• Mondo
  • Domenica 9 gennaio 2022

I gruppi antifemministi vanno forte in Corea del Sud

Sono composti da giovani uomini che pensano che sia in corso una grande cospirazione per colpire ed emarginare il loro sesso

Manifestazione contro il #MeToo, Corea del Sud, 27 ottobre 2018 (Jean Chung/Getty Images)
Manifestazione contro il #MeToo, Corea del Sud, 27 ottobre 2018 (Jean Chung/Getty Images)

Negli ultimi anni, in Corea del Sud i movimenti femministi hanno avuto grande visibilità: sono scesi in piazza contro le molestie e altre forme di violenza maschile, contro disparità, discriminazioni e per il diritto di aborto. E hanno ottenuto alcuni risultati concreti. Parallelamente, contro i movimenti delle donne e benché la società sudcoreana sia ancora tradizionalmente patriarcale, si sono diffusi e hanno guadagnato un vasto seguito diversi gruppi antifemministi che sostengono, con violenza, che sarebbe in corso nel paese una grande cospirazione tra femministe, governo e aziende per colpire ed emarginare gli uomini.

Questi movimenti, scrive il New York Times, hanno una grande influenza e stanno, di fatto, imponendo la loro agenda alla politica sudcoreana e non solo.

L’antifemminismo ha una lunga storia e, come ha ricostruito CNN in un articolo dello scorso ottobre, negli ultimi anni ha ritrovato in Corea del Sud forza e visibilità: grazie, inizialmente, ad alcune campagne di boicottaggio e pressione organizzate contro aziende accusate di promuovere messaggi subliminali a favore delle donne.

Lo scorso maggio GS25, una grossa catena di minimarket sudcoreani, aveva pubblicato un annuncio in cui si vedeva l’immagine stilizzata di una mano che, tra pollice e indice, pizzicava una salsiccia. Si tratta, banalmente, del gesto che si fa per mostrare che una cosa è piccola e che viene molto usato in pubblicità perché permette di presentare, senza nascondere, il prodotto che si vuole vendere.

Nel gesto, alcuni hanno però visto qualcosa di diverso: un codice femminista per ridicolizzare la lunghezza del pene degli uomini e il cui unico riferimento pregresso era comparire nel logo di un gruppo di donne sudcoreano attivo online nel 2015 e che ora non esiste nemmeno più.

Il logo del gruppo femminista Megalian, ora sciolto

Da lì in poi, e per lo stesso motivo, diverse altre aziende sono state criticate. Musinsa, che vende vestiti online, è stata attaccata con pesanti campagne di pressione online per aver offerto sconti solo per donne e per aver utilizzato il gesto delle dita in una pubblicità. All’inizio di ottobre l’azienda di videogiochi Smilegate, una delle principali della Corea del Sud, è stata criticata per l’icona delle dita presente nel videogioco Lost Ark.

A un giorno dal lancio dalla sua campagna pubblicitaria, GS25 ha ritirato l’annuncio e ha licenziato il proprio responsabile marketing. Il fondatore e amministratore delegato di Musinsa si è dimesso, Smilegate ha rimosso l’icona delle dita da Lost Ark e decine di altre grosse aziende hanno cancellato le proprie pubblicità e si sono scusate pubblicamente con gli uomini che si erano sentiti offesi.

Anche alcuni governi locali sono stati coinvolti nella campagna di pressione antifemminista. Lo scorso agosto, ad esempio, l’amministrazione della città di Pyeongtaek, nel nord-ovest del paese, ha cancellato da Instagram un’immagine per avvisare i residenti dell’imminente arrivo di un’ondata di caldo: nell’illustrazione si vedeva un contadino che si asciugava la fronte e la cui mano, secondo gli antifemministi, faceva il gesto delle due dita.

