L’ennesima vita degli Sparks

“La band preferita della vostra band preferita” da mezzo secolo cambia di continuo, rimanendo venerata da pochi e ignorata da molti: ora ha fatto un musical ed è protagonista di un documentario

Russell e Ron Mael, gli Sparks, in un concerto prima della proiezione di “Annette” a Hollywood, nell'agosto 2021. (AP Photo/Chris Pizzello)
Russell e Ron Mael, gli Sparks, in un concerto prima della proiezione di “Annette” a Hollywood, nell'agosto 2021. (AP Photo/Chris Pizzello)
Caricamento player

«In tutti questi anni in cui ho fatto musica, se sei in tour su un pullman con altri musicisti a un certo punto la conversazione arriva agli Sparks» dice il cantante Beck all’inizio di The Sparks Brothers, un documentario al cinema in questi giorni. Si riferisce a un duo americano che dagli anni Settanta a oggi ha influenzato innumerevoli musicisti, è stato oggetto di grande culto tra gli appassionati di pop e rock degli anni Settanta e Ottanta e di frequenti celebrazioni della critica, rimanendo sempre perlopiù sconosciuto al grande pubblico.

Gli Sparks sono “la più grande band che non conoscete”, come ha scritto BBC, oppure “la band preferita della vostra band preferita”, come dice uno degli slogan di The Sparks Brothers, che è stato diretto da Edgar Wright (regista di Hot Fuzz e Baby Driver) e il cui titolo gioca sul fatto che Ron e Russell Mael, i due componenti, sono effettivamente fratelli ma non si chiamano Sparks di cognome, come pensano in molti. Negli oltre cinquant’anni di carriera sono cambiati innumerevoli volte, alternando momenti di popolarità – soprattutto in Europa – ad altri di sostanziale irrilevanza, mantenendo una nicchia di grandi fan e deludendone molti altri man mano.

Nel frattempo hanno saputo imbarcarne di nuovi in ogni decennio che hanno attraversato, l’ultima volta nel 2015 quando fecero un disco insieme ai Franz Ferdinand, e di nuovo adesso che è uscito il documentario e soprattutto che uscirà Annette, un musical del regista francese Leon Carax con Adam Driver e Marillon Cotillard che ha aperto l’ultimo Festival di Cannes, scritto e musicato dagli Sparks.

Gli Sparks cominciarono negli anni Sessanta facendo glam rock, e da allora hanno pubblicato in tutto 25 dischi, il primo nel 1971 e l’ultimo l’anno scorso, uno dei quali è considerato tra i primissimi album di pop elettronico della storia. Qualche anno fa decisero di suonarli tutti dal vivo – erano 21, in quel momento – uno per sera, in una lunga residency alla Carling Academy di Londra. Una cosa da pazzi – erano circa 270 canzoni –, l’ennesima della loro carriera.

Le loro facce strane – Russell, il cantante, belloccio; Ron, il tastierista, sempre serio e un po’ alieno – il loro gusto per la teatralità scenica, i loro testi spiazzanti e spassosi, la loro prolificità ed ecletticità, hanno ispirato negli anni moltissime band, da quelle di pop da classifica come i Duran Duran a quelle del post-punk e della new wave, fino ai Queen che ne ripresero l’aspetto operistico. Quando i Joy Division stavano registrando “Love Will Tear Us Apart”, racconta nel documentario l’ex batterista Stephen Morris, ascoltavano solo due dischi: il Greatest Hits di Frank Sinatra e No. 1 in Heaven, l’album prodotto da Giorgio Moroder con cui nel 1979 gli Sparks anticiparono i suoni del decennio successivo.

Ron e Russell Mael sono entrambi californiani, anche se da subito furono scambiati per inglesi, per estetica e per sensibilità musicale, più vicine a quelle di gente come David Bowie e Marc Bolan che a quelle di moda nel rock americano degli anni Sessanta. Il loro primo successo arrivò non a caso quando nel 1973, dopo le prime registrazioni americane, furono convinti a trasferirsi a Londra e a presentarsi come duo. Kimono My House, forse il loro disco più famoso e compiuto, uscì nel 1974 e andò benissimo, grazie a una copertina misteriosa e affascinante e al singolo “This Town Ain’t Big Enough For the Both of Us”.

La musica e l’estetica degli Sparks erano strane e attraenti, la componente pop era affiancata da elementi di provocazione e di sperimentazione, come del resto succedeva spesso nella musica inglese di quegli anni. L’immagine di Ron Mael, serissimo alla tastiera con dei baffi che ricordavano quelli di Charlie Chaplin ma anche quelli di Adolf Hitler, rimase impressa a chiunque li vide nella loro prima apparizione alla trasmissione di BBC Top of The Pops, con cui raggiunsero il massimo della popolarità. Qualche anno dopo, Ron sarebbe stato imitato da Paul McCartney nel suo video di “Coming Up”, insieme a gente come Buddy Holly e Frank Zappa.

Per qualche anno gli Sparks furono famosissimi, macinarono concerti su concerti e pubblicarono quattro dischi in tre anni, di successo decrescente. Ma già allora dimostrarono di non saper stare troppo fermi nello stesso posto: si spostarono così su sonorità più spiccatamente americane, un po’ simili a quelle proposte dai Kiss, ma non funzionò moltissimo.

Nel frattempo, il pop veniva stravolto da Donna Summers e dalla sua “I Feel Love”, cantata su un tappeto di sintetizzatori mai sentito prima di allora e inventato da un produttore nato in Val Gardena, Moroder. I fratelli Mael in un’intervista dissero che anche loro stavano lavorando con lui, mentendo: la giornalista lo scoprì, perché era amica del produttore, ma finì per presentarglieli. Ne uscì No. 1 in Heaven, un disco uscito negli anni Settanta che conteneva i suoni del pop dei dieci anni successivi.

Quello che fecero gli Sparks in quegli anni di sintetizzatori e drum machine ebbe un forte impatto sulla new wave, la musica un po’ elettronica, un po’ pop e un po’ punk che suonavano gruppi come i New Order, i Cure e i Depeche Mode. Gli Sparks ebbero un nuovo momento di grande fama, a dieci anni dal primo, ma dopo una serie di dischi decisero di cambiare di nuovo, e produssero una serie di canzoni e album con cui provarono a darsi al pop da classifica con risultati dimenticabili e dimenticati. Iniziò un periodo di scarsa ispirazione, in cui peraltro investirono molte energie nella progettazione di un musical ispirato al manga giapponese Mai la ragazza psichica, che avrebbe dovuto essere diretto da Tim Burton. Alla fine non se ne fece niente.

Tornarono nel 1994 con un disco che conteneva “When Do I Get to Sing ‘My Way’”, che si piazzò in classifiche in vari paesi europei: gli Sparks non sembravano invecchiati e sembravano avere di nuovo trovato delle cose da dire. Mollarono un po’ il ritmo, ma continuarono a pubblicare più o meno un disco ogni tre anni, senza mai sfondare davvero ma ricordando di tanto in tanto che ci sapevano ancora fare, e dando spettacolo nei molti concerti che nel frattempo continuavano a raccogliere nuovi fan più giovani.

Nel 2009 la radio pubblica svedese commissionò agli Sparks un musical con protagonista Ingmar Bergman, in cui si immaginava che il grande regista a un certo punto avesse ceduto alle tentazioni di Hollywood. Dopo il disco coi Franz Ferdinand (FFS) ne hanno fatti ancora altri due, Hippopotamus nel 2017 e Steady Drip, Drip, Drip nel 2020, entrambi andati piuttosto bene sia come vendite che come recensioni. Di Annette, che hanno anche sceneggiato, i critici hanno scritto che è prevedibilmente strano, un po’ pesante e confusionario, ma forse anche bellissimo. Pandemia permettendo, Ron e Russell Mael – che oggi hanno 75 e 72 anni – progettano di fare ora il loro tour più lungo di sempre negli Stati Uniti, e nel 2022 dovrebbero tornare anche in Europa.