Una canzone dei Police

E altre storie poliziesche

(Julien Hekimian /Getty Images)
(Julien Hekimian /Getty Images)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
C’è una canzone nuova di Florence + The machine, rock band britannica guidata da Florence Welch che è andata molto forte nell’ultimo decennio.
Alla fine l’eccitazione intorno alle apparizioni dei Daft Punk su Instagram si dovrà accontentare di una ristampa e poco più.

Omegaman
The Police

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Oggi sono stato in un commissariato milanese per completare delle pratiche legate al mio famigerato smarrimento romano di documenti su cui vi ho già annoiato. Sono stato accolto da una coppia di agenti giovani e cordiali, di grande efficienza, che sono rimasti esterrefatti dalla superficialità sbrigativa della pratica che era stata svolta dai loro colleghi romani (uno dei due era romano pure lui). Mentre si scambiavano il documento della denuncia che avevo loro consegnato cercando informazioni che non trovavano, commentavano critici le sue lacunosità e cercavano di individuare qualche elemento sui referenti che se ne erano occupati: un nome, una firma. Uno di loro a un certo punto si è illuminato e col tono di “ah, vedi, e di che ti meravigli?” ha letto una data di nascita, “quindici-dodici-sessantaquattro”, con quel tono e quell’allusione che mi sono familiari perché affiorano spesso nelle conversazioni della redazione venti-trentenne del Post.
Solo che “quindici-dodici-sessantaquattro” sul foglio era la mia, di data di nascita. Ho dovuto togliere il giovane agente dall’imbarazzo  (“che figura di merda”) cambiando rapidamente discorso.

Non un grandissimo aneddoto, lo so, ma era per condividere un’ennesima coincidenza con la canzone che mi ero già preparato per stasera: anzi con la band. Che facemmo in tempo a vedere, con mio fratello Nicola, in concerto durante un motorshow bolognese all’inizio degli anni Ottanta, avevamo 17 e 16 anni. Anche se devo dire che la cosa che mi ricordo di più di quel concerto è la tempesta di bottiglie di plastica che volarono tra il pubblico prima del concerto: erano tempi in cui si facevano di quelle cazzate.

Era uscito da poco questo disco, quello di Every little thing she does is magic: loro avevano fatto il botto già col precedente. E tutte le gran canzoni dei Police le sapete: questa invece è una delle più laterali e oscure ma io ho sempre avuto un debole per l’anomala sproporzione tra il “tiro” della strofa – precipitosa e incalzante, irresistibile – e l’irrilevanza del refrain, mentre di solito avviene il contrario. L’aveva scritta Andy Summers, il meno rockstar dei tre. Fu ispirata da un film apocalittico con Charlton Heston che immaginava un futuro in cui ci saremmo nutriti con un cibo sintetico, e che in originale si chiamava Soylent green: “bing!”, avranno pensato i lettori del Post di migliore memoria.
Omegaman fu in ballo per essere il primo singolo del disco, ma Sting non fu d’accordo, ed ebbe ragione. Ma non per colpa di Omegaman.

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