È morto Ciriaco De Mita

Aveva 94 anni ed era stato uno dei politici più importanti degli anni Ottanta, segretario della DC e presidente del Consiglio

(ANSA/GIUSEPPE LAMI)
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È morto Ciriaco De Mita, per anni leader della Democrazia Cristiana, ex presidente del Consiglio e uno dei politici più rilevanti degli anni Ottanta, nell’ultima fase della cosiddetta Prima Repubblica. Aveva 94 anni e dal 2014 faceva il sindaco a Nusco, nella provincia di Avellino, il paese di cui era originario: Rai News scrive che è morto in una casa di cura di Avellino.

De Mita era nato proprio a Nusco il 2 febbraio 1928, aveva iniziato la sua carriera all’interno della DC a metà degli anni Cinquanta ed era stato eletto per la prima volta deputato nel 1963. Il suo primo incarico di governo fu nel 1968, quando diventò sottosegretario nel primo governo di Mariano Rumor, poi dal 1969 al 1973 fu vicesegretario del partito, all’epoca guidato da Arnaldo Forlani, e negli anni Settanta fu più volte ministro: dell’Industria, del Commercio con l’estero e degli Interventi straordinari nel Mezzogiorno.

Nel maggio 1982 De Mita divenne segretario della Democrazia Cristiana. Dopo le elezioni del 1983, quando il partito subì un drastico calo dei consensi, cercò di abolire le correnti interne al partito. Da segretario inoltre suggerì al governo del repubblicano Giovanni Spadolini di nominare Romano Prodi alla presidenza dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), all’epoca ancora il più grande ente pubblico ma in forti difficoltà economiche. Nel 1984 incaricò Sergio Mattarella di occuparsi della DC in Sicilia per individuare tutti i membri del partito che avevano rapporti con la mafia. De Mita fu poi confermato nel ruolo di segretario fino all’ultimo congresso nazionale, quello del 1989.

Da sinistra: Sergio Mattarella, Ciriaco De Mita e Remo Gaspari (ministro democristiano) alla Camera il 20 dicembre 1988 (ANSA/OLDPIX)

Nella sua lunga carriera fu a capo di un solo governo, dal 1988 al 1989, uno di quelli sostenuti dal cosiddetto “pentapartito”: DC, Partito Socialista, Partito Repubblicano, Partito Socialdemocratico e Partito Liberale. Fu il secondo segretario della DC a essere contemporaneamente capo del governo (il primo era stato Amintore Fanfani). La fine degli anni Ottanta fu il periodo di maggior successo politico per De Mita, per un certo periodo fu persino considerato l’uomo più potente d’Italia, ma durò poco. La coalizione del suo governo era instabile e nel 1989 gli fu chiesto di abbandonare la guida della DC, che venne assunta da Arnaldo Forlani, in quel periodo suo rivale.

Con gli scandali e le inchieste di Tangentopoli, che di fatto fecero finire la Prima Repubblica, l’intera classe politica a cui De Mita apparteneva fu rimpiazzata. L’ultimo incarico politico di rilievo che De Mita ebbe a livello nazionale fu quello di presidente della cosiddetta “seconda Bicamerale”, una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, nel 1993. Anche nella Seconda Repubblica, comunque, De Mita riuscì a ritagliarsi uno spazio anche se ridotto: nel 2008 non fu eletto per poco al Senato, ma dal 2009 al 2014 fu europarlamentare con l’Unione di Centro.

Nel 2016 poi ebbe un breve momento di rinnovata notorietà a livello nazionale, quando fece campagna per il “No” al referendum costituzionale voluto dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, con cui a 88 anni si confrontò in diretta televisiva.

De Mita su Renzi, nel 2016

De Mita era noto per un modo di esprimersi sofisticato, a volte definito contorto. Gianni Agnelli lo definì «un tipico intellettuale del mezzogiorno, di quella formazione filosofica, di quella tradizione di pensiero tipica della Magna Grecia», un modo obliquo di criticare il modo di esprimersi di De Mita. Un aneddoto esemplare in questo senso lo raccontò il giornalista Giampaolo Pansa:

Nel giugno 1988, quando era da due mesi il presidente del Consiglio, andò a Toronto per un vertice dei capi di governo. Ad un certo punto, gli statisti che lo ascoltavano, per prima la signora Margaret Thatcher, pensarono di aver dei problemi con l’auricolare. Invece era l’interprete di Ciriaco che aveva gettato la spugna, stroncato dalla suprema difficoltà di tradurre in inglese i ragionamenti demitiani.