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  • Martedì 7 dicembre 2021

Cosa cambia con la moratoria sui sistemi di riconoscimento facciale

Dura fino alla fine del 2023 e coinvolge soprattutto i privati e i comuni, non l'autorità giudiziaria

(Christian Lue/Unsplash)
(Christian Lue/Unsplash)

Mercoledì scorso il Parlamento ha approvato un emendamento presentato dal Partito Democratico al decreto Capienze che ha istituito una moratoria di due anni sui sistemi di riconoscimento facciale: nel testo si legge che l’installazione di impianti di videosorveglianza con sistemi di riconoscimento facciale in luoghi pubblici o aperti al pubblico, da parte delle autorità pubbliche o di privati, «sono sospese fino all’entrata in vigore di una disciplina legislativa della materia e comunque non oltre il 31 dicembre 2023».

Il riconoscimento facciale è una tecnologia che utilizza un software per analizzare l’immagine della persona sotto forma di pixel, di dati, da cui trae un modello matematico che viene poi applicato ad altre immagini per trovare una corrispondenza. L’archivio delle immagini è essenziale per identificare una persona e viene alimentato dai dati di tutte le persone che camminano per strada, rilevate costantemente dalle telecamere. Alcuni software evoluti sono in grado di identificare una persona anche analizzando la sua andatura.

Da tempo attivisti ed esperti di tecnologie segnalano che anche i sistemi utilizzati in Italia, come quelli più estesi attivi in altri paesi, sono estremamente invasivi in termini di privacy, eppure poco o niente regolati: si sa poco di come funzionino, di come vengano raccolti e usati i dati, di quali siano i limiti e gli obiettivi.

Ne sono stati installati diversi anche nelle città italiane e tutti sono stati bloccati dal Garante della privacy.

Il primo fu a Como, dove nel 2019 il comune installò telecamere per il riconoscimento facciale nel parco di via Tokamachi, vicino alla stazione. Il Garante della privacy intervenne il 26 febbraio 2020 per dichiararlo illegittimo. Un sistema simile a quello di Como è stato finanziato anche dal comune di Udine.

Di fatto, la moratoria ha introdotto una norma più chiara soprattutto per i privati che non possono più installare sistemi di riconoscimento facciale nei negozi, sui cartelli pubblicitari, negli impianti sportivi o sui mezzi di trasporto. I comuni dovranno chiedere il parere del Garante della privacy, che finora ha bocciato tutti i progetti di videosorveglianza con riconoscimento facciale presentati dalle amministrazioni.

Secondo il deputato Filippo Sensi (PD), che già nei mesi scorsi aveva presentato una proposta di moratoria, la nuova norma approvata nel decreto Capienze è «un primo passo che serve ad accendere un riflettore su questo tema, che riguarda la libertà e i diritti delle persone: siamo i primi a normare questi sistemi introducendo una moratoria in attesa di una legge del Parlamento europeo. Ora siamo certi che privati, comuni e in generale le pubbliche amministrazioni non possono usare il riconoscimento facciale senza un parere favorevole del Garante della privacy: è una garanzia in più rispetto a prima».

La moratoria non coinvolge, invece, l’autorità giudiziaria, che non dovrà sottostare a nessun controllo preventivo da parte del Garante. Nell’articolo 12, infatti, si legge che il parere è necessario «salvo che si tratti di trattamenti effettuati dall’autorità giudiziaria nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali nonché di quelle giudiziarie del pubblico ministero».

Secondo le associazioni per i diritti digitali, che negli ultimi anni hanno promosso una campagna contro il riconoscimento facciale chiamata Reclaim Your Face, grazie alla libertà concessa dalle norme un pubblico ministero potrebbe utilizzare un sistema di riconoscimento facciale in diversi modi: per esempio, per verificare l’identità delle persone che si incontrano con una persona indagata mentre questa è in una piazza dove passano centinaia di persone che nulla hanno a che vedere con l’indagine ma i cui dati biometrici vengono comunque raccolti e analizzati dal sistema di riconoscimento facciale.

«Con le modifiche introdotte con questa moratoria, l’autorità di polizia giudiziaria e il pubblico ministero sono esentati dal controllo preventivo del Garante della privacy», spiega Laura Carrer, giornalista e attivista del centro Hermes per la trasparenza e i diritti umani digitali. «Questa modifica è ancor più grave se si tiene in considerazione il fatto che il codice di procedura penale non contiene dettagli e specifiche per l’impiego di sistemi di riconoscimento facciale: non vi sono distinzioni sulle tipologie di reato per cui possono essere impiegati né dettagli sulla durata dell’impiego di queste tecnologie».

L’associazione Privacy Network sostiene che la moratoria abbia «un’incidenza estremamente ridotta, perché si applica solo a limitate ipotesi, come l’uso di sistemi di riconoscimento facciale in luoghi pubblici o aperti al pubblico».

Già nei mesi scorsi il Garante era intervenuto per bloccare l’utilizzo non autorizzato del riconoscimento facciale in operazioni di polizia.

Lo scorso marzo aveva dato un parere negativo sulla funzione “real time” del sistema chiamato SARI Enterprise, utilizzato dalle forze dell’ordine italiane per identificare una persona confrontando i suoi dati biometrici con le immagini di tutti gli individui già fotosegnalati. Nel parere negativo si leggeva che questo sistema «oltre ad essere privo di una base giuridica che legittimi il trattamento automatizzato dei dati biometrici per il riconoscimento facciale a fini di sicurezza, realizzerebbe per come è progettato una forma di sorveglianza indiscriminata/di massa».

In aprile era stata pubblicata la bozza di regolamento per l’intelligenza artificiale proposta dalla Commissione europea. Tra le altre cose, dice che il riconoscimento facciale negli spazi pubblici è proibito, ma lascia aperte alcune possibilità: può essere utilizzato per la ricerca di vittime di un reato o nel caso della ricerca di bambini scomparsi, per prevenire attacchi terroristici e per individuare i criminali, senza però spiegare con precisione quali siano i limiti di utilizzo da parte delle forze dell’ordine.

Il 21 giugno il Comitato europeo per la protezione dei dati (EDPB) e il Garante europeo della protezione dei dati (EDPS) avevano chiesto alla Commissione europea di vietare qualsiasi uso delle sorveglianze biometriche negli spazi pubblici, sostenendo che mettesse a rischio i diritti e le libertà.

Anche alcune aziende hanno scelto di non voler più utilizzare il riconoscimento facciale: all’inizio di novembre Facebook ha annunciato di voler rinunciare alla tecnologia introdotta nel 2010 che permetteva di identificare i volti nelle foto e nei video e che era da tempo al centro di notevoli polemiche per le sue implicazioni sulla privacy. L’intelligenza artificiale alla base di questa tecnologia consentiva, per esempio, di suggerire automaticamente a chi pubblicava una foto di taggare le persone presenti nell’immagine.