In Corea del Sud la cultura è tradizionalmente molto conservatrice e patriarcale. L’Organizzazione internazionale per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) dice che il paese ha di gran lunga il divario salariale di genere più ampio tra i paesi che ne fanno parte: solo il 5 per cento circa di chi siede nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa è donna, rispetto alla media OCSE che è di circa il 27 per cento, e i dirigenti d’azienda sono soprattutto uomini che hanno più di 50 anni. Nel parlamento sudcoreano ci sono 57 donne su 300 parlamentari e i dati mostrano, come avviene anche altrove, che la percentuale delle donne che devono lasciare il lavoro dopo il parto è alta. Anche qui, sono ancora le donne a farsi carico di gran parte del lavoro domestico, non retribuito, e quello delle molestie è un problema strutturale e molto radicato.

Nel paese, poi, è molto diffusa una forma particolare di molestia, che è stata analizzata in un recente rapporto di Human Rights Watch intitolato “My Life is Not Your Porn”: consiste nel filmare con telecamere nascoste le donne nei bagni pubblici o in altri luoghi e nel diffondere il materiale senza il loro consenso. La giustizia spesso non punisce tali reati, e nel 2019 quasi la metà di questi casi è stata archiviata dai tribunali.

A fronte di questa situazione, e sulla scia del movimento #MeToo, da qualche anno i movimenti femministi del paese hanno ottenuto molta visibilità. Hanno organizzato enormi proteste contro il femminicidio e altre forme di violenza maschile, a marzo 2020 è stato fondato il primo partito delle donne del paese e le lotte femministe hanno portato, lo scorso anno, a una sentenza della Corte Costituzionale che dichiarava formalmente decaduto il divieto all’interruzione volontaria di gravidanza previsto fin dal 1953, con pochissime eccezioni. Uno dei movimenti più attivi e raccontati dai giornali, anche internazionali, è stato poi quello che chiedeva alle donne di sfidare gli ideali di bellezza tradizionali rinunciando a capelli lunghi e trucco.

Negli ultimi anni, alcune richieste dei movimenti femministi sono state assunte a livello politico. Al momento della sua elezione, nel 2017, il presidente del paese Moon Jae-in aveva dichiarato che si sarebbe impegnato ad affrontare con serietà i crimini sessuali e a eliminare le barriere sistemiche e culturali che impedivano alle donne di partecipare maggiormente al mercato del lavoro.

Manifestazione del #MeToo a Seul, 8 marzo 2018 (AP Photo/Ahn Young-joon, File)

Al di là del fatto che gli interventi promessi siano stati fatti oppure no (e la risposta è no, secondo i movimenti femministi), contro le lotte dei movimenti delle donne e contro la promozione della parità di genere assunta formalmente a livello politico si è diffuso tra gli uomini più giovani un sentimento di rifiuto delle istanze femministe, che ha portato alla formazione di gruppi le cui battaglie si basano sul timore che la società stia diventando più ingiusta per loro, e che esista un complotto tra governo, aziende e gruppi femministi per ridurre gli uomini a una posizione di inferiorità. Uno dei gruppi più noti si chiama Men on Solidarity ed è guidato da un popolare youtuber.

Ogni volta che, negli ultimi anni, le donne si sono mobilitate contro la violenza sessuale e i pregiudizi di genere in Corea del Sud, questi gruppi di uomini hanno organizzato delle contro-manifestazioni in cui gridavano slogan come “Il femminismo è una malattia mentale”. Se la loro presenza fisica per le strade è stata piuttosto marginale, le loro argomentazioni hanno ottenuto molto seguito online. Lo scorso maggio, la società locale di marketing Hankook Research ha fatto una ricerca concludendo che oltre il 77 per cento dei ventenni e più del 73 per cento dei trentenni erano contro il femminismo.

Oltre ad aver orientato le scelte di diverse aziende, questi gruppi di maschi hanno costretto un’università a cancellare la lezione di una docente che accusavano di diffondere odio per gli uomini, hanno diffamato donne famose, hanno sommerso di critiche violentissime l’arciera sudcoreana An San – che alle olimpiadi di Tokyo ha vinto tre medaglie d’oro – perché portava i capelli corti (cosa che è appunto associata al femminismo), hanno criticato il governo perché promuoverebbe un’agenda femminista e hanno chiesto la rimozione del ministero della Famiglia e delle Pari opportunità. Uno degli argomenti che gli antifemministi usano di più per sostenere che siano gli uomini a essere discriminati è l’obbligo al servizio militare da cui le donne sono esentate.

