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  • Mercoledì 9 marzo 2022

Kiev assediata, raccontata da Bulgakov

Nel romanzo "La guardia bianca", ambientato nella capitale ucraina tra il dicembre del 1918 e il febbraio del 1919

Una manifestazione patriottica a Kiev, in Ucraina, nel 1917 (Wikimedia Commons)
Una manifestazione patriottica a Kiev, in Ucraina, nel 1917 (Wikimedia Commons)

I pavimenti sono lucidi, e adesso, in dicembre, sul tavolo, nel vaso opaco a colonna ci sono ortensie azzurre e due rose cupe e languide, a ribadire la bellezza e la solidità della vita nonostante sulle vie d’accesso alla Città ci sia un nemico infido, che forse potrebbe persino distruggere la bellissima Città innevata, e calpestare sotto ai tacchi quel che resta della pace.

da La guardia bianca di Michail Bulgakov,
nella traduzione di Serena Prima (Feltrinelli, 2011)

La «Città» citata in questo passaggio è Kiev, alla fine del 1918. Il primo romanzo di Bulgakov (1891-1940), lo scrittore russo noto soprattutto come autore di Il Maestro e Margherita, racconta del turbolento periodo che la città attraversò tra il 12 dicembre 1918 e il 3 febbraio 1919, quando era assediata da diverse forze militari. Pur descrivendo una situazione e una guerra completamente differenti da quelle attuali, le pagine di La guardia bianca citano alcuni dei luoghi che in questi giorni occupano le prime pagine dei giornali.

Nel 1917 in Russia si erano susseguite la Rivoluzione di febbraio (che avvenne in marzo, secondo il calendario gregoriano, quello usato nell’Europa occidentale) e la Rivoluzione di ottobre (in novembre), che avevano messo fine all’impero degli zar. Già nella prima metà del 1917 l’Ucraina si era proclamata indipendente dalla Russia, ma la situazione era molto instabile e varie forze politiche si avvicendarono al potere: dopo la Rivoluzione d’ottobre, quando a San Pietroburgo ci fu la presa del potere dei bolscevichi, in Ucraina si contrapposero un governo formato da un consiglio di orientamento socialista e un altro vicino ai bolscevichi. Nel marzo del 1918 i socialisti rientrarono a Kiev con il sostegno dell’esercito tedesco – nel frattempo era ancora in corso la Prima guerra mondiale – che poi li sostituì con il governo dell’etmano Pavlo Skoropadskij, un aristocratico ucraino che riuniva intorno a sé molti militari russi e ucraini che si opponevano ai bolscevichi.

Con la resa senza condizioni della Germania nella Prima guerra mondiale, a novembre i tedeschi abbandonarono Kiev. Secondo gli accordi internazionali, i paesi dell’Intesa, l’alleanza che aveva vinto la guerra, avrebbero dovuto rimpiazzare le forze tedesche in Ucraina per contrastare l’avanzata dei bolscevichi, ma non lo fecero: per questo il governo di Skoropadskij non riuscì a impedire la presa del potere da parte del socialdemocratico ucraino Simon Petljura che, sostenuto dai contadini e dagli indipendentisti, conquistò Kiev il 14 dicembre, poco dopo l’inizio di La guardia bianca. Nei due mesi che seguirono, prima che l’Armata Rossa occupasse la città a sua volta il 5 febbraio del 1919, Kiev fu al centro di scontri tra forze diverse: chi voleva l’Ucraina indipendente e comandata dal popolo ucraino, chi avrebbe voluto un ritorno alla monarchia zarista e una riunificazione di Ucraina e Russia (le guardie bianche e i profughi russi in fuga da Mosca e San Pietroburgo) e i bolscevichi.

Ed ecco che nell’inverno del 1918, la Città viveva una vita strana, innaturale, quale con ogni probabilità più non avrà a ripetersi in tutto il ventesimo secolo. Di là dalle pareti di pietra tutti gli appartamenti erano stracolmi. La gente che da tempo immemorabile ci viveva si stringeva e continuava sempre più a stringersi, per accogliere, volente o nolente, sempre nuovi rifugiati che confluivano nella Città.

In quel contesto a Kiev era molto difficile capire cosa stesse succedendo nel resto dell’Ucraina, in Russia e nel mondo, e La guardia bianca racconta proprio questa strana e confusa situazione, paragonata a una grande tempesta invernale. Il romanzo, scritto tra il 1924 e il 1925, fu a lungo censurato nell’Unione Sovietica ed ebbe una storia travagliata: solo negli anni Novanta fu possibile recuperare quello che sarebbe dovuto essere il finale originale. Ebbe più fortuna la versione teatrale, I giorni dei Turbin, che piacque moltissimo a Stalin, secondo cui rappresentava «una dimostrazione della forza travolgente del bolscevismo».