Un’altra canzone di Jonathan Wilson

"Adesso sai che faccio? scrivo un altro verso, per tenerti con me"

(Jason Merritt/Getty Images)
(Jason Merritt/Getty Images)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Dopo il podcast, Springsteen e Obama ci hanno tirato fuori anche un libro, che esce il 26 ottobre.
C’è la shortlist del Mercury Prize, quello che vi dico sempre essere l’unico premio musicale con qualche criterio di qualità (anche se ha preso delle sbandate negli ultimi anni): tra quelli di cui abbiamo parlato qui di passaggio ci sono i Wolf Alice, i Sault, Arlo parks e Celeste.
E c’è un nuovo documentario (troppi documentari musicali da vedere: io conto sulle vacanze) sulla pretesa riedizione di Woodstock del ’99, che fu un disastro per molte ragioni.
La puntata di oggi di “Mike Bongiorno incontra una band degli anni Ottanta e dice a ognuna cose imbarazzanti facendovi rallegrare che quelli non capiscano l’italiano” vede come vittime i Depeche Mode.

Loving you
Jonathan Wilson

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In una newsletter del mondo di prima – era novembre 2019 – parlai di una canzone di Jonathan Wilson e di un suo disco dell’anno prima.

Lui si chiama Jonathan Wilson, è americano, ha già i suoi 45 anni e il suo rapporto principale con la musica è stato, negli ultimi quindici anni, mettere su un giro di amicizie, collaborazioni, invenzioni, concerti, con molti bravi musicisti soprattutto in California, dove vive: ha scritto e prodotto cose per Father John Misty, Conor Oberst, Bonnie “Prince” Billy, ma ha suonato pure nei dischi di Roger Waters, Elvis Costello, Erykah Badu e tanti altri. Da solo ha fatto sei dischi, e l’ultimo l’anno scorso, che è il disco che mi sono goduto di più in questi due anni (per me un bel disco è soprattutto un disco che è bello tutto): un po’ pop, un po’ progressive, un po’ fricchettone.

Quel disco era così bello tutto che risentendo Loving you nei giorni scorsi ho pensato che meritasse ve la mostrassi anche se in questi due anni e ormai quasi 400 canzoni avevo evitato di ripetere canzoni estratte da uno stesso disco: ma prima o poi doveva succedere.

Loving you
All I wanna do
I keep your picture on the wall
In the den of my mind

È una canzone che dice la cosa più semplice e piatta del mondo, ed è “che bello essere innamorati di te” (la seconda più semplice e piatta del mondo è “che triste non essere amati da te”), ma fa uno sforzo inventivo nei modi di dirlo, per esempio con una specie di “metafinzione” che è sempre divertente nelle canzoni: quando chi canta cita la canzone che sta cantando. Wilson dice “adesso sai che faccio? scrivo un altro verso, per tenerti con me”.

Oh complex you
I know just what I will do
I’ll simply write another verse of you
A melody to keep you inside
So deep inside

E poi c’è l’andamento monotono e insieme trascinante del pezzo, con la batteria elettronica e i vocalizzi di Laraaji che ricordano quello che faceva Lucio Dalla nei suoi migliori vocalizzi. Laraaji è un musicista americano che suona qualunque cosa, ha quasi ottant’anni, ed è stato sempre associato alla new age, pur avendo una versatilità che non deve far pensare alle derive più noiose e pigre della new age (la sua cosa più famosa è il disco Ambient 3 con Brian Eno).
Nel 2018 Wilson pubblicò anche la versione acustica della canzone, “da cui cominciò tutto“, e si vede come siano stati la batteria e Laraaji a risolvere la canzone, rimpiazzando la mancanza del refrain.


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