Le opinioni prima dei fatti

Giuseppe De Rita ipotizza sul Corriere della Sera che l'"opinionismo" possa cambiare le nostre società più di quanto non ci stiamo accorgendo

(Reg Speller/Fox Photos/Getty Images)
(Reg Speller/Fox Photos/Getty Images)

Giuseppe De Rita fa il sociologo ed è presidente dell’istituto di ricerche sociali ed economiche che si chiama Censis. Sul Corriere della Sera di martedì si è domandato se l’affollamento di “opinioni” – quelle di ognuno sui social network, ma prima ancora lo spazio che dedicano loro i media tradizionali – prive di consistenza fattuale o di un livello di competenza di chi le esprime superiore a quello dell’avere semplicemente vissuto, non stia diventando solo una questione di quantità (già abbondantemente stigmatizzata da anni) ma anche di qualità: e non stia cambiando le nostre civiltà e relazioni con la realtà.

Dicevano i nostri vecchi che «la matematica non è un’opinione», sicuri che le verità indiscutibili non possono essere scalfite da ondeggianti valutazioni personali, spesso dovute a emozioni interne e collettive.
Temo che quella sicurezza non abbia più spazio nell’attuale dinamica culturale. Se qualcuno si esponesse a dire che due più due fa quattro, si troverebbe subito di fronte qualcun altro che direbbe «questo lo dice lei», quasi insinuando il dubbio che non si tratta di una verità, ma di una personale opinione. Vige ormai da tempo qui da noi la regola «uno vale uno». Non ci sono verità che non possano essere messe in dubbio: tu la pensi così, ma io la penso al contrario e pari siamo. Non ci sono santi, dogmi, decreti, ricerche di laboratorio, tabelle statistiche; vale e resta dominante il primato dell’opinione personale.
Siamo così diventati un popolo prigioniero dell’opinionismo, e ormai non solo per tradizione di tifo calcistico, ma di lettori di tutti i problemi e gli eventi su cui si svolge la nostra vita collettiva. Basta comprare al mattino un quotidiano e si rimane colpiti da prime pagine piene di riferimenti che annunciano tanti articoli interni, quasi tutti rigorosamente legati a fatti d’opinione, a personaggi d’opinione, a polemiche d’opinione, in un inarrestabile primato dell’Opinione regina mundi.
Da vecchio opinionista (lo sono su questo giornale dal 1976) mi sorprende quanto siano ampie e forti le ondate quotidiane d’opinione, il loro rimpallarsi a circolo, l’enfasi che ci si mette per mantenersi l’uditorio, la propensione a sentirne la potenza di convincimento quasi la presunzione di far parte di un mondo, non condizionato da altri poteri, un «mondo potente di suo».
Non ci rendiamo però conto che restiamo tutti prigionieri di livelli culturali bassi, inchiodati alle proprie opinioni, refrattari a livelli più alti di conoscenza, restii all’approfondimento, al confronto, alla dialettica.

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