Il social network dove si è davvero sé stessi

Una volta al giorno BeReal chiede ai suoi utenti di farsi una foto, ovunque siano e qualunque cosa stiano facendo: e agli universitari americani piace

Cristiano Ronaldo si scatta un selfie per un tifoso che ha fatto invasione di campo durante una partita di Champions League, nel 2018. (Laurence Griffiths/Getty Images)
Cristiano Ronaldo si scatta un selfie per un tifoso che ha fatto invasione di campo durante una partita di Champions League, nel 2018. (Laurence Griffiths/Getty Images)
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Tra gli universitari statunitensi sta riscuotendo un certo successo, seppur ancora confinato in una nicchia, un nuovo social network che propone ai propri utenti di “mostrare come sono veramente”. Si chiama BeReal, è stato introdotto alla fine del 2020 dai francesi Alexis Barreyat e Kévin Perreau ma ha ottenuto una vera popolarità soltanto di recente: tra gennaio e febbraio è stato scaricato da 4 milioni di persone. Il suo obiettivo è quello di creare uno spazio digitale in cui le persone si sentano libere di mostrare davvero come sono fatte le loro giornate, discostandosi dalle dinamiche di social network come Instagram, famoso per i suoi filtri inverosimili e per i suoi influencer dalla vita apparentemente perfetta.

Il funzionamento di BeReal è semplice: una volta al giorno, a un’ora diversa ogni giorno, gli utenti ricevono un’unica notifica che chiede loro di scattare simultaneamente due foto, una attraverso l’obiettivo anteriore del cellulare, quello per i selfie, l’altra attraverso l’obiettivo posteriore. Si hanno due minuti per scattare queste foto e decidere se pubblicarle o meno sul proprio profilo: le persone che vogliono scattare le proprie foto del giorno a un orario diverso possono farlo, ma l’app segnala molto chiaramente chi ha pubblicato le foto al di fuori dei due minuti di tempo stabiliti.

Su BeReal non esiste la possibilità di caricare foto fatte in precedenza dalla propria galleria, né si possono aggiungere filtri: lo slogan della piattaforma è “BeReal is life, real life, and this life is without filters”, cioè “BeReal è la vita, la vita vera, e la vita vera non ha i filtri”.

Al contrario di tutti i social network più popolari, poi, BeReal non permette il cosiddetto “lurking”, ovvero la pratica di osservare ciò che postano gli altri online senza pubblicare qualcosa a propria volta: per vedere i contributi degli altri, gli utenti devono prima aver caricato i propri scatti del giorno. Non si può neanche mettere un “like”: per interagire con i post degli amici si può solo lasciare un commento o una “RealMoji”, ovvero un selfie da accoppiare ad una lista limitata di emoji.

Il fondatore Alexis Barreyat racconta di aver deciso di creare un proprio social network dopo aver lavorato a stretto contatto con gli influencer e aver conosciuto la loro estetica patinata ed estremamente curata durante un’esperienza lavorativa come produttore di video per GoPro, il marchio di telecamere indossabili molto amate da youtuber e blogger di viaggio.

In effetti, le foto che si trovano nella sezione Discovery di BeReal – quella su cui vengono mostrate le immagini degli altri utenti – sono molto lontane da quello che siamo abituati a vedere sui social network. Sono tantissimi i post che mostrano solo le punte delle scarpe di qualcuno che cammina, la vista dal finestrino di un autobus durante i noiosi spostamenti da pendolari, le cene semplici degli studenti universitari, i calzini di chi non stava facendo altro che guardare la televisione, steso sul divano. Dove ci si potrebbe aspettare una cameretta luminosa e curata, magari colma di piante e poster ricercati come va di moda su Instagram, c’è invece il selfie di una ragazza struccata che studia sul letto sfatto, tra fogli sparsi ed evidenziatori.

