Un’altra canzone dei Pearl Jam

E il racconto di un maldestro weekend scozzese

(Mike Coppola/Getty Images)
(Mike Coppola/Getty Images)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
In mezzo a Glasgow, tra il centro tradizionale e la zona vivace del West End, c’è una collina che “dominerebbe” la città se solo fosse un po’ più alta: però è per metà circondata da un grande parco e sulla sua sommità ci sono le case ricche ed eleganti della città, con enormi bovindi e Porsche parcheggiate fuori (una Rolls Royce, anche). Intorno, a sbirciare tra le fronde degli alberi, si intravedono limitati squarci del panorama della città, e le costruzioni dell’università vicina. Soltanto trent’anni fa gli alberi erano meno alti e folti, e si vedeva molto di più: un fotografo ligure che era immigrato in Scozia con la sua famiglia quando era bambino, Oscar Marzaroli, fece da lì una bella ed esemplare foto della città verso sud, grigia e brumosa, con uno dei tanti puntali delle chiese cittadine che svetta al centro, e da una parte la gru dismessa di Finnieston sul fiume, un simbolo della città. Nel 1987 Marzaroli era piuttosto famoso come fotografo della città e non solo (sarebbe morto l’anno dopo a 55 anni) e la band dei Deacon Blue scelse quella foto per la copertina del suo primo disco, chiamato – inevitabilmente, dirà qualunque visitatore anche occasionale di Glasgow- Raintown.
Siccome quel disco è un pezzo grosso dei miei vent’anni, venerdì sono salito a Park Circus a cercare quella veduta (un’altra volta che ero andato, tre anni fa, ne avevo prodotto un’imitazione farlocca in tutt’altro posto della città). Ma niente, troppi alberi, e se ne intravedono solo dei pezzetti, ora.

Non è che fossi a Glasgow per fare una foto da fan adolescente, se vi state chiedendo questo. Come alcuni ricorderanno – che ne scrissi tempo fa per condividere qui la mia curiosità di ricominciare ad andare ai concerti – avevo i biglietti per un concerto. Non dei Deacon Blue, per cui tornerò a Glasgow a dicembre (è la loro città, i loro concerti lì sono uno spettacolo), ma degli ancora più vetusti Genesis: i biglietti li avevo comprati ormai due anni fa, prima della pandemia, poi c’erano stati rinvii di questo tour “finale”, Phil Collins è assai malconcio, e insomma non avevo grandi aspettative. Era un po’ come andare a trovare i nonni, per affetto.
E insomma, venerdì le porte del concerto avrebbero aperto alle sei del pomeriggio, e ora erano le quattro e io mi aggiravo con l’iPhone in mano tra le Porsche e le chiome degli alberi, una signora scaricava la spesa con sua figlia dalla Range Rover, uno scoiattolo attraversava la strada. E l’iPhone tintinna ed è un messaggio di Francesca dal Post, che aveva fatto un giro di controllo delle mail, compresa una che avevo indicato quando avevo comprato i biglietti dei Genesis: «Ciao Luca, guarda la mail. Non vorrei aver capito male».

Mi siedo su una panchina, bella vista sul parco, e guardo la mail.
“Following guidance and advice from the Government, it is with huge regret that the final four shows of Genesis’ Last Domino? Tour (this evening (8/10) at The SSE Hydro and 11, 12, 13 October at The O2 in London) have had to be postponed due to positive COVID19 tests within the band”.
Ma è stato un piacevole weekend scozzese: memorabile.
Sabato Adele ha fatto una diretta su Instagram e ha fatto ascoltare un altro pezzetto della canzone che esce venerdì.
Scusate, il video della scena di MASH che era linkato nella newsletter di giovedì non funzionava più: qui ce n’è un’altra copia.
Cinquant’anni fa uscì Imagine di John Lennon: ci ha sfinito peggio che Yesterday, ma era una gran canzone. Qui la fa masticando una cicca e con una divisa da baseball, con Yoko Ono al bongo e Stan Bronstein (credo) al sassofono.
Damon Albarn ha messo su YouTube qualche video del suo spettacolo al Globe (il Globe di Shakespeare) a Londra di tre settimane fa (compresa This is a low dei Blur).
Per non correre i rischi dei Genesis, i Marillion hanno proposto ai fan di contribuire a una specie di assicurazione che copra la band dai possibili annullamenti del tour.

Thumbing my way
Pearl Jam

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I have not been home since you left long ago
I’m thumbing my way back to heaven
Countin steps walking backwards on the road
I’m counting my way back to heaven

Avrei potuto aspettare qualche mese per usare una canzone il cui verso migliore – uno dei loro migliori – è “per quanto freddo sia stato l’inverno, ci aspetta una primavera”: e forse c’è qualcosa di speciale nell’idea di uscire dall’inverno, se un concetto simile, leggermente anticipato, è dentro la bellissima A long december dei Counting crows (“è stato un dicembre lungo, ma è facile immaginare che l’anno che viene sarà meglio di quello passato”). Avrei potuto aspettare, dicevo, ma le canzoni vengono quando vengono.

Questa è una delle più belle canzoni dolci dei Pearl Jam, che ne hanno fatte più di quante si pensi, loro che sono la rock band delle rock band: e di cui ho scritto meglio l’altra volta, un anno e mezzo fa. È del 2002, parla di qualcuno che abbiamo perso, ed è una faticaccia uscirne. Certo, passerà, un giorno alla volta.

No matter how cold the winter, there’s a springtime ahead

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