La Russia può essere espulsa dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU?

Risposta breve: no. Risposta lunga: è complicato

Il Consiglio di sicurezza dell'ONU, riunito per parlare della guerra in Ucraina il 29 marzo 2022 (AP Photo/John Minchillo)
Il Consiglio di sicurezza dell'ONU, riunito per parlare della guerra in Ucraina il 29 marzo 2022 (AP Photo/John Minchillo)
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Nel discorso che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha tenuto martedì al Consiglio di Sicurezza dell’ONU – l’organo più importante dell’ONU, l’unico che può approvare le sanzioni e autorizzare un intervento militare – Zelensky ha insistito molto sulla necessità che il Consiglio condanni l’invasione russa dell’Ucraina. Una condanna non avrebbe solo un valore simbolico, ma legittimerebbe la resistenza armata ucraina anche dal punto di vista del diritto internazionale.

Il Consiglio non ha ancora condannato l’aggressione russa, e probabilmente non lo farà mai, perché la Russia è uno dei cinque paesi ad avere il potere di veto sulle decisioni prese dal Consiglio, e può quindi bloccare qualsiasi decisione proposta. Proprio a proposito del veto a disposizione della Russia, Zelensky ha aggiunto che il meccanismo dei veti va riformato «affinché il diritto di veto non si trasformi nel diritto di uccidere». È una possibilità di cui si dibatte da tempo, così come dall’inizio della guerra si discute se sia possibile sospendere o espellere la Russia dall’ONU, quindi anche dal Consiglio di Sicurezza, e impedire che eserciti il suo diritto di veto.

La stragrande maggioranza degli esperti di diritto internazionale ritiene che nessuna delle due opzioni sia davvero percorribile, anche se qualcuno ha posizioni più sfumate.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU fu istituito nel 1945, alla fine della Seconda guerra mondiale, per cercare di prevenire e risolvere le controversie internazionali e mantenere così la pace; fu creato anche per “consolidare” la posizione dei paesi usciti vincitori dalla guerra, e garantire loro una posizione dominante nel nuovo sistema internazionale. Il Consiglio può imporre sanzioni, autorizzare interventi armati (solo in pochissime circostanze) e rimandare alcuni casi particolari alla Corte internazionale di giustizia, il principale tribunale dell’ONU. È composto dai rappresentanti di 15 stati membri, di cui 5 permanenti (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) e 10 a rotazione in base alla collocazione geografica.

La Carta delle Nazioni Unite, il trattato fondante dell’ONU, prevede che uno stato membro possa essere sospeso (articolo 5) o espulso (articolo 6) dall’ONU, e quindi anche dal Consiglio di Sicurezza, attraverso una procedura specifica. La sospensione o l’espulsione deve essere approvata da almeno due terzi dei membri dell’Assemblea Generale dell’ONU – cioè il principale organo, a cui partecipano i rappresentanti di tutti gli stati membri – sulla base di una raccomandazione del Consiglio di Sicurezza.

I cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza hanno il diritto di porre il veto, quindi di non fare approvare, ogni raccomandazione o decisione presa dal Consiglio ad eccezione delle decisioni sulle questioni procedurali. La sospensione o l’espulsione di uno stato membro dall’ONU non può essere considerata materia procedurale, e lo lascia intendere anche l’articolo 18 della Carta delle Nazioni Unite. Serve quindi che tutti i membri permanenti siano d’accordo: anche la Russia.

La Russia può dunque mettere il veto su ogni proposta di sospensione o espulsione nei propri confronti, di fatto bloccandola. La sospensione o l’espulsione della Russia dal Consiglio di Sicurezza è «di fatto impossibile», ha sintetizzato a Defense One Richard Gowan, direttore del dipartimento dell’ong International Crisis Group che si occupa dell’ONU.

