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  • Venerdì 11 febbraio 2022

È un italiano ad aver ingannato per anni l’editoria di mezzo mondo?

Filippo Bernardini è accusato di essere dietro a un'enorme truffa per farsi inviare libri non ancora pubblicati, per il solo gusto di farlo

di Arianna Cavallo

(Kai Schwoerer/Getty Images)
(Kai Schwoerer/Getty Images)

Negli ultimi cinque anni il mondo dell’editoria internazionale ha avuto a che fare con una misteriosa truffa online: qualcuno, fingendosi abilmente dell’ambiente, riusciva a farsi inviare importanti e attesi manoscritti, cioè i testi di libri non pubblicati, da editor, autori, traduttori, agenti e scout letterari (quelli che consigliano libri ai mercati stranieri). «Nell’ambiente era una cosa grossa, di cui parlavamo molto, soprattutto alle fiere», ha raccontato al Post l’editor di una importante casa editrice italiana. Anche perché era estremamente ramificata: il truffatore inviava incessantemente email in tre continenti (Europa, America e Asia) ed era interessato ai grandi editori e autori – come Margaret Atwood, Ethan Hawke e Sally Rooney – così come ai piccoli, dalle case editrici di nicchia agli scrittori emergenti in lingue lette da poche migliaia di persone.

L’aspetto che rendeva la truffa ancora più affascinante era l’apparente assenza di movente, perlomeno economico: una volta inviati, i manoscritti non venivano rivenduti sul mercato nero, non comparivano sui siti dove scaricare testi illegalmente, non c’è mai stata una richiesta di riscatto e nessuna asta letteraria (quelle fatte dalle case editrici per comprare i diritti per pubblicare di un testo) ne ha risentito. Sembrava, insomma, un lavoro gigantesco portato avanti solo per leggere i libri prima degli altri e per farsi beffe dell’intero sistema. Nell’ambiente circolavano le teorie più disparate su chi fosse il colpevole: i servizi segreti russi che cercavano di destabilizzare l’industria culturale occidentale, il governo cinese o qualche produttore di Hollywood in cerca di nuove storie. Poi il 5 gennaio scorso l’FBI ha arrestato all’aeroporto JFK di New York Filippo Bernardini, un italiano appena arrivato negli Stati Uniti per farsi una vacanza, accusandolo di essere l’autore dell’operazione.

Bernardini ha 29 anni, viene da una nota famiglia di Amelia, in provincia di Terni (il padre, medico, è stato candidato sindaco con il PD prima di passare a una lista civica) e fino al momento dell’arresto lavorava nell’ufficio diritti della filiale londinese della prestigiosa casa editrice statunitense Simon & Schuster, che l’ha prontamente sospeso dall’incarico. L’accusa è di frode telematica e furto d’identità per aver «impersonato, ingannato e cercato di ingannare centinaia di persone», reati per cui rischia rispettivamente un massimo di 20 e un minimo di 2 anni di carcere.

Bernardini, secondo l’accusa, avrebbe registrato almeno 160 indirizzi email simili a quelli di persone esistenti nel mondo dell’editoria, cambiando solo qualche lettera (per esempio simonandschusfer.com anziché simonandschuster.com) e avrebbe hackerato un’agenzia di scout letterari di New York, rubando username e password e ottenendo l’accesso al database pieno di dati e indirizzi. Il 2 febbraio Bernardini è comparso davanti a un tribunale federale di New York, dove si è dichiarato non colpevole; Colleen McMahon, la giudice che sta seguendo il caso, ha espresso un certo sconcerto per il mancato ritorno economico della truffa: «Quindi voleva leggere i libri prima che fossero pubblicati? Interessante, molto interessante».

La carriera editoriale di Bernardini iniziò come lettore (chi legge i manoscritti per una casa editrice e poi ne fa un riassunto dando un parere sull’opportunità di pubblicarli o meno) dopo la laurea in letterature moderne all’università Cattolica di Milano, dove aveva imparato il mandarino. Proseguì nel 2015 con un master in editoria a Londra (e una tesi su Pinocchio) e con l’assunzione come stagista alla Andrew Nurnberg Associates, un’importante agenzia letteraria dove si occupava – si legge nel suo curriculum – di «proporre nuovi libri agli editori in Italia, Spagna, Brasile, Portogallo, Germania, Svezia, Norvegia e Cina». Passava quindi le giornate scrivendo mail in cui descriveva e suggeriva libri a mezzo mondo, mentre affinava la sua conoscenza del linguaggio, dei meccanismi, delle figure e dei personaggi del mondo editoriale.

