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  • Giovedì 30 dicembre 2021

Come interpretare i dati sui contagi

100mila nuovi positivi al giorno non sono allarmanti come lo sarebbero stati un anno fa: ci dicono cose diverse, e per capire l'epidemia vale la pena sapere quali

(ANSA/CESARE ABBATE)
(ANSA/CESARE ABBATE)

Giovedì il numero di persone risultate positive al coronavirus registrate in un giorno in Italia ha superato le 100mila per la prima volta dall’inizio della pandemia, e abbondantemente (quasi 127mila): nei prossimi giorni e forse settimane continuerà ad aumentare significativamente per via della diffusione della variante omicron, molto più contagiosa della delta. Ma se sui quotidiani e nei notiziari il dato sui casi positivi rilevati quotidianamente continua a essere quello più in vista, presentato spesso con toni allarmistici, in realtà oggi va interpretato con criteri assai diversi rispetto alle altre fasi della pandemia, quando la popolazione non era per la stragrande maggioranza vaccinata o immunizzata dalla COVID-19 ed erano prevalenti altre varianti.

Questo non significa che 100mila casi positivi in un giorno non siano un dato di cui preoccuparsi, ma piuttosto che bisogna preoccuparsi per cose diverse rispetto a prima.

Con quasi 400mila casi registrati negli ultimi sette giorni, i decessi per COVID-19 sono stati 1.014. Per fare un paragone, nella settimana tra il 21 e il 27 ottobre del 2020 i casi di positività rilevati erano stati 130mila, ma i decessi 995. Invece i 400mila casi di positività registrati nei primi dodici giorni di novembre 2020 (quindi gli stessi positivi degli ultimi sette giorni) erano corrisposti a ben 4.971 decessi.

Da allora sono cambiate moltissime cose, ma principalmente due: oggi abbiamo i vaccini e cure migliori per la COVID-19, e la variante del coronavirus prevalente è diversa.

La variante omicron, che probabilmente è già prevalente in Italia, è molto più contagiosa della delta (che è stata prevalente in Italia dall’estate del 2021 fino all’arrivo di omicron): serviranno altri studi, ma semplificando significa che rispetto alla delta è molto più facile infettarsi stando al chiuso vicino a un positivo anche indossando una mascherina chirurgica e anche per poco tempo, oppure passando del tempo in un’affollata sala di ristorante senza mascherina. È il motivo per cui il governo ha reso obbligatorie al chiuso in alcuni casi le mascherine FFP2, più protettive di quelle chirurgiche.

L’altra caratteristica della variante omicron è quella di infettare anche le persone che hanno completato il primo ciclo vaccinale, molto più della delta. Per i vaccinati è confermata un’alta protezione dai sintomi gravi della COVID-19 causata da omicron, ma è più bassa la protezione dal contagio e dai sintomi più lievi. La protezione sembra inoltre diminuire significativamente passati alcuni mesi dal vaccino. Il richiamo (la terza dose) sembra fornire invece una protezione ancora più robusta contro i sintomi, e in una certa misura anche contro il semplice contagio (che è comunque possibile).

– Leggi anche: Quanto funzionano i vaccini contro omicron

Questo è il motivo per cui in tutto il mondo si sta accelerando con le somministrazioni della terza dose, e anche quello per cui il Green Pass (anche ottenuto con il primo ciclo vaccinale) è diventato uno strumento meno efficace nel contenimento dei contagi: con omicron in circolazione anche i vaccinati possono in una certa misura contagiarsi, ammalarsi per breve tempo e trasmettere ad altri il virus.

La variante sembra diffondersi a una velocità rapidissima a prescindere dalle misure restrittive adottate dai vari paesi. L’indirizzo di diversi governi sembra quindi ormai quello di affrontare quest’ondata accettando un alto numero di contagi nella popolazione, senza introdurre grosse restrizioni e anzi allentandone alcune (come le quarantene per i vaccinati), nella speranza che i sistemi sanitari reggano.

Ma omicron ha anche una caratteristica in teoria positiva: sembra causare sintomi significativamente più lievi della delta per la maggioranza dei vaccinati, e ancora di più per chi ha ricevuto il richiamo. Al punto che per molti contagiati assomiglia a un raffreddore (ci sono casi più tosti con febbre).

Per i non vaccinati, invece, le conseguenze continuano a essere potenzialmente gravi, come conferma la proporzione dei ricoverati in terapia intensiva. E per una minoranza di vaccinati, specialmente quelli con altre fragilità, continua a essere un virus pericoloso e potenzialmente mortale.

– Leggi anche: Omicron sembra causare sintomi più lievi

Il dato sui contagi può indurre a conclusioni sbagliate sulla fase attuale della pandemia anche per altre ragioni.

La prima è che non abbiamo mai fatto così tanti test come in queste settimane, ed è quindi normale che si trovino più persone positive. Allo stesso tempo, l’indice di positività dei tamponi è molto alto, nonostante in questi giorni si siano sottoposte a un test anche milioni di persone che non avevano sintomi, ma volevano semplicemente qualche rassicurazione sotto Natale.

Significa che i contagi reali in Italia sono con ogni probabilità ancora di più delle decine di migliaia che si registrano ufficialmente ogni giorno (accadeva anche prima, ma in misura diversa). Lo suggeriscono anche le migliaia di persone che ogni giorno scoprono di essere positive pur stando bene, o quelle che risultano positive a un test molecolare subito dopo essere risultate negative a un test antigenico rapido, magari eseguito nei tempi meno adeguati per rilevare l’infezione.

Fin dall’inizio della pandemia tantissimi casi positivi asintomatici sono sfuggiti ai conteggi ufficiali, ma con l’immunità dei vaccini e omicron ciò avviene probabilmente ancora più di frequente.

Mai come oggi, insomma, essere positivi al coronavirus non vuol dire essere malati di COVID-19. Ma la cosa che non sappiamo è quanto sia contagiosa una persona vaccinata, magari con tre dosi, che sia positiva e asintomatica: serviranno altri studi, e quindi al momento occorre applicare grande prudenza anche in questi casi.

Con ogni probabilità, tra richiami del vaccino e persone non vaccinate che si contageranno e guariranno, nel giro di pochi mesi la popolazione italiana sarà immunizzata come non era mai successo. È una prospettiva che alcuni vedono con ottimismo, nella speranza che unita all’arrivo della primavera e del caldo riporti i contagi sotto controllo e consenta un relativo ritorno alla normalità. Non è detto che vada effettivamente così, perché la pandemia ha dimostrato di essere imprevedibile; e non è detto in ogni caso che l’autunno seguente non arrivi una nuova variante rischiosa. Ora però il problema è cosa succederà nel breve periodo.

Per capire davvero le conseguenze di omicron sui ricoveri e sui decessi sarà necessario aspettare ancora almeno un paio di settimane, perché il loro aumento è sempre in ritardo su quello dei contagi. Già ora la quantità di persone positive ha fatto saltare non solo il sistema di contact tracing, difficile anche con numeri ben più bassi, ma anche la capacità del sistema pubblico e privato di fare test: ogni positivo infatti ha bisogno di tamponi, e così i suoi contatti stretti.

Il rischio principale, comunque, è un altro: anche se proporzionalmente i malati che hanno bisogno di assistenza ospedaliera sono molti meno rispetto alle persone contagiate, il servizio sanitario potrebbe comunque andare in sovraccarico. Ci sono segnali che stia già succedendo, e le conseguenze potrebbero essere disastrose sia per chi ha il coronavirus sia per tutti gli altri.

Dieci persone che arrivano in un ospedale richiedendo un letto in terapia intensiva, infatti, sono uguali sia che fuori ci siano 10.000 contagiati, sia che ce ne siano 100.000. Soprattutto perché quegli ospedali hanno altri pazienti che, pur non avendo la COVID-19, hanno bisogno di un letto in terapia intensiva. E lo stesso discorso vale per tutti gli altri reparti e per le sale operatorie, che a causa delle precedenti ondate avevano già rimandato molte visite e operazioni chirurgiche a persone che ne avevano bisogno. Come si è visto nelle ondate precedenti, aumentare semplicemente i letti non è sufficiente: servono poi persone che possano occuparsi di un numero congruo di pazienti, e che siano in salute per poterlo fare.

Per ora la situazione sembra sotto controllo, ma con una circolazione incontrollata del virus come quella che sembra essere in corso, il rischio è che gli ospedali si sovraccarichino e non riescano più a fornire posti e assistenza a tutti.