Alcuni giuristi ritengono che esista un’altra strada, più indiretta, per sospendere di fatto la Russia dai lavori dell’ONU: ritirare le credenziali che permettono al governo russo di rappresentare legittimamente i cittadini russi. Ne ha parlato per esempio la ricercatrice Rebecca Barber in un recente articolo sul blog della rivista specializzata European Journal of International Law.

Il rilascio delle credenziali per rappresentare un paese è una questione di natura perlopiù amministrativa. Può capitare che emergano questioni delicate e controverse, per esempio quando c’è un colpo di stato in un certo paese. In quel caso quale delegazione ha la piena legittimità per rappresentare quel paese? Il nuovo o il vecchio governo? Spetta all’Assemblea Generale prendere una decisione.

Barber fa notare che il caso della Russia non riguarda questa eventualità – non ci sono due governi in competizione che si dichiarano legittimi rappresentanti dei russi – ma che parliamo comunque di «un governo che sta violando esplicitamente le norme del diritto internazionale, così come i principi stabiliti dalle Nazioni Unite. È possibile sfruttare il meccanismo di sospensione delle credenziali per aggirare i limiti dell’articolo 5?». La risposta è sì, secondo Barber, «perché in passato è già stato fatto».

Barber si riferisce soprattutto a un caso che ha riguardato il Sudafrica. All’inizio degli anni Settanta diversi paesi africani avviarono una campagna per sospendere il Sudafrica dall’ONU per via delle misure previste dall’apartheid, cioè il sistema legalizzato di discriminazione razziale contro i neri sudafricani. Nel 1974 la questione arrivò infine al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, in cui si discusse la raccomandazione di sospendere il Sudafrica per via della sistematica violazione delle norme del diritto internazionale compiuta dal governo di allora. Il 30 ottobre del 1974 Stati Uniti, Francia e Regno Unito, alleati del regime sudafricano, misero il veto alla raccomandazione, e la proposta non fu approvata.

Nelle settimane successive gli stati africani provarono allora ad aggirare la decisione del Consiglio di Sicurezza proponendo che al Sudafrica venissero sospese le credenziali per partecipare ai lavori dell’Assemblea Generale dell’ONU perché non rappresentava a pieno titolo il popolo sudafricano. La campagna ebbe successo: il presidente dell’Assemblea generale, l’allora ministro degli Esteri algerino Abdelaziz Bouteflika, sospese le credenziali del Sudafrica e la sua decisione fu confermata da un voto a larga maggioranza dell’Assemblea Generale. Le credenziali furono successivamente riattivate nel 1994 dopo la fine dell’apartheid.

La decisione del 1974 però fu criticatissima e ancora oggi è oggetto di dibattito fra i giuristi, alcuni dei quali la ritengono una forzatura. Benedetto Conforti e Carlo Focarelli, noti studiosi italiani di diritto internazionale, nel loro libro Le Nazioni Unite hanno scritto per esempio che «la Carta non prevede casi di sospensione dei diritti connessi allo status di membro fuori dei presupposti e delle procedure» previsti dall’articolo 5.

Sembra ugualmente impossibile, inoltre, modificare i meccanismi del diritto di veto in sede di Consiglio di Sicurezza, come ha chiesto Zelensky. La ragione è la stessa per cui, per esempio, il Consiglio dell’Unione Europea è vincolato a prendere decisioni all’unanimità su tutte le questioni più rilevanti: l’unanimità è prevista dai trattati europei, che per essere modificati hanno bisogno di una decisione unanime di tutti gli stati membri. E nessuno dei paesi europei più piccoli e meno influenti vuole rinunciare al proprio potere di veto, uno strumento politicamente potentissimo.

Allo stesso modo, nessuno dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU intende rinunciare al proprio diritto di veto. «Ogni modifica della composizione del Consiglio di Sicurezza deve essere decisa dagli stati che ne fanno parte», ha commentato laconicamente un portavoce del segretario generale dell’ONU, António Guterres, al Wall Street Journal.