche Tim ha iniziato a investire molto nella tecnologia FTTH: in un certo senso, la duplicazione degli investimenti ha garantito più concorrenza e un servizio migliore.

Ci si aspetta ora che lo Stato dia alla nuova società obiettivi chiari per lo sviluppo delle reti. Avere un nuovo grande operatore esclusivamente all’ingrosso, sul modello di Open Fiber, senza l’interferenza di Tim, potrebbe infatti contribuire a migliorare le connessioni, ma molto dipenderà dagli obiettivi della nuova società e da come gestiranno l’offerta gli operatori. «C’è bisogno di un’infrastruttura potente e forte nel Paese per poter arrivare dappertutto e questa infrastruttura non può essere nelle mani di un solo operatore, deve essere ovviamente al servizio di tutti e poi gli altri concorreranno», ha detto il ministro per l’Innovazione tecnologica Vittorio Colao.