In Italia ci sono almeno 31 strutture con il 100% di medici obiettori

La legge 194 non viene applicata come dovrebbe e il modo in cui vengono presentati i dati ufficiali non aiuta

(CIRO FUSCO /ANSA /JI)
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Martedì mattina l’Associazione Luca Coscioni ha presentato alla Camera dei Deputati un’indagine che mostra che, su oltre 180 ospedali e consultori italiani che dovrebbero garantire l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), ci sono 31 strutture con il 100 per cento di obiettori di coscienza tra ginecologi, anestesisti, infermieri e assistenti sanitari ausiliari. Considerando anche le strutture con una percentuale superiore al 90 per cento si arriva a 50, e si sale a 80 contando quelle con un tasso di obiezione superiore all’80 per cento.

Sono numeri che mostrano come la legge 194, quella che regola l’aborto in Italia, non venga applicata come dovrebbe. La legge infatti garantisce ai singoli professionisti la possibilità di astenersi dal praticare interruzioni volontarie di gravidanza, ma dice anche esplicitamente che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenute «in ogni caso ad assicurare» che l’IVG si possa svolgere, vietando di fatto l’obiezione di struttura.

L’indagine presentata dall’Associazione Luca Coscioni, che dal 2002 si occupa di libertà civili e diritti umani, si chiama “Mai Dati”: è stata realizzata da Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina, e Sonia Montegiove, informatica e giornalista, e presentata alla Camera dei Deputati in occasione dei 44 anni dall’entrata in vigore della legge 194 (il 22 maggio del 1978). Una prima ricerca parziale era già stata presentata a ottobre durante il Congresso Nazionale dell’Associazione Luca Coscioni e anche questo aggiornamento non va considerato esaustivo, dal momento che prende in considerazione 180 strutture su oltre 350 che praticano l’IVG in Italia.

La raccolta dei dati è stata realizzata attraverso una richiesta di accesso civico generalizzato alle singole ASL e ai presidi ospedalieri, che prevede la possibilità di accedere a dati, documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria.

Questi numeri non emergono però dalla Relazione sullo stato di applicazione della legge 194 che dovrebbe essere redatta ogni anno dal ministero della Salute, dove i dati vengono riportati aggregati per regione, e quindi senza entrare nello specifico delle singole strutture. Come spiegano Lalli e Montegiove, «non basta conoscere la percentuale media degli obiettori per regione per sapere se l’accesso all’IVG è davvero garantito in una determinata struttura sanitaria».

L’ultima relazione del ministero risale allo scorso anno e contiene i dati definitivi del 2019. Per quanto riguarda l’obiezione di coscienza vengono presentati i dati nazionali e regionali che vengono richiesti annualmente dal Sistema di Sorveglianza ISS, una rete di raccolta dati dell’Istituto superiore di sanità, attraverso un questionario trimestrale nel quale ciascuna regione indica il numero complessivo di obiettori e non obiettori. Nel 2019, la quota di obiezione di coscienza tra i ginecologi, ad esempio, risultava pari al 67 per cento a livello nazionale.

Non mostrando le percentuali di obiettori nelle singole strutture, i dati del ministero non spiegano quanto avviene realmente, e cioè che alcune strutture che dovrebbero garantire l’accesso all’IGV di fatto non lo fanno perché il 100% del loro personale dedicato è obiettore. Inoltre, nella percentuale di medici non obiettori, che secondo il ministero è pari al 33 per cento, la percentuale di chi esegue realmente le IVG è più bassa, per esempio perché si parla di personale medico che lavora in ospedali nei quali non esiste il servizio IVG.

L’Associazione Luca Coscioni fa notare che «di fatto, sia il ritardo nella presentazione, sia gli indicatori e le modalità di pubblicazione dei dati (chiusi e aggregati), rendono la relazione [del ministero della Salute, ndr] un’osservazione passiva e neanche tanto veritiera della realtà», che si rivela quindi poco utile al fine di superare le diseguaglianze tra le regioni e assicurare a tutte le donne l’accesso all’interruzione di gravidanza.