Non era sgradevole ma non era neanche particolarmente piacevole, «sembrava troppo zelante, troppo ambizioso» ha raccontato un suo ex collega a Reeves Wiedeman e Lila Shapiro, che stanno seguendo la storia di Bernardini per Vulture e che hanno coniato per lui il soprannome di “spine collector“, il collezionista di dorsi (la parte laterale della rilegatura di un libro dove compaiono autore e titolo), molto ripreso dalla stampa. Al termine dello stage non venne assunto e se ne andò senza ricevere le usuali lettere di raccomandazione; non la prese bene e pare che avesse insultato violentemente alcuni ex colleghi per strada. Poco dopo, il sito dell’agenzia venne hackerato. Il colpevole non è mai stato scoperto.

Da allora Bernardini ha faticato a farsi strada nel mondo editoriale internazionale, altamente competitivo e popolato da persone preparatissime, con curriculum simili tra loro, disposte a farsi la guerra per stipendi miseri e ruoli spesso ai margini del sistema. Ha lavorato come lettore e ha ottenuto brevi impieghi per altri editori fino ad arrivare alla Simon & Schuster nell’ottobre del 2019. Nel frattempo cercava di farsi un nome anche in Italia, dove si proponeva come traduttore di libri inediti in Italia ma già usciti nel paese dell’autore per numerose case editrici.

«Ero molto incuriosita perché parlava coreano, cinese e svedese, una combinazione di lingue particolare» ha raccontato al Post l’editor di una casa editrice indipendente italiana. «L’abbiamo incontrato su Skype, era un ragazzo un po’ strano ma come sono strani molti nell’editoria: nerd strampalati, fissati con le lingue. Era anche molto gentile, molto sul pezzo» ed era questo l’aspetto più inusuale.

I traduttori di solito non seguono il flusso di notizie, non sanno quali siano i libri discussi da scout e agenti letterari e spesso propongono traduzioni di classici dimenticati o libri già usciti. «Lui invece ci mandava delle email proponendosi come traduttore di libri che erano sul mercato in quel momento, per esempio una volta mi è capitato con un libro svedese che stavo valutando e che era già uscito in Svezia. Non erano informazioni segrete e quando gli ho chiesto come facesse ad averle mi disse che chiacchierava con gli editor suoi colleghi che gli passavano i manoscritti delle lingue che gli interessavano: era inusuale ma possibile».

In Italia Bernardini – il cui account Twitter era @tradurrelacina, ora cancellato come anche i suoi profili su Instagram, Linkedin e Facebook – si era proposto come traduttore di libri in mandarino, svedese, tedesco, olandese, danese, coreano e ultimamente stava studiando anche l’islandese. Per la Nave di Teseo ha tradotto dal mandarino La nostra storia del fumettista cinese Rao Pingru nel 2018 e nel 2020 lo storyboard del film Parasite del regista coreano Bong Joon-Ho; nello stesso anno ha tradotto per Feltrinelli Noi siamo la rivoluzione del dissidente di Hong Kong Joshua Wong.

Il giornalista Alex Shephard ha scritto su New Republic che un movente possibile della truffa potrebbe essere il desiderio di affermarsi come traduttore: il modo più efficace è legare il proprio nome a quello di un talento emergente, ed è questa una possibile spiegazione nella tesi che vuole Bernardini colpevole. Avrebbe insomma setacciato l’offerta editoriale straniera in cerca della sua occasione. Altri nel mondo dell’editoria sono invece convinti che volesse diventare un importante scout letterario: grazie alle email rubate e alle informazioni ottenute aveva accumulato una conoscenza nel settore che di solito richiede anni.

Che fosse Bernardini o meno, il ladro di manoscritti si dava da fare anche in Italia: prendeva di mira diversi impiegati della stessa casa editrice e scriveva loro email fasulle fingendosi qualcuno del settore che conoscevano e che avrebbe potuto verosimilmente richiedere il pdf di un manoscritto in lavorazione. Era difficile insospettirsi, anche perché la richiesta di manoscritti è piuttosto usuale e nessuno nell’ambiente si faceva troppi problemi a inviarli.

Il giornalista Alex Shephard ha chiesto un parere sulla vicenda a Tommaso Debenedetti, giornalista celebre per aver inventato per anni interviste completamente false a scrittori importanti, come John Le Carré, Abraham Yehoshua, Banana Yoshimoto e Philip Roth. Venne smascherato nel 2010, quando Philip Roth negò di avergli mai dato un’intervista: si scoprì l’entità della truffa e la sua storia divenne un caso internazionale.

Giulio Passerini, portavoce della casa editrice E/O, ha raccontato di quando se ne accorsero poco prima di inviare il manoscritto di un nuovo libro di Elena Ferrante.