In generale, questi gruppi dimostrano di non sapere che cosa sia il femminismo: lo associano all’odio per gli uomini, cioè alla misandria, pensano che l’obiettivo del femminismo sia la supremazia femminile – e cioè che le donne vogliano fare quel che gli uomini hanno praticato per secoli con il patriarcato –, credono che le donne che sostengono il diritto all’aborto siano delle «distruttrici della famiglia» e che, in generale, abbiano già ottenuto sufficienti diritti. L’ondata di antifemminismo in Corea del Sud, spiega il New York Times, condivide molti degli slogan e delle argomentazioni portate avanti in altri paesi dai movimenti conservatori e di destra.

– Leggi anche: Maschilista e femminista non sono parole equivalenti

Nel suo articolo, il New York Times tenta di dare una spiegazione a questo fenomeno. Gli uomini più anziani, scrive, sanno di aver «beneficiato» di un sistema patriarcale che ha emarginato le donne. Decenni fa erano i figli maschi che accedevano all’istruzione superiore, in molte famiglie alle donne non era consentito mangiare al tavolo con gli uomini, e abortire i feti di sesso femminile era molto comune. Ora la situazione è cambiata e le donne hanno maggiori diritti e opportunità, anche se, come altrove, persiste il cosiddetto “soffitto di cristallo”, ossia una serie di ostacoli che impediscono il raggiungimento della parità tra i generi a livello sostanziale e non solo formale.

«Gli uomini che hanno vent’anni sono profondamente infelici, si considerano vittime di discriminazioni al contrario, sono arrabbiati per aver dovuto pagare il prezzo per le discriminazioni di genere create sotto le generazioni precedenti», ha detto al New York Times Oh Jae-ho, ricercatore al Gyeonggi Research Institute in Corea del Sud. «Se gli uomini più anziani vedevano le donne come bisognose di protezione, oggi gli uomini più giovani le considerano concorrenti in un mercato del lavoro spietato».

In risposta alle campagne di pressione antifemministe, alcuni movimenti di donne hanno reagito chiedendo a loro volta il boicottaggio delle aziende che hanno ritirato i loro manifesti pubblicitari, ma in generale molte testimoniano come questo clima intimidatorio abbia fermato le loro lotte e spinto soprattutto le ragazze più giovani a non manifestare pubblicamente le loro idee. «“Femminista” è diventata una parola così sporca che le donne che portano i capelli corti o che portano in giro il romanzo di una scrittrice femminista rischiano l’ostracismo», ha raccontato una donna al New York Times.

Manifestazione contro il #MeToo, Seoul, 27 ottobre 2018 (Jean Chung/Getty Images)

La cosa più preoccupante è comunque che le richieste dei gruppi antifemministi – che raccolgono anche molte donazioni online – stanno condizionando la politica del paese. Il prossimo 9 marzo ci saranno le elezioni presidenziali e nessuno dei principali candidati sta dando spazio alla questione dei diritti delle donne. Yoon Suk-yeol, il candidato dell’opposizione conservatrice, si è schierato apertamente con il movimento antifemminista, ha ad esempio accusato il ministero delle Pari opportunità di trattare gli uomini come «potenziali criminali sessuali», ha promesso pene più severe per chi accusa ingiustamente gli uomini di reati sessuali e ha incluso nel suo staff per la campagna elettorale un importante leader di 31 anni di un gruppo antifemminista.

Lee Jae-myung, il candidato del Partito Democratico, il partito dell’attuale presidente, ha a sua volta cercato di fare appello ai giovani, dicendo: «Proprio come le donne non dovrebbero mai essere discriminate a causa del loro genere, nemmeno gli uomini dovrebbero subire discriminazioni in quanto uomini».