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  • Sabato 2 ottobre 2021

Due Parigi-Roubaix come non ce ne sono mai state

Quella maschile, a più di 900 giorni dalla precedente e in condizioni temibili, e quella femminile, che è proprio la prima

di Gabriele Gargantini

(Bryn Lennon/Getty Images)
(Bryn Lennon/Getty Images)

Da ormai diversi decenni quando si parla di ciclismo su strada si presuppone che la strada sia fatta di asfalto. Ci sono però alcune corse che devono parte della loro fama al fatto che parte delle loro strade non sia asfaltata. Tra queste la più illustre, ostile e affascinante è senza alcun dubbio la Parigi-Roubaix, grazie ai suoi settori in pavé.

A causa della pandemia, l’edizione del 2020 della Parigi-Roubaix non si fece, e quella del 2021 – in origine prevista ad aprile – è stata rimandata al 3 ottobre. L’ultima Parigi-Roubaix si corse nell’aprile 2019 e quella di domenica sarà quindi la prima dopo oltre 900 giorni.

Sarà anticipata, sabato, dalla prima edizione femminile di sempre della Parigi-Roubaix, una corsa la cui versione maschile esiste da 125 anni. Per l’una e per l’altra, ci sono una serie di ragioni per cui chi è appassionato di ciclismo non vede l’ora che inizino. C’entrano: l’autunno e le foglie che cadono, una vecchia guardia che potrebbe essere all’ultimo ballo e un paio di portentosi giovani talenti, il vento e la pioggia, la memoria storica e la memoria collettiva, e un po’ anche le barbabietole da zucchero.

(Bryn Lennon – Velo/Getty Images)

La gara maschile della corsa, così famosa che basta dire dove arriva per parlarne (“la Roubaix”), sarà lunga un po’ più di 257 chilometri, oltre 50 dei quali sul pavé. È anche nota come “l’inferno del Nord” e si corre nel nord della Francia, vicino al Belgio. È una corsa unica e incomparabile perché le pietre che compongono il suo pavé sono grandi, irregolari e distanti tra loro, e perché ce ne sono più che in ogni altra corsa. E sebbene le biciclette da corsa usate alla Roubaix siano appositamente modificate per adattarsi alle sue asperità (le aziende fanno gran vanto di una vittoria alla Roubaix, perché se una bici da corsa ha resistito e vinto lì, allora resisterà ovunque), restano per l’appunto biciclette da corsa, fatte per andare su asfalto e non – a oltre quaranta chilometri orari – su pietre sconnesse.

Per tradizione, già dalla prima edizione del 1896 la corsa si tiene ad aprile, a chiusura di quella che nel ciclismo (che talvolta si fa un po’ prendere la mano con nomi e locuzioni) è nota come “la settimana santa”. Aprile, per il ciclismo, è un mese in cui si corre molto nel nord dell’Europa continentale, e chi punta alla Roubaix ha quindi modo di prepararsi su terreni simili (ma non uguali, perché come quelli della Roubaix altrove non ce ne sono). Quest’anno i ciclisti arrivano invece alla Roubaix dopo aver corso Olimpiadi e Mondiali, Giro d’Italia e Tour de France: dopo tutta una stagione di gare invece che, come era sempre stato, al suo inizio.

È il primo motivo per cui ci si aspetta una gara aperta, di difficile lettura: si può dire chi è sembrato in forma e chi no, ma è difficile prevedere chi potrà essere in forma sul pavé.

Un altro motivo per cui è particolarmente attesa è che quello che successe trenta mesi fa, alla Roubaix del 2019 vinta dal belga Philippe Gilbert, è un termine di paragone troppo lontano nel tempo per risultare attendibile. Da allora nel ciclismo sono cambiate parecchie cose. Si sono infatti definitivamente affermati due grandissimi atleti, entrambi provenienti dal ciclocross: il belga Wout Van Aert e l’olandese Mathieu van der Poel, quest’anno alla sua prima Roubaix. Insieme a qualche altro loro quasi coetaneo, rappresentano quella che qualcuno ha definito una “generazione di fenomeni”. In questa Roubaix se la vedranno però con un po’ di corridori che hanno superato i trent’anni e che, come nel caso di Gilbert, sono ormai a un passo dai quaranta.

In una gara in cui l’esperienza conta davvero, sarà interessante vedere quello che VeloNews ha descritto come uno «scontro fra generazioni» in cui «i vecchiacci delle pietre» (quelle che formano il pavé) potrebbero ancora dire la loro. Per chi sì è distratto negli ultimi anni, lo slovacco Peter Sagan fa ormai parte di questa seconda categoria.

(Jeff Pachoud/Pool via AP)

C’è poi un altro fattore determinante da considerare, da cui dipende il fatto che un buon numero di appassionati di ciclismo negli ultimi giorni era più interessato a seguire le previsioni meteo del nord della Francia che a guardare che tempo faceva fuori dalla finestra. Ci sono infatti buone possibilità che domenica, dalle parti di Roubaix, piova. E se le pietre del pavé sono già ostiche e scombussolanti da asciutto, figuratevi se piove.

