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  • Lunedì 22 novembre 2021

Perché alcuni ricercatori stanno occupando il CNR

Sono precari da anni, nel 2018 hanno vinto un concorso per un incarico a tempo indeterminato, ma dopo tante promesse sono ancora in bilico

(Twitter/Precari Uniti)
(Twitter/Precari Uniti)

Venerdì 19 novembre alcuni ricercatori precari hanno iniziato l’occupazione della sede nazionale del CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, il principale ente pubblico che si occupa di ricerca, per protestare contro la mancata assunzione di 400 ricercatori interni che a dicembre rischiano di rimanere senza lavoro. La protesta si svolge nella sede centrale del CNR, a Roma, in piazzale Aldo Moro: di giorno i manifestanti sventolano striscioni sulle scale d’ingresso, di notte presidiano le stanze delle segreterie sindacali. È un’occupazione simbolica, non violenta; un tentativo di farsi ascoltare dopo anni di proteste e manifestazioni per chiedere un contratto a tempo indeterminato.

I 400 ricercatori precari attendono un’assunzione dal 2017, cioè da quando fu approvata la cosiddetta legge Madia, pensata per rimediare al notevole ricorso di contratti a termine nei centri di ricerca pubblici. La legge consentì di bandire un concorso e assumere 1.070 ricercatori precari nella pubblica amministrazione. Dopo il concorso e le relative graduatorie, ne fu assunta solo una piccola parte. In 700 rimasero esclusi in attesa di nuovi finanziamenti che arrivarono in parte nel 2019, quando vennero assunti 104 precari, e nel luglio 2020 quando ne vennero assunti altri 104. Sono rimasti del tutto esclusi 400 ricercatori, tutti del CNR, che nonostante abbiano vinto il concorso ancora oggi non sono stati regolarizzati.

All’inizio di agosto i 400 ricercatori, riuniti nella sigla “Precari uniti CNR”, organizzarono un presidio per chiedere certezze alla presidente del CNR Maria Chiara Carrozza, che aveva assicurato di voler iniziare una trattativa per la loro stabilizzazione.

Il 22 settembre i rappresentanti dei ricercatori precari sono stati ricevuti dai componenti del Consiglio di amministrazione del CNR, che li hanno rassicurati in merito alle assunzioni. Altre promesse, poi disattese, sono arrivare l’11 ottobre dal nuovo direttore generale dell’ente, Giuseppe Colpani, che durante un incontro con una rappresentanza dei ricercatori precari ha annunciato di avere a disposizione 33 milioni di euro per l’assunzione di personale, di cui 23 milioni di euro stanziati dal decreto Rilancio approvato nel giugno 2020.

Sembrava che fosse solo una questione di tempo: invece il 17 novembre, durante un tavolo tecnico tra i sindacati e il direttore generale Colpani, quest’ultimo ha spiegato che sarebbero state assunte solo 60 persone entro la fine dell’anno con un investimento di 3,3 milioni di euro, e che nel 2022 saranno stabilizzati altri ricercatori grazie a un ulteriore fondo da 10 milioni di euro. «Non solo questi soldi non bastano, ma il vero problema è che le graduatorie del concorso a cui abbiamo partecipato nel 2018 scadono a dicembre», spiega Lorenzo Marconi, ricercatore precario del CNR di Firenze. «Dal CNR dicono che le graduatorie potrebbero scadere il prossimo anno, insieme alla legge Madia. Ma è una loro interpretazione: non ci sono certezze, così come al momento non abbiamo la sicurezza dei 10 milioni che saranno ufficiali solo quando verrà approvata la legge di Bilancio».

Nell’annunciare il presidio permanente nella sede del CNR, i sindacati Flc Cgil, Fir Cisl e Uil Rua hanno definito la scelta dell’ente «immorale, assurda, incomprensibile e inaccettabile». «Il nuovo corso guidato da Maria Chiara Carrozza e da Giuseppe Colpani si sta assumendo la grave responsabilità di mandare a casa più di 400 tra ricercatori e tecnologi, in attesa da anni di assunzione a tempo indeterminato», si legge nel comunicato che ha annunciato la protesta. «Il più grande ente di ricerca pubblico del paese di fatto lascia senza lavoro quasi 400 lavoratrici e lavoratori che da anni e anni, senza alcuna tutela, contribuiscono al prestigio dell’ente».

L’occupazione simbolica della sede del CNR è stata programmata almeno fino al 30 novembre, quando verrà confermata l’assunzione di soli 60 ricercatori precari, come comunicato dal direttore generale. Il rischio principale di questa gestione è che sia necessario un nuovo concorso e i 400 attuali precari debbano lasciare il posto ad altri ricercatori che attendono un contratto stabile. «Avrebbero potuto dirci subito, nel 2018, che non saremmo stati assunti con un contratto a tempo indeterminato», dice Marconi. «Tre anni fa mi sarei rifatto una vita, invece ci hanno fatto aspettare, illudendoci. Ora ho più di 40 anni, come moltissimi altri colleghi precari, e sarà tutto più difficile».