Yvan Colonna, l’indipendentista corso
Chi era il militante morto due giorni fa dopo essere stato aggredito nel carcere di Arles
Lunedì è morto il militante indipendentista corso Yvan Colonna, che si trovava nel carcere di Arles, in Provenza, e che a inizio marzo era stato aggredito da un altro detenuto. L’aggressione aveva lasciato Colonna in gravissime condizioni e aveva provocato violenti scontri tra centinaia di manifestanti indipendentisti e la polizia in varie città della Corsica.
Colonna aveva 61 anni ed era detenuto in regime di sorveglianza speciale ad Arles per aver fatto parte del commando che nel 1998 uccise il prefetto francese Claude Erignac. Dopo quattro anni di fuga e dopo essere diventato uno degli uomini più ricercati di Francia, venne arrestato il 5 luglio del 2003 e condannato tre volte all’ergastolo. Lui si è sempre dichiarato innocente.
«Yvan è il più bretone dei miei figli», disse Cécile Riou, madre di Yvan Colonna a Le Monde quando alla fine degli anni Novanta il figlio si diede alla clandestinità, ricordando che prima di scappare scelse dalla sua biblioteca Comment peut-on être Breton?, un pamphlet di grande successo editoriale pubblicato nel 1970 da Morvan Lebesque, attivista vicino ai movimenti nazionalisti bretoni di sinistra.
Sia la madre che il padre di Yvan Colonna, Jean-Hugues Colonna, ex deputato delle Alpi Marittime, socialista, massone e repubblicano, erano insegnanti di ginnastica. Insieme decisero di crescere i tre figli (Christine, Yvan e Stéphane) ad Ajaccio, capoluogo della Corsica. Yvan Colonna aveva quindici anni quando scoprì dalla televisione la prima azione e quello che viene considerato l’atto di nascita del movimento indipendentista corso.
Il movimento nazionalista corso è molto vario, ma prese forza tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale e dopo la guerra d’Algeria del 1954-1962, combattuta tra francesi e indipendentisti algerini, molti corsi esuli si trasferirono sull’isola insieme ad altri francesi d’Algeria (i cosiddetti “pieds-noirs”, “piedi neri”): il governo avviò specifici programmi per la regione come la SOMIVAC (Società per lo sviluppo della Corsica) per favorire l’agricoltura e il turismo. Questi sussidi, però, penalizzarono la popolazione locale a vantaggio dei “piedi neri” e degli altri “non corsi” che nel frattempo divennero i proprietari della maggior parte delle nuove aziende create sull’isola.
A metà degli anni Sessanta, tra un diffuso malcontento sociale, cominciarono i primi attacchi contro i luoghi finanziati dalla SOMIVAC, accusata di sostenere e favorire esclusivamente i rimpatriati dall’Algeria. Il 21 agosto del 1975 Edmond Simeoni, fondatore con il fratello del movimento autonomista CRA (Azione Regionale della Corsica), occupò ad Aléria la cantina vinicola di un importante imprenditore pieds-noirs, per protestare contro una truffa che minacciava di mandare in rovina centinaia di piccoli viticoltori locali.
Due giorni dopo l’occupazione intervenne la gendarmeria con 1.200 uomini, appoggiati da alcuni veicoli blindati leggeri: il primo ministro francese era a quel tempo Jacques Chirac. Nell’assalto morirono due poliziotti e un nazionalista rimase gravemente ferito.
Ogni venerdì dei mesi estivi, i Colonna lasciavano Ajaccio per tornare a Cargèse, sulla costa ovest della Corsica.
Fondato nel Diciottesimo secolo dai greci che scappavano dalla dominazione turca, Cargèse costituiva già allora una sorta di stato nello stato: era diventato il centro di una delle principali organizzazioni antinazionaliste e, allo stesso tempo, anche il centro del movimento nazionalista corso. Qui, i contrasti politici si tenevano nelle cucine delle case, ha scritto Libération: ed è forse per questo confronto concreto, quotidiano e radicale che la sezione di Cargèse del Fronte di Liberazione Nazionale Corso (FLNC), il movimento clandestino nato sulla scia degli eventi di Aléria nel maggio 1976, diventò uno dei più radicali.
A Cargèse i Colonna possedevano dei terreni che, negli anni Settanta, cominciarono a crescere di valore soprattutto grazie alla crescita del turismo. Qui venne fondato uno dei primi Club Méditerranée, e quando nell’estate del 1977 il villaggio turistico fu intonacato, su quelle pareti Yvan Colonna firmò il suo primo atto da militante. «Fu il nostro primo attentato», ha raccontato il suo amico d’infanzia Jean-Toussaint Plasenzotti: «Avevamo scritto ovunque: “Il popolo francese deve sostenere il popolo corso nella sua lotta per la liberazione nazionale”». All’epoca Colonna aveva diciotto anni e non viveva più in Corsica.
Nel 1975 aveva seguito i genitori a Nizza, senza riuscire mai ad integrarsi. Lui e la sorella maggiore frequentavano i compagni di scuola corsi e gli studenti e le studentesse della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Nizza, che divenne in quegli anni il principale luogo di elaborazione politica del nazionalismo corso. È qui che nacque la Cunsulta degli studenti corsi, associazione da cui passarono quasi tutte le figure più importanti del nazionalismo dell’isola. Ed è qui dove si scrissero le prime pagine del settimanale “U Ribombu” e dove veniva invitato a cantare il gruppo “Canta u populu corsu”, entrambi indipendentisti.
Alla fine degli anni Settanta, e con dieci anni di ritardo, i giovani dell’isola vissero il loro maggio ’68. Come i suoi compagni e compagne, Colonna cominciò a fare politica attiva, a mettere in discussione la politica continentale sfidando direttamente gli ideali paterni, a issare la bandiera con la testa di moro, ad alzare il pugno alle manifestazioni e a marciare per le strade per chiedere l’indipendenza della sua isola.
Dopo aver finito il liceo, Colonna abbandonò gli studi e contro il parere del padre, appena eletto all’Assemblea nazionale, con la sorella e il fratello decise, nell’estate del 1981, di restare a Cargèse. Alle elezioni comunali del 1983 Colonna si candidò con la sorella nella prima lista nazionalista corsa di Cargèse diventando ben presto il più giovane dei “dirigenti” dei comitati nazionalisti, braccio politico del FLNC.
Quando nel 1990 nacque il suo primo figlio, lui e la compagna lo chiamarono non con il nome dei nonni, un’usanza molto diffusa anche in Corsica, ma Jean-Baptiste, in omaggio all’amico Acquaviva, militante della causa nazionalista ucciso nel 1987 durante un’azione del FLNC e considerato dal movimento stesso come la vittima di un crimine di stato.
A Cargèse, durante il giorno, Yvan Colonna si prendeva cura di un ovile. Si alzava alle 5 del mattino e tornava a casa alle otto della sera. «Un ascetismo che si confaceva alla visione del nazionalismo di questo monaco-soldato», ha scritto Le Monde. E qui Colonna diventò, secondo Libération, una figura quasi mitica: «Quella di un uomo che nutre le capre di giorno e sfida Parigi di notte».
Colonna non riconobbe mai ufficialmente le sue attività clandestine di quegli anni, ma venne spesso fermato dalla polizia e arrestato: nel 1983, poi di nuovo nel 1994, ma ogni volta venne rilasciato. «Ci sono stati 3.000 attacchi nella mia regione e non sono mai stato catturato», ha detto lui stesso durante uno dei suoi processi per l’assassinio di Erignac. Il FLNC, nel corso di quarant’anni, organizzò migliaia di attentati, compì assalti contro banche, edifici pubblici sia civili che militari, e venne accusato di rapine a mano armata ed estorsioni attraverso l’imposizione delle cosiddette “tasse rivoluzionarie”.
Il primo episodio di partecipazione attiva di Colonna a una di queste operazioni, e di cui si ha notizia, avvenne il 6 settembre del 1997, quando partecipò facendo da palo all’attentato alla gendarmeria di Pietrosella, nel sud dell’isola. Questo attacco fu fondamentale, perché i tre proiettili che poi uccisero il prefetto Erignac furono rubati ai poliziotti presi brevemente in ostaggio durante quell’operazione.
Meno di sei mesi dopo, il 6 febbraio 1998, Claude Erignac venne ucciso con tre colpi di pistola sparati da distanza ravvicinata alla testa e al collo, nel centro di Ajaccio dove il prefetto avrebbe dovuto assistere a un concerto di musica classica. Tre giorni dopo, un comunicato stampa di un gruppo chiamato “Les Anonymes” rivendicò l’assassinio.
Sull’isola iniziò la ricerca dei responsabili che portò tra le altre cose al sequestro di un elenco telefonico contenente i recapiti di un gran numero di nazionalisti. Questo quaderno servì da pretesto per eseguire centinaia di arresti e interrogatori. Ma fu solo nel maggio del 1999, a quindici mesi dall’attentato, che si arrivò all’arresto della maggior parte di quelli che da lì in poi sarebbero stati chiamati membri del “commando Erignac”. E furono alcuni di loro a fare il nome di quello che indicarono come l’esecutore dell’assassinio del prefetto: Yvan Colonna, che nel frattempo era entrato in clandestinità.
Colonna, le cui tracce vennero seguite da Marsiglia al Venezuela, venne trovato dopo quattro anni e arrestato, nel luglio del 2003, a Olmeto, circa cento chilometri a sud di Cargèse. Nicolas Sarkozy, all’epoca ministro dell’Interno che si stava preparando per candidarsi alla presidenza del paese, annunciò la notizia con grande enfasi dichiarando, tra molte critiche per aver scavalcato il principio della presunzione di innocenza, che la polizia francese aveva appena arrestato Yvan Colonna, «l’assassino del prefetto Erignac».
Colonna venne condannato in primo grado all’ergastolo, nel 2007, e poi in appello due anni dopo, condanna che nel la Corte di Cassazione perché non era stata rispettata la procedura durante l’audizione di un perito balistico. Dopo un nuovo processo, in cui venne difeso da Gilles Simeoni, ex sindaco di Bastia e oggi presidente del consiglio esecutivo della Corsica, Yvan Colonna fu nuovamente condannato all’ergastolo. Dopo il rigetto di un ricorso della Corte di Cassazione la condanna divenne definitiva e Colonna fu sottoposto al cosiddetto DPS (Détenu particulièrement signalé), un regime di sorveglianza speciale a causa del quale gli fu sempre negato il riavvicinamento in una prigione corsa, richiesto più volte alle autorità francesi.
, Colonna si rivolse anche alla Corte europea dei diritti umani, sostenendo di non aver avuto diritto a un processo equo. Ma il tribunale, nel 2016, dichiarò inammissibile la sua richiesta.