Una commissione interna indagherà su tutte le carceri dove ci sono state rivolte nel 2020, ha detto la ministra Marta Cartabia

La ministra della Giustizia Marta Cartabia mentre riferisce alla Camera dei deputati sui fatti avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, Roma, 21 luglio 2021 (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
La ministra della Giustizia Marta Cartabia mentre riferisce alla Camera dei deputati sui fatti avvenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, Roma, 21 luglio 2021 (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)

La ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha detto che una commissione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (il DAP, uno dei quattro dipartimenti in cui si divide il suo ministero) indagherà su tutte le settanta carceri dove ci sono state rivolte nel 2020. Durante la sua relazione alla Camera sui pestaggi avvenuti il 6 aprile dello scorso anno nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e condotti da agenti di polizia penitenziaria contro 300 persone detenute, Cartabia ha detto che «occorre un’indagine ampia, perché si conosca quello che è successo in tutte le carceri nell’ultimo anno dove la pandemia ha esasperato tutti». La ministra ha poi spiegato che la commissione ispettiva visiterà tutti gli istituti penitenziari dove si sono verificati «i gravi eventi del marzo 2020, per valutare la correttezza dei comportamenti delle guardie carcerarie».

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Con riferimento a quanto avvenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, Cartabia ha aggiunto che «stando alle immagini risulta che non fosse una reazione a una delle rivolte verificatesi nei mesi precedenti, non era una reazione necessitata da un’azione di rivolta ma è stata una violenza a freddo». Sulla vicenda stava indagando da tempo anche la magistratura, ma il tema è tornato di attualità in seguito alla diffusione dei video delle telecamere interne del carcere, pubblicati dal quotidiano Domani, che hanno mostrato in modo inequivocabile le violenze condotte su persone che non avevano modo e possibilità di difendersi.

Le rivolte erano iniziate a seguito delle misure prese dalle autorità carcerarie per limitare le diffusione del COVID-19, tra cui la sospensione delle visite dei familiari. Le tensioni prodotte si erano aggiunge a quelle precedenti derivanti dal problema strutturale del sovraffollamento, e dal fatto che nelle carceri non c’era la possibilità di “restare a casa”, come aveva detto di fare l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte firmando un DPCM a marzo.