Quali opere vengono salvate dai musei in caso di emergenza

La maggior parte ha una lista di priorità, in caso per esempio di incendio: ma sceglierle è difficile

Una parte del Museo Nazionale del Brasile dopo l'incendio del settembre 2018 (AP Photo/ Silvia Izquierdo)
Una parte del Museo Nazionale del Brasile dopo l'incendio del settembre 2018 (AP Photo/ Silvia Izquierdo)

Parlando del grave incendio che nel settembre del 2018 aveva distrutto gran parte della collezione del Museu Nacional di Rio de Janeiro, uno dei più importanti del Brasile, il direttore Alexander Kellner ha detto di non essere una persona religiosa, ma di «pregare Dio che questo non capiti ad altri». Tra le circa 20 milioni di opere contenute nel museo, la più antica istituzione scientifica del Brasile, andarono distrutti un numero enorme di manufatti delle popolazioni indigene, la più grande collezione di reperti egizi del Sud America e il più antico scheletro umano ritrovato nel continente.

Per fare in modo che in casi come questo non vada perso tutto il patrimonio storico e artistico delle loro collezioni, vari musei in tutto il mondo hanno preparato apposite liste in cui sono indicate le opere più significative che dovrebbero essere messe in sicurezza per prime. Liste che, nelle parole dell’Economist, «nessun museo spera mai di dover usare».

Nei principali musei di tutto il mondo sono ospitati dipinti, sculture e manufatti che da soli possono valere varie decine di milioni di euro, e altri che si possono considerare praticamente inestimabili. Alcuni contengono poche centinaia di opere, mentre altri, come il British Museum di Londra, ne ospitano milioni. Il problema è che nella seppur remota eventualità che si sviluppi un incendio, ci sia un allagamento oppure un’esplosione, non si possono portare via tutte, ma bisogna scegliere quali salvare e agire in fretta: «nel giro di pochissimi minuti», ha detto all’Economist William Knatchbull, il capo della sezione dei Vigili del fuoco di Londra che si occupa della conservazione di opere d’arte.

Queste liste delle “cose da prendere” vengono chiamate anche “liste di priorità” o “liste delle cose da salvare” – il Museo di Storia Naturale di Londra definisce la propria “piano di salvataggio” – sono molto corte, spiega Knatchbull: di solito si tratta di dieci o al massimo venti opere, in musei che ne ospitano centinaia di migliaia o anche milioni.

L’incendio al Museu Nacional di Rio de Janeiro, il 2 settembre del 2018 (AP Photo/ Leo Correa)

Comprensibilmente direttori e curatori non amano parlarne, sia per motivi di discrezione che per altre ragioni. Il Museo del Louvre di Parigi, che ha 14 vigili del fuoco sempre in servizio, ha confermato per esempio all’Economist di averne una, e ha spiegato più o meno come è stato deciso cosa contenga: i direttori dei vari dipartimenti compilano una propria lista che raccoglie le opere più significative in ordine di priorità; poi le opere indicate in ciascuna di queste liste sono ulteriormente selezionate e messe in ordine di importanza, da quelle da salvare per prime a quelle meno prioritarie.

I referenti del Louvre non specificano cosa ci sia nella lista delle “cose da prendere” dal museo, ma è facile immaginare che possa esserci la Gioconda di Leonardo da Vinci.

Il direttore della Pinacoteca di Brera e della Biblioteca Braidense di Milano, James Bradburne, ha detto al Post che «ovviamente» nella struttura sono stati predisposti piani di sicurezza e antincendio, ma che parlare di cosa debba essere salvato per primo «è un po’ semplicistico, dato che non si presenta mai una situazione in cui le opere potrebbero essere salvate secondo un ipotetico elenco di priorità». Scegliere quale dipinto o quale scultura debba essere portata in salvo ha sicuramente a che fare con il suo valore artistico e con la sua importanza simbolica, ma non soltanto: come chiarisce Bradburne, tutto infatti «dipende dalla situazione, dalla natura del pericolo, dalla sua localizzazione» e da una serie di altri fattori.

Una delle cose da tenere in considerazione, infatti è quella del peso e delle dimensioni dell’opera da recuperare: è per esempio il caso di arazzi o quadri di grandi dimensioni, o della Stele di Rosetta, la lastra di pietra che permise di decifrare i geroglifici, che si trova al British Museum di Londra e che secondo l’Economist difficilmente potrebbe essere salvata agevolmente nel giro di pochi minuti. A questo proposito, come ha osservato Knatchbull, i vigili del fuoco o gli addetti a intervenire in caso di emergenza dovrebbero essere dotati di un taglierino, perché può darsi che il piano di salvataggio comprenda tagliare un dipinto per estrarre la tela dalla sua cornice.

Un manuale australiano che contiene indicazioni per redigere le liste di cose da salvare ricorda peraltro che potrebbe essere utile avere sottomano dei cacciaviti, senza i quali sarebbe complicato spostare le opere appese alle pareti o contenute in apposite teche.

– Leggi anche: Di chi sono le cose antiche nei musei

Karole Vail, direttrice della collezione Peggy Guggenheim di Venezia, ha detto all’Economist che scegliere quale opera inserire in una di queste liste sarebbe un po’ come scegliere un figlio preferito tra molti. Secondo Vail non sarebbe una cosa diplomatica, sia perché potrebbe creare malumori e critiche all’interno del museo, sia perché potrebbe scoraggiare eventuali donatori, come anche i critici e il pubblico.

Altri musei in ogni caso sono restii a dare un prezzo alle opere che ospitano anche per motivi pragmatici: diffondere informazioni su quali opere salvare corrisponderebbe ad assegnare loro un valore più alto rispetto ad altre, dando un’indicazione in più a eventuali ladri interessati a compiere furti d’arte. Altre istituzioni, come quelle del gruppo dei Musei Nazionali britannici – che comprende il British Museum e la National Gallery di Londra – non hanno poi un’assicurazione che le copra in caso di eventi avversi, perché semplicemente costerebbe troppo stipularne una: sono però protetti da appositi piani governativi che interverrebbero per proteggerle e da «una buona dose di fatalismo», sottolinea l’Economist.

Lo Smithsonian, importantissimo museo di Washington, basato soprattutto sulla Storia naturale, ha detto che «non si prenderebbe la briga di passare in rassegna gli oggetti e decidere quello che dovrebbe essere salvato in caso di disastro», «perché i nostri edifici sono sicuri».

– Leggi anche: I grandi quadri che non abbiamo più trovato