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  • Giovedì 10 marzo 2022

Il Tottenham vuole sganciarsi dai riferimenti all’ebraismo

La squadra fondata nella comunità ebraica di Londra dice che i tempi sono cambiati e usarli crea un ambiente meno accogliente

Tifosi del Tottenham allo stadio Metropolitano di Madrid per la finale di Champions League del 2019 (Clive Rose/Getty Images)
Tifosi del Tottenham allo stadio Metropolitano di Madrid per la finale di Champions League del 2019 (Clive Rose/Getty Images)

Dallo scorso novembre la squadra di calcio inglese del Tottenham è allenata da Antonio Conte, subentrato a stagione in corso per tentare di raddrizzarne l’andamento dopo un inizio stentato. Finora però la squadra ha continuato a essere piuttosto discontinua, come da molti anni a questa parte: a vittorie di un certo peso, come quella del 19 febbraio contro il Manchester City primo in classifica, sono seguite spesso sconfitte difficili da spiegare, come le ultime subite contro Burnley e Middlesbrough, squadra di seconda divisione incontrata nella coppa nazionale.

Conte non sembra entusiasta e i giornali inglesi ipotizzano anche un suo ripensamento circa la decisione di accettare l’incarico. Intanto però il club sta proseguendo una lunga fase di ristrutturazione che negli ultimi anni ha toccato in modo particolare l’identità del club. Dopo aver cambiato stadio ed essersi data maggiori ambizioni, la dirigenza ora sta cercando di intervenire sulle abitudini dei suoi tifosi. A febbraio è stata chiara: vuole che il pubblico smetta o perlomeno diminuisca l’uso di termini e simbologie legate all’ebraismo negli ambienti del club.

L’intento è di includere maggiormente quei tifosi che non conoscono o non danno significato a quel tipo di identità, considerando anche l’impatto del cambiamento demografico in quella parte di paese che per il Tottenham costituisce il principale “bacino” di tifosi. L’area metropolitana di Londra è la zona etnicamente e religiosamente più diversificata del Regno Unito. Quasi il 20 per cento degli oltre 9 milioni di residenti ha origini asiatiche e le persone di religione diversa da quella cristiana rappresentano oltre il 25 per cento della popolazione (contro il 10,6 per cento su base nazionale). La capitale inglese ha inoltre la più alta percentuale di non credenti del Regno Unito.

(Catherine Ivill/Getty Images)

Il Tottenham nacque 139 anni fa come squadra del Nord di Londra, una zona all’epoca abitata da una massiccia e distinta comunità ebraica. Dai primi decenni del Novecento la squadra si legò sempre di più alla comunità ebraica di quella parte di Londra, di carattere perlopiù operaio e rinfoltita dai flussi migratori provenienti dall’Europa centrale e orientale. Negli anni le connotazioni del tifo legato al Tottenham divennero note nel paese: in quel periodo storico, questo portò anche alla diffusione di abusi e insulti antisemiti. I tifosi del Tottenham, come risposta, usarono quegli stessi insulti per affermare e difendere la loro identità. Ricorsero quindi a termini come yid o yiddos — derivanti dallo yiddish, la vecchia lingua degli ebrei nell’Europa centrale e orientale — per chiamare nuovi gruppi di tifosi, come lo Yid Army, e incominciarono a usare insistentemente bandiere d’Israele dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Come successo a tante altre grandi squadre europee, tuttavia, nel corso dei decenni la connotazione della tifoseria del Tottenham, molto definita agli inizi del Novecento, è diventata sempre meno evidente: ora è perlopiù storia, dato che secondo certe stime i tifosi di fede ebraica non supererebbero il cinque per cento del totale. Sono rimasti però gli abusi legati all’identità ebraica — sia quando la squadra gioca nel Regno Unito sia quando viaggia in Europa — e all’interno della tifoseria è rimasta l’usanza di esporre bandiere ebraiche e cantare il coro del cosiddetto Yid Army.

Ora, però, di pari passo con la rifondazione che il Tottenham ha vissuto in questi anni e che l’ha resa a tutti gli effetti una grande squadra europea, il club chiede ai suoi tifosi di abbandonare tutti questi riferimenti. Ha lanciato una campagna, The WhY Word, che invita alla riflessione. «Abbiamo sempre riconosciuto che si tratta di una questione complessa» si legge nella sezione dedicata del sito. «L’uso della parola Y da parte dei nostri sostenitori è nata come risposta agli abusi antisemiti dei tifosi avversari, in un periodo in cui questi non subivano sanzioni. Il termine continua a essere usato ancora, non per offendere, ma per mostrare unità attorno alla squadra e come meccanismo di difesa contro gli abusi antisemiti che ancora esistono. Ma come club vogliamo creare un ambiente accogliente in cui ciascuno dei nostri tifosi possa sentirsi incluso nell’esperienza. È chiaro che l’uso di questi termini non sempre lo rende possibile, indipendentemente dal contesto e dall’intenzione».

Nelle ricerche condotte di recente, il club avrebbe riscontrato un certo malumore all’interno della tifoseria nei confronti dell’uso di termini legati alla cultura ebraica, e a questo si aggiunge il fatto che i tifosi più giovani spesso non sono consapevoli dei significati e del loro contesto storico quando li utilizzano. Da una parte le posizioni del club sembrano essere generalmente condivise, ma c’è chi difende le vecchie usanze di una parte del pubblico, che altrove, in altri club, vengono invece preservate. Già alcuni anni fa l’ex primo ministro inglese David Cameron disse la sua opinione riguardo, il cui significato rimane ancora tra i più citati: «C’è una differenza tra i tifosi del Tottenham che si definiscono yids e chi li offende con lo stesso termine. L’odio».