Cosa fare della “Vela” di Calatrava a Roma

La grande struttura nella periferia est è abbandonata da anni, ma un progetto dell'Università di Tor Vergata vorrebbe recuperarla

di Mario Macchioni

La Vela di Calatrava fotografata nel 2019 (Fabio Gubellini)
La Vela di Calatrava fotografata nel 2019 (Fabio Gubellini)
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Percorrendo il tratto di autostrada che passa per la periferia orientale di Roma, a un certo punto in lontananza compare una sagoma che è difficile non notare. Avvicinandosi alla cosiddetta “Vela” di Calatrava si distingue una forma che ricorda la pinna di uno squalo, e una struttura composta da un suggestivo intreccio di travi metalliche bianche. A distanza non si capisce bene quale sia il suo scopo, ma dalla campagna incolta che la circonda si intuisce lo stato di abbandono.

La Vela fu progettata dall’architetto spagnolo Santiago Calatrava nei primi anni Duemila per conto dell’Università di Tor Vergata e doveva ospitare i Mondiali di nuoto del 2009, ma i lavori non vennero completati in tempo. Da allora è stata al centro di un ciclico dibattito a livello locale, incentrato su cosa fare di quella gigantesca struttura abbandonata, e riemerso in questi giorni per via di uno scambio tra il candidato sindaco Carlo Calenda – che sostiene che la Vela vada demolita – e il parlamentare del Partito Democratico Roberto Morassut, il quale invece è convinto che vada completata. A sostegno di questa seconda ipotesi c’è anche un progetto piuttosto concreto e dettagliato dell’Università di Tor Vergata.

La storia della Vela cominciò nel 2005, quando Tor Vergata avviò il progetto di un grande e innovativo polo sportivo e di ricerca. Dati gli imminenti Mondiali di nuoto, però, l’allora sindaco di Roma Walter Veltroni si accordò con l’università per ampliare il progetto e farne una “Città dello Sport” che comprendesse due palazzetti speculari (uno per gli sport acquatici e uno per il basket e la pallavolo) e un campus attrezzato tutto intorno. La grande struttura abbandonata che si vede oggi dall’autostrada avrebbe dovuto essere la copertura di uno dei due palazzetti, rimasta incompleta e priva dei pannelli in vetro opaco che avrebbero dovuto garantire una buona illuminazione all’interno. Dall’alto si vede bene la base di quella che doveva essere la seconda “Vela”, mai costruita.

La Vela dall’alto (Google Maps)

Il costo iniziale dei lavori era stato stimato in 60 milioni di euro, ma già al momento dell’assegnazione dell’appalto la stima venne raddoppiata, e tra il 2006 e il 2007 venne ulteriormente rialzata fino ad arrivare a 240 milioni di euro. Nel 2008 il neo-eletto sindaco Gianni Alemanno capì che i lavori non sarebbero terminati in tempo e spostò la sede dei Mondiali di nuoto alle strutture del Foro Italico, peraltro spendendo circa 50 milioni di euro per adeguarle. Nel 2011 i lavori per costruire la Città dello Sport ripresero per un breve periodo in vista di una possibile candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020, ma senza prospettive concrete per il completamento dell’opera e con una stima finale dei costi di 660 milioni di euro.

Come si sia arrivati all’abbandono di un’opera tanto estesa, peraltro progettata da un architetto di fama internazionale, rimane oggetto di discussione. Va detto che i progetti di Calatrava spesso risultano più complessi e costosi di quanto preventivato, talvolta anche problematici, come nel caso del ponte della Costituzione sul Canal Grande di Venezia. Ma nel caso della Vela, con ogni probabilità, hanno avuto un ruolo più rilevante il mancato controllo da parte del comune e lo scarso coordinamento tra l’amministrazione stessa, l’università e il consorzio di imprese incaricato dei lavori, guidato dal gruppo Vianini di proprietà della famiglia Caltagirone, nota per essere una delle più potenti della capitale in vari ambiti, dall’editoria all’edilizia.

L’interno del palazzetto mai costruito (Fabio Gubellini)

Secondo Morassut – che oltre a essere parlamentare fu assessore all’Urbanistica del comune di Roma tra il 2001 e il 2006 – la maggior parte delle responsabilità sono da imputare all’amministrazione di Alemanno, che si sarebbe disinteressata all’opera nel momento cruciale, e alle «incapacità di una politica e di una burocrazia intruglione e incapaci».

Tuttavia, la ragione principale per cui Calenda vorrebbe demolire la Vela non ha a che fare con le difficoltà burocratiche, ma con i soldi. In un tweet ha pubblicato una foto della Vela definendola «uno dei più mastodontici sprechi della storia», e in un video più argomentato ha sostenuto che l’unica cosa sensata sarebbe demolire l’opera e riutilizzare i materiali perché «ha costi di mantenimento assurdi e costi di completamento ancora più assurdi». Con i fondi destinati ai lavori, dice Calenda, sarebbe meglio costruire una stazione della metropolitana a Tor Vergata, che è sede di un importante polo universitario ma è collegata piuttosto male con il trasporto pubblico locale.

In realtà, secondo un gruppo di accademici e accademiche di Tor Vergata, demolire la Vela non sarebbe né economico né semplice. «L’area è immensa e per tirare su quella struttura si adottarono tecniche molto complicate» spiega Antonella Canini, che insegna botanica a Tor Vergata. «Diversi anni fa fu fatta una valutazione e il costo per smantellarla si aggira sui 200 milioni di euro». Canini si occupa da anni dell’area della Vela e ha diretto il gruppo di ingegneri, economisti e altri accademici che hanno lavorato a un dettagliato progetto per completarla.

Il nome del progetto è “Città della Conoscenza” e consiste nella realizzazione di un grande centro polifunzionale per la ricerca scientifica e per eventi «di divulgazione, intrattenimento e sportivi». Secondo l’analisi economica del gruppo di lavoro, il progetto si potrebbe sostenere da solo raggiungendo il punto di break even, cioè il pareggio tra costi sostenuti e ricavi, nel giro di tre anni, dopo un investimento che dovrebbe essere di circa 350 milioni di euro.

Gli spazi che dovevano essere dedicati agli atleti e alle atlete, sotto gli spalti della piscina (Fabio Gubellini)

Le risorse dovrebbero arrivare dalla Regione Lazio, che ha inserito la “Città della Conoscenza” tra i progetti prioritari da finanziare con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), attraverso cui il governo italiano riceverà i fondi europei del Recovery Fund. «Il progetto è una grande occasione» dice Canini. «Mette al centro temi contemporanei che anche l’Europa ci chiede e condivide, come la sostenibilità ambientale, l’economia circolare, la biodiversità». Il finanziamento di 350 milioni di euro comprende il completamento delle “Vele”, a cui vanno aggiunti altri 200 milioni per la realizzazione di una metropolitana leggera che collegherà Tor Vergata con le due fermate vicine della metro A (Anagnina) e della metro C (Torre Angela).

Canini e il gruppo di lavoro ritengono che se il progetto dovesse ricevere i finanziamenti potrebbe concludersi nel giro di due anni: «Le premesse ci sono, il progetto può utilizzare tutte le autorizzazioni precedenti e non servono nuovi permessi, perché si tratta di una riconversione. Ma siamo in Italia. Io comunque sono molto determinata e continuerò a lavorare».

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