Il governo ha approvato il documento che prepara la legge di bilancio

Parla di una possibile riduzione delle tasse e, tra le altre cose, rinvia al 2023 la plastic tax e la sugar tax

(ANSA/ UFFICIO STAMPA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO/ FILIPPO ATTILI)
(ANSA/ UFFICIO STAMPA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO/ FILIPPO ATTILI)

Nella serata di martedì il Consiglio dei ministri ha approvato il “Documento Programmatico di Bilancio” (DPB), un documento che viene inviato ogni anno verso la metà di ottobre alla Commissione Europea da tutti i paesi membri dell’Unione per avere una valutazione delle politiche economiche di ogni stato.

Il documento contiene l’entità delle spese e delle entrate che il governo stima per l’anno successivo, ma non le misure che intende intraprendere, che invece saranno contenute nella legge di bilancio. La destinazione delle spese e dei tagli alle entrate (e quindi anche alle tasse) è ogni anno oggetto di agitazione nelle maggioranze di governo, e lo è a maggior ragione quest’anno in cui il governo è sostenuto da una maggioranza che va dalla sinistra alla destra.

Nel relativo comunicato stampa, il sito del governo non menziona il valore complessivo delle misure contenute nel documento, ma i principali giornali italiani scrivono che dovrebbe valere circa 23 miliardi di euro, una cifra pari a circa l’1,2% del PIL italiano, e che circa 8 miliardi dovrebbero essere destinati al taglio delle tasse, chiesto in questi giorni in particolare da Forza Italia. I dettagli di queste misure saranno affrontati nei prossimi giorni in vista della presentazione in Parlamento della legge di bilancio, ma il DPB anticipa alcuni dei principali provvedimenti su cui la maggioranza ha già trovato un accordo.

Il disegno di legge contenente queste misure dovrà essere sottoposto al Parlamento: mentre verrà discusso da Camera e Senato, la Commissione Europea esaminerà il DPB per verificare che sia in linea con le politiche europee di bilancio. In caso contrario potrà chiederne una revisione entro il 30 novembre.

Per quanto riguarda le misure fiscali, nel comunicato è scritto che «si prevede un primo intervento di riduzione degli oneri fiscali», «il taglio dal 22% al 10% dell’Iva su prodotti assorbenti per l’igiene femminile» e, tra le altre cose, «il rinvio al 2023 della plastic tax e della sugar tax». Una delle principali misure contenute nel DPB riguarda il Reddito di cittadinanza, che era stato il provvedimento simbolo del Movimento 5 Stelle durante gli anni al governo con Conte.

Il comunicato del governo dice che nel “Documento Programmatico di Bilancio” «il livello di spesa del Reddito di cittadinanza viene allineato a quello dell’anno 2021, introducendo correttivi alle modalità di corresponsione e rafforzando i controlli».

Il rifinanziamento per il 2022 del reddito di cittadinanza era tra le questioni più discusse tra i partiti nei giorni scorsi. Nel “decreto fiscale” approvato la scorsa settimana il governo aveva stanziato 200 milioni di euro per rifinanziare la misura fino alla fine dell’anno «a fronte dell’andamento delle richieste», e diversi esponenti della Lega, compreso il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, si erano espressi in maniera molto contraria. Nella legge di bilancio per il 2022 la misura dovrebbe essere rivista con una riduzione dell’importo del sussidio al secondo rifiuto di un’offerta di lavoro proposta al beneficiario.

L’altra importante materia di discussione era la possibilità di includere nella manovra di fine anno una nuova riforma del sistema pensionistico, così da sostituire la “quota 100” – intesa come somma di anni d’età e di contributi – con una “quota 102”. Nel comunicato stampa il governo non entra nel dettaglio e si limita a dire che nel DPB «vengono previsti interventi in materia pensionistica, per assicurare un graduale ed equilibrato passaggio verso il regime ordinario, e si dà attuazione alla riforma degli ammortizzatori sociali».

– Leggi anche: I dilemmi della destra dopo le amministrative

“Quota 100” era stata approvata in via sperimentale, con una durata massima di tre anni, nel gennaio del 2019 durante il primo governo guidato da Giuseppe Conte, appoggiato dalla Lega e dal Movimento 5 Stelle. La riforma consentiva di andare in pensione a chi aveva compiuto almeno 62 anni di età e versato almeno 38 anni di contributi (100 anni in tutto, per l’appunto).

La riforma era stata voluta soprattutto dalla Lega, che vi aveva investito buona parte del suo capitale politico negli anni al governo insieme al Movimento 5 Stelle. Ma durante il secondo governo Conte, con l’uscita della Lega e l’ingresso del Partito Democratico nella maggioranza, la riforma non era stata rinnovata.

Il prossimo 31 dicembre scadrà quindi il termine entro il quale i lavoratori potranno maturare i requisiti per usufruire di “quota 100”, e dal primo gennaio 2022 tornerebbe in vigore il precedente sistema pensionistico, quello introdotto dalla cosiddetta Legge Fornero nel 2011, che prevede che si possa conseguire la pensione dopo aver compiuto 67 anni. Quella riforma fu contestata negli anni successivi da un po’ tutti i partiti, e la prospettiva che torni in vigore è stata fortemente criticata in questi giorni soprattutto dal leader della Lega Matteo Salvini, che nel frattempo è di nuovo nella maggioranza.

La soluzione che secondo le anticipazioni sta studiando il governo è la cosiddetta “quota 102”, che prevede che si possa andare in pensione con 38 anni di contributi e 64 anni d’età (per un totale di 102 anni, e non più di 100). Sarebbe comunque una soluzione transitoria e rimarrebbe in vigore per due anni: non c’è ancora un accordo tra i partiti al riguardo, e in particolare la Lega insiste che sia necessaria una maggiore flessibilità per accedere alla pensione già a partire dai 62 anni di età.