Per quanto strano possa sembrare, visto che il nord della Francia non è propriamente quel che si dice una zona arida, sulla Parigi-Roubaix non piove in modo rilevante dal 2002, quando vinse Johan Museeuw (il “leone delle Fiandre”, che oggi ha 55 anni). Oltre al fastidio che la pioggia può dare – specie se fa pure un po’ freddo e se, come dicono le previsioni, dovesse esserci vento – c’è da considerare l’effetto dell’acqua sui cubetti irregolari che formano il pavé. Potrebbero diventare scivolosi, viscidi e sporchi. Le buche potrebbero riempirsi di acqua, le biciclette e le facce coprirsi di fango.

(AP Photo/Michel Spingler)

Come ha scritto Inrng, la corsa del 2002 è così lontana che «nel gruppo attuale di corridori manca la memoria collettiva su come gestire la faccenda». Non significa che i corridori non sappiano cosa fare, di certo però potrebbero trovarsi in condizioni mai viste prima su quel tipo di superficie, visto che – ancora una volta – il pavé e certe stradine fangose della Roubaix non sono pienamente paragonabili a nessun’altra superficie. Quando non piove e laddove possibile, una tattica per correre sul pavé consiste nel destreggiarsi per stare sul poco spazio sterrato a bordo strada, senza pavé. Se piove, quello spazio rischia però di diventare persino peggio.

Oltre alla pioggia c’è poi l’autunno. E autunno vuole dire, tra le altre cose, strade con più muschio e vegetazione (Roubaix a parte, su alcuni di quei tratti di pavé non ci va quasi nessuno) e possibile presenza di foglie (sempre per quella cosa dei nomi, il Giro di Lombardia, la classica autunnale per eccellenza, è anche noto come “La classica delle foglie morte”). Quindi: possibili foglie umidicce su pavé bagnato, magari inframezzato da erbacce e contornate di fango.

Non tutti i tratti saranno così: alcuni sono infatti in mezzo ai campi, ben lontani da qualsiasi foglia. Ma alcuni potrebbero esserlo: per esempio la foresta di Arenberg. Di cui, sebbene sia a un centinaio di chilometri dall’arrivo, l’ex ciclista francese Alain Bondue disse: «se la inizi dopo la 24ª posizione, hai già perso». E di cui il sito britannico Cyclist ha scritto:

«La superficie di quei 2,4 chilometri può essere descritta solo come violenta. È come un pugno in faccia. Non solo in faccia. […] Quando ne esci è come riprendere a respirare. Di colpo ti ricordi di nuovo come si guida una bicicletta, una competenza che eri convinto di aver dimenticato fino a poco prima».

(Bryn Lennon/Getty Images)

Certi tratti di pavé della Parigi-Roubaix sopravvivono quasi solo in funzione della corsa, e grazie al grande lavoro di tutela e manutenzione fatto dall’associazione “Les Amis de Paris-Roubaix”. Alcuni altri tratti in pavé o su strada sterrata della Roubaix sono invece usati da trattori diretti o provenienti dai campi.

(AP Photo/Michel Spingler)

(AP Photo/Michel Spingler)

Nel ciclismo, uno sport che dipende profondamente dalle superfici su cui si svolge e dai contesti in cui ha luogo, correre a ottobre anziché ad aprile comporta alcune conseguenze. Come fa notare Inrng, «uno dei prodotti coltivati in quell’area è la betterave, la bietola. In particolare la barbabietola da zucchero. Ed è periodo di raccolta». Cosa che implica che in questi giorni molti mezzi agricoli abbiano probabilmente percorso e infangato alcune di quelle strade.

Tutte queste considerazioni tra il meteorologico e l’etnografico valgono pari pari anche per la prima Parigi-Roubaix femminile della storia. Che si correrà sabato, il giorno prima della gara maschile, e che – come ha detto la britannica Lizzie Deignan – «sarebbe stato meglio se fosse arrivata molto molto tempo fa».

La Roubaix femminile sarà lunga 115 chilometri e avrà 17 tratti in pavé: non ci sarà la foresta di Arenberg, ma ci sarà l’altrettanto temibile Carrefour de l’Abre. Visto che non si è mai corsa una Parigi-Roubaix femminile prima d’ora e visto che di gare come la Parigi-Roubaix non ce ne sono, è davvero difficile dire chi potrebbe vincerla. «Le pietre della Roubaix non si possono confrontare con nient’altro», come ha detto l’olandese Chantal van den Broek-Blaak, dopo averci fatto una ricognizione. «Prevedere l’esito della prima Parigi-Roubaix femminile è come prevedere i numeri vincenti della lotteria», ha scritto Cycling Tips. Riesce comunque piuttosto facile aspettarsi una corsa aperta, vivace e movimentata sin dai primi chilometri: visto che non capita tutti i giorni, nel 2021, di vedere il proprio nome alla primissima riga dell’albo d’oro di una corsa storica e unica come la Parigi-Roubaix.

Una gara che, tra l’altro, arriva in effetti a Roubaix: nell’altrettanto storico velodromo, con le sue a loro volta storiche docce.

(Bryn Lennon/Getty Images)

Una gara che però, da ormai molto tempo, non parte più da Parigi. Quella maschile partirà da Compiègne, quella femminile da Denain.

– Leggi anche: Sei milioni di pietre per vincerne una