Dopo un primo picco di popolarità in Francia nell’estate 2021, l’app ora sta trovando fortuna nei campus universitari statunitensi. Sul giornale studentesco dell’Università Duke, una delle più prestigiose del paese, la giovane giornalista Jules Kourelakos ha spiegato così il fascino del nuovo social network: «è un sollievo vedere le ragazze e i ragazzi delle confraternite che trascorrono i martedì sera a studiare o quel gruppo di amici le cui storie su Instagram consistono esclusivamente in cene costose in centro che mangiano una pizza mediocre del supermercato come il resto di noi. E, nel bene e nel male, ti senti meno in colpa per aver dormito fino alle 13:00 quando apri BeReal e vieni accolto da cinque foto identiche di facce assonnate che fanno capolino dalle coperte».

Al contrario della Francia, dove BeReal era cresciuta soprattutto grazie al passaparola, negli Stati Uniti la startup sta cercando attivamente di attrarre nuovi giovani utenti  organizzando feste nelle città universitarie e assumendo “ambasciatori” che studiano nei principali campus. D’altronde, molti social network – da Facebook a Snapchat – erano stati adottati in massa dagli studenti universitari prima di diventare le grandi piattaforme che sono oggi.

È troppo presto per dire se BeReal riuscirà a prendere piede al di fuori delle bolle universitarie: da Peach a Clubhouse, sono tantissime le app di cui negli ultimi anni si è parlato come di potenziali risposte ai problemi dei social network, prima che scomparissero nell’irrilevanza. E non è nemmeno chiaro come intenda fare soldi l’azienda quando avrà esaurito i finanziamenti, dato che l’app al momento è gratuita, non contiene pubblicità e non è disegnata per trattenere gli utenti al suo interno per molto tempo, al contrario di Instagram, Facebook, Twitter o TikTok.

Ciò che è chiaro, però, è che gli esperimenti come BeReal riflettono la stanchezza che moltissime persone provano di fronte alla trasformazione di piattaforme come Instagram, che era nato nel 2010 come un semplice spazio dove condividere le proprie foto con gli amici e che nell’arco di dodici anni è diventato una specie di enorme centro commerciale digitale, dove è spesso difficile distinguere tra i tantissimi contenuti sponsorizzati e promozionali e i post autentici.

Già dal 2015 alcune influencer avevano cominciato a parlare apertamente di come fosse davvero la loro vita, al di là dei loro profili pubblici estremamente curati, e oggi esiste un intero filone di profili Instagram che denunciano gli effetti deleteri della piattaforma sulla percezione di sé che hanno i suoi utenti.

Per sfuggire alla necessità percepita di proiettare costantemente un’immagine idealizzata di sé e del proprio stile di vita, poi, da anni tantissimi utenti (tra cui svariate celebrità) creano profili secondari aperti solo agli amici stretti, i cosiddetti finsta. Come scriveva Valeriya Safronova sul New York Times già nel 2015, nei finsta «i principi che guidano Instagram vengono allegramente ignorati: se pubblicare più di una volta al giorno su un account principale è considerato un passo falso, è perfettamente accettabile, su un account finstagram, scatenare un flusso di immagini banali, screenshot di conversazioni e selfie brutti».

Da allora, ciò che è considerato accettabile e opportuno su un profilo pubblico anche di una certa rilevanza è in parte cambiato. Da un paio di anni Instagram si è progressivamente riempito dei cosiddetti “photodump”, cioè sequenze (“caroselli”, come vengono chiamati in gergo) di foto slegate tra loro in cui trovano spazio immagini scattate in momenti e posti diversi – spesso non belle abbastanza da meritare un post tutto per loro – ma anche meme o selfie sfocati. Secondo Maya Ernest, che ha descritto il fenomeno per Input Magazine, i “photodump” ricordano l’Instagram delle origini, ma «senza i filtri brutti»: uno spazio da usare come album personale piuttosto che come vetrina.

Al contrario di BeReal, però, i “photodump” mantengono una certa cura e artificiosità: «potrebbero essere la cosa più vicina all’autenticità che possiamo avere [sulla piattaforma]», scrive Ernest, ma «nonostante la nonchalance delle foto inserite al loro interno, ognuna è stata appositamente scelta per essere pubblicata su Instagram».