Le trattative per vendere Tim a KKR si fanno serie

Dopo mesi di discussioni la società di telecomunicazioni ha detto che valuterà l'offerta di novembre del fondo statunitense

(ANSA / MATTEO BAZZI)
(ANSA / MATTEO BAZZI)

Domenica il consiglio di amministrazione di Tim, la principale azienda di telecomunicazioni italiana, ha risposto per la prima volta ufficialmente alla manifestazione di interesse presentata lo scorso novembre dal fondo d’investimento KKR. Il fondo aveva proposto di rilevare almeno il 51 per cento del capitale di Tim, nell’ambito di un’offerta pubblica di acquisto (OPA) «non vincolante», cioè per avviare le trattative senza impegnarsi formalmente.

Domenica, dopo più di tre mesi da quella proposta e molte discussioni e cambiamenti all’interno di Tim, la società ha risposto di aver dato mandato al presidente e all’amministratore delegato «di avviare un’interlocuzione con KKR, formale e ulteriore rispetto a quelle già intraprese informalmente nei mesi scorsi dai consulenti», nella prospettiva di conseguire «la massima valorizzazione di Tim».

Insomma Tim ha chiesto che KKR presenti ufficialmente una proposta di acquisto concreta, «nella convinzione che vi sia in Tim un valore inespresso». In quest’ultima frase, già pronunciata in termini simili nei mesi scorsi da diversi dirigenti per commentare ufficiosamente la proposta di KKR, Tim dice in sostanza che la proposta presentata dal fondo a novembre dovrebbe essere alzata. Si ritiene però difficile che ciò accada, soprattutto a causa dei risultati molto deludenti dell’azienda negli ultimi mesi e la conseguente perdita di valore delle sue azioni sul mercato.

A novembre KKR si era detta disponibile a un’OPA pari 0,505 euro per azione, valutando complessivamente Tim in 11 miliardi di euro: era un’offerta considerata vantaggiosa per Tim, le cui azioni valevano allora 0,33 euro, ma non abbastanza soddisfacente per il suo azionista di maggioranza, Vivendi, che possiede il 24 per cento delle azioni Tim.

Nel frattempo però il titolo è sceso a 0,29 euro, e sembra improbabile che KKR confermi la stessa offerta di novembre. Dai risultati annuali emerge che il gruppo Tim ha chiuso il 2021 con una perdita di 8,7 miliardi di euro. Ci sono state, tra l’altro, le dimissioni dell’amministratore delegato Luigi Gubitosi e la sua sostituzione con Pietro Labriola, che pochi giorni fa ha presentato un ambizioso piano di riorganizzazione di tutta l’azienda per i prossimi due anni.

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KKR è un fondo d’investimento che esiste dalla metà degli anni Settanta e si è specializzato nell’acquisto di società, solitamente molto indebitate, tramite prestiti forniti dalle banche, che ricevono come garanzia i beni della stessa azienda oggetto dell’operazione finanziaria. La sua proposta di acquisto di Tim ha come obiettivo soprattutto la rete, più che gli altri servizi del gruppo. KKR è infatti azionista per il 37,5 per cento di FiberCop, una delle due società che stanno costruendo la rete di fibra ottica in Italia e che è di Tim per quasi il 60 per cento.

L’apertura di Tim a un’offerta di KKR arriva peraltro in un momento in cui c’è un’altra trattativa che si sta iniziando a delineare, ma che ancora non è stata ufficializzata, per la creazione di un’infrastruttura unica per la banda larga a controllo pubblico dalla fusione di Open Fiber – società posseduta al 60 per cento da Cassa Depositi e Prestiti (controllata dal ministero dell’Economia) e al 40 per cento da un fondo australiano – con Fibercop.

A facilitare la fusione c’è il piano presentato da Labriola a inizio marzo, che prevede la separazione di Tim tra una società che si occupi di servizi e una che si occupi solo di infrastrutture di rete: sarebbe quest’ultima a gestire FiberCop e a unirsi a Open Fiber. Ma non si sa quando potrà avvenire questa fusione: a giugno infatti verranno assegnati i bandi del PNRR (per fondi che ammontano in tutto a 3,8 miliardi di euro),per portare la banda ultralarga nelle “aree grigie” del paese, zone in cui il governo ha l’obiettivo di  portare almeno una rete di banda ultralarga, ma è difficile che per allora si raggiunga un accordo. C’è infatti l’ipotesi che l’Antitrust si opponga alla fusione, dato che Cassa Depositi e Prestiti oltre a controllare Open Fiber è anche azionista di minoranza di Tim.

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