«Ne avevamo sentito parlare per casi famosi, come quello di Margaret Atwood, ma non eravamo stati toccati. Tra settembre e ottobre 2019 stavamo lavorando a La vita bugiarda degli adulti, che sarebbe uscito a novembre, e la responsabile dei diritti ricevette una mail da un’agenzia di scouting internazionale che chiedeva il manoscritto: sarebbe stato plausibile visto che avrebbe potuto suggerire ad altri editori di comprare i diritti del libro. La responsabile però si accorse che l’indirizzo email aveva qualcosa di strano, chiamò la scout e scoprì che non era stata lei a scriverle. Così capimmo che era un caso di phishing e da quel momento non ci inviammo file del manoscritto nemmeno tra noi: ci passavamo un plico cartaceo di mano in mano e solo a chi ne aveva strettissima necessità. Inoltre prima di mandarci il manoscritto ci scrivevamo una mail o ci telefonavamo per essere sicuri che fossimo noi».

Anche l’editor della importante casa editrice italiana ha raccontato al Post che «ci ha tempestato. Varie volte abbiamo ricevuto mail da lui, anch’io: cambiava una lettera nell’indirizzo, se non ci pensavi era davvero difficile farci caso. Si è anche spacciato per noi, per un mio collega in particolare, falsificando la mail e provandoci con molti autori, senza mai ottenere nulla fortunatamente».

Lo stesso editor ha aggiunto che, nonostante l’assenza di conseguenze concrete, «è il singolo evento che ha più modificato il nostro lavoro negli ultimi tempi, al di là della pandemia ovviamente, perché ha alzato i parametri di sicurezza – e le paranoie – degli editori e degli agenti». Molti hanno smesso di inviare i pdf via mail (il truffatore chiedeva perentoriamente i manoscritti in questo formato) oppure li spediscono coperti da una doppia password e con il watermark. Altri hanno spostato le conversazioni e gli allegati su WhatsApp, altri ancora hanno attuato misure di sicurezza simili a quelle di E/O per il manoscritto di Ferrante.

«C’era una certa inquietudine» ha spiegato Passerini «perché non si sapeva che fine facessero i manoscritti, non si capiva se c’erano state delle conseguenze o no. È stato un periodo di grande inquietudine e di tanta curiosità; ora c’è anche una generale benevolenza, benevolenza forse è un po’ troppo, ma insomma non c’è dell’odio: si capisce che c’è una grande passione dietro». Quello che più colpiva gli addetti ai lavori «era l’assenza di un vero movente», ha confermato anche l’altro editor sentito dal Post. «Perché non solo a volte provava a ottenere manoscritti di autori assai minori ma, anche quando puntava ai grandi, non è che chiedesse riscatti o li rivendesse. Tra l’altro se anche fosse riuscito a mettere le mani sul nuovo libro di un grande autore in anticipo di qualche mese, bè, era una scocciatura ma non so se qualcuno avrebbe davvero pagato un riscatto».

Se come sostengono le autorità americane il truffatore fosse Bernardini, il suo movente si può forse ritrovare in un libro, Bulli, uscito nel 2008 per la casa editrice milanese Mursia. L’autore è un certo Filippo B., che secondo i giornali locali, sarebbe proprio Bernardini (l’editore è vincolato a mantenere l’anonimato e non può confermare né smentire). È un memoir, pubblicato quando aveva 16 anni e scritto come fosse un diario: racconta la vita di provincia di un quattordicenne incompreso dalla famiglia e bullizzato dai compagni che lo accusano di essere gay. Il protagonista cerca di farsi accettare dal gruppo salvando da un incidente stradale uno dei suoi aguzzini, ma alla fine cambia scuola e trova un nuovo stratagemma per sopravvivere. Il libro, appena ristampato da Mursia, si conclude così:

«Continuo ad avere lo spirito di stare al centro dell’attenzione visto che, mentre stavo nell’autobus, ho tirato fuori dallo zaino il nuovo libro di Harry Potter che è il libro più desiderato in questo periodo. […] Oggi, invece, cerco di stare al centro dell’attenzione mostrando qualcosa che gli altri non hanno. Mi dispiace dirlo, diario, ma è così. Il mondo è così. Sono diventato matto. Infatti, questa mattina, i ragazzi del primo superiore hanno cominciato a guardarmi e non hanno detto le parole che i Ragazzi di Tagliano avrebbero detto se stessimo un anno indietro. Avevano volti meravigliati e io ero orgoglioso. Chissà come vorrebbero essere al posto mio!».

(Il Post)