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  • Mercoledì 14 luglio 2021

Lo scontro sul diritto di voto negli Stati Uniti

Se ne parla molto dopo un discorso arrabbiato di Joe Biden, e dopo l'azione plateale di un gruppo di deputati texani

I deputati Democratici texani durante una conferenza stampa a Washington (AP Photo/J. Scott Applewhite)
I deputati Democratici texani durante una conferenza stampa a Washington (AP Photo/J. Scott Applewhite)

Martedì sera il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha tenuto un discorso a Philadelphia per condannare le leggi approvate o in corso di approvazione in molti stati a maggioranza Repubblicana che limitano l’accesso al voto in diverse circostanze e per diverse categorie. Questi tentativi di limitare l’accesso al voto da parte dei Repubblicani sono al centro da mesi di un dibattito politico molto agguerrito negli Stati Uniti: Biden l’ha definito «la più importante prova della nostra democrazia dai tempi della Guerra civile».

La questione ha avuto anche un risvolto spettacolare in Texas, stato a maggioranza Repubblicana dove 57 deputati Democratici