• Mondo
  • Giovedì 22 luglio 2021

Sono passati dieci anni dalla strage di Utøya

Il 22 luglio 2011 l'estremista di destra Anders Breivik uccise 77 persone a Oslo e sull'isola di Utøya, in uno degli attentati più gravi della storia recente d'Europa

Un bambino lascia un fiore su una banchina nei pressi dell'isola di Utøya (Jeff J Mitchell/Getty Images)
Un bambino lascia un fiore su una banchina nei pressi dell'isola di Utøya (Jeff J Mitchell/Getty Images)

Il 22 luglio 2011, 10 anni fa, alle 15.25 un uomo fece esplodere un’autobomba nella zona dei palazzi governativi di Oslo, la capitale della Norvegia. Poi salì su furgone, un Fiat Doblò grigio, si imbarcò su un traghetto e raggiunse la piccola isola di Utøya, non lontano dalla città. Nei settanta minuti successivi sparò a decine di persone, muovendosi indisturbato per l’isola. Esattamente tre ore dopo lo scoppio dell’autobomba una squadra delle forze speciali della polizia norvegese sbarcò a Utøya. Gli agenti trovarono un uomo armato con le mani alzate e i modi tranquilli. L’uomo si chiamava Anders Breivik, era un terrorista di estrema destra e aveva appena compiuto uno dei massacri più sanguinosi nella storia recente d’Europa.

(Jeff J Mitchell/Getty Images)

All’epoca Breivik aveva 32 anni e un passato un po’ difficile: da tempo non aveva rapporti con il padre, e i suoi tentativi di entrare nell’esercito e di trovare un lavoro stabile erano falliti.

Da adulto si era avvicinato a diversi movimenti e partiti di estrema destra, finendo per accogliere sconnesse tesi complottiste, razziste e misogine contro le minoranze etniche, i movimenti femministi, gli attivisti per i diritti civili e i partiti di sinistra, tutti obiettivi della retorica aggressiva dell’estrema destra europea. Nonostante Breivik non facesse mistero delle sue opinioni e della sua idea di cambiare il mondo con la violenza, non era mai stato segnalato alle autorità norvegesi come un estremista.

Fu per questo che durante gli anni precedenti alla strage riuscì ad accumulare una grande quantità di armi e a pianificare l’attacco in maniera indisturbata; e fu per questo che il giorno dell’attacco riuscì a spostarsi senza grossi problemi dal centro di Oslo a un’isola distante quaranta chilometri a bordo di un’auto piena di armi senza essere fermato da nessuno.

Una veduta aerea dell’isola di Utøya (AP Photo/Mapaid, Lasse Tur)

Breivik sbarcò a Utøya alle 17. Mezz’ora prima le persone sull’isola si erano radunate in un basso e ampio edificio per ricevere le notizie che arrivavano da Oslo. La maggior parte erano ragazzi e ragazze di meno di vent’anni che stavano partecipando a un campus estivo della Lega dei Giovani Lavoratori, un movimento giovanile associato al Partito Laburista norvegese, che come ogni estate si era radunato a Utøya per “fare gruppo” e progettare le attività dell’anno successivo.

La responsabile del campo era una donna di 45 anni che si chiamava Monica Bsei, e che i ragazzi chiamavano “mamma Utøya”. Ai ragazzi che si erano radunati nell’edificio basso e ampio, la mensa del campo, Bsei assicurò che nonostante quello che era successo a Oslo si trovavano «nel posto più sicuro in assoluto».

Bsei fu una delle prime persone a essere uccisa da Breivik, che arrivò sull’isola spacciandosi per un poliziotto mandato dal comando centrale a proteggere i ragazzi. Pochi minuti dopo averlo ricevuto alla banchina del traghetto, mentre si stavano dirigendo insieme verso la mensa, Breivik le sparò un colpo alla schiena e due colpi alla testa. Poi dedicò l’ora successiva a uccidere decine di ragazzi con le tre armi da fuoco che si era portato dietro: molti furono uccisi mentre tentavano di scappare o di nascondersi, altri mentre uscivano dalla doccia, in due morirono nel tentativo di lasciare l’isola a nuoto.Alcuni di loro si finsero morti, sperando che Breivik non li uccidesse: ma Breivik ne scoprì molti e sparò anche a loro.

Fra le 17.15 e le 18.25 Breivik uccise 69 persone. La più giovane aveva 14 anni, la più anziana 51. Più di 500 ragazzi e ragazze riuscirono invece a salvarsi gettandosi nelle acque gelide del lago Tyrifjorden, nuotando fino a riva oppure venendo soccorsi da turisti e gente del posto. Nei mesi seguenti in Norvegia si discusse molto dei ritardi e delle lentezze della polizia, che impiegò più di un’ora ad arrivare a Utøya nonostante fosse molto vicina a Oslo.

Un gruppo di ragazzi sopravvissuti alla strage viene evacuato dall’isola di Utøya (AP Photo/Morten Edvardsen/Scanpix)

Il processo a Breivik iniziò il 16 aprile 2012 e durò poco più di due mesi. Breivik non provò nemmeno a difendersi: durante le udienze del processo raccontò che il suo vero obiettivo era l’ex prima ministra laburista Gro Harlem Brundtland – che però aveva lasciato Utøya la mattina del 22 luglio – e fece richieste assurde, come quella di ottenere un ministero nel nuovo governo.

Breivik fu ritenuto colpevole della morte di 77 persone, fra cui 8 uccise dall’autobomba a Oslo. Il numero dei feriti fu enorme e difficilmente calcolabile: diverse stime indicano che furono più di 300. Breivik fu condannato a 21 anni di carcere, la pena massima per il sistema norvegese, che però prevede ulteriori pene per le persone che rimangono un pericolo per la società.

Negli anni successivi Breivik è diventato il punto di riferimento per numerosi terroristi di estrema destra in giro per il mondo. Il suo fu soltanto il primo di una serie di attentati, alcuni dei quali furono esplicitamente ispirati alle sue azioni, come il massacro avvenuto nel 2019 a Christchurch, in Nuova Zelanda.

«L’attacco al nostro campo non fu casuale», ha raccontato di recente Sindre Lysoe, una ragazza sopravvissuta alla strage che oggi è la segretaria della sezione giovanile del Partito Laburista norvegese: «Ci odiava per i nostri valori come l’apertura e l’inclusività nei confronti delle altre persone».