Le motivazioni della condanna a Mimmo Lucano

Secondo i giudici l'ex sindaco di Riace aveva organizzato il sistema di accoglienza per arricchirsi e garantirsi una tranquillità economica

Mimmo Lucano (Roberto Monaldo / LaPresse)
Mimmo Lucano (Roberto Monaldo / LaPresse)

Il tribunale di Locri ha pubblicato le motivazioni della sentenza di condanna a Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, in Calabria, noto per il sistema di accoglienza dei migranti organizzato durante la sua amministrazione (dal 2004 al 2018): era stato condannato lo scorso 30 settembre in primo grado a 13 anni e due mesi. Nelle motivazioni firmate dal presidente del tribunale, Fulvio Accurso, si legge che Lucano è stato condannato perché «ha strumentalizzato il sistema dell’accoglienza a beneficio della sua immagine politica».

La vicenda giudiziaria ruota intorno a una serie di controverse accuse legate al sistema di accoglienza dei migranti che Lucano aveva organizzato nel suo paese. Il sistema organizzato da Lucano era stato descritto come un modello per i principi di solidarietà a cui si ispirava, ma secondo i giudici del tribunale di Locri nascondeva invece un’associazione a delinquere responsabile di abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Secondo i giudici, era un’organizzazione «tutt’altro che rudimentale», che rispettava regole precise e che era gestita da Lucano «per poter conseguire illeciti profitti, attraverso i sofisticati meccanismi, collaudati negli anni e che ciascuno eseguiva fornendogli in cambio sostegno elettorale».

Tra i profitti illeciti citati nelle motivazioni della sentenza ci sono «l’acquisto di un frantoio e di numerosi beni immobili da destinare ad alberghi per l’accoglienza turistica», che avrebbero costituito un arricchimento personale di Lucano, «su cui egli sapeva di poter contare a fine carriera, per garantirsi una tranquillità economica che riteneva gli spettasse, sentendosi ormai stanco per quanto già realizzato in quello specifico settore, per come dallo stesso rivelato nel corso delle ambientali che sono state esaminate».

Per i magistrati che avevano sostenuto l’accusa, con il modello Riace Lucano aveva architettato una serie di espedienti per aggirare la disciplina prevista dalle norme nazionali per ottenere l’ingresso in Italia. In particolare, sulla base di intercettazioni telefoniche, la procura lo aveva accusato di avere avuto un ruolo nell’organizzare matrimoni di convenienza tra cittadini del posto e donne straniere, per favorire illecitamente la permanenza di queste ultime nel territorio italiano.

La pena di Lucano è stata quasi il doppio rispetto a quella richiesta dal procuratore capo di Locri, Luigi D’Alessio, e dal pubblico ministero Michele Permunian, che avevano chiesto 7 anni e 11 mesi di carcere.

«Non mi aspettavo complimenti ma neanche che il tribunale mi condannasse sulla base di cose non vere», ha detto Mimmo Lucano, che ha contestato l’interesse economico di cui parlano i giudici nelle motivazioni della condanna. «È tutto molto strano. Dal processo non si evince per nulla l’interesse economico. Perché devo subire quest’aggressione mediatica basata su accuse infondate?»

​​«[Il tribunale] lo condanna per associazione a delinquere con motivazione inconsistente, anzi insussistente», hanno scritto in una nota gli avvocati di Lucano, Giuliano Pisapia e Andrea Daqua. «Scambia per peculato le attività di valorizzazione del territorio perseguite da Lucano e previste dal manuale Sprar. Ed ancora, il tribunale parla di povertà “apparente” di Lucano nonostante le misere condizioni economiche di Lucano siano state accertate dalla Guardia di finanza e confermate in udienza dalla stessa accusa. Siamo curiosi di completare la lettura e lo studio delle motivazioni per comprendere il restante ragionamento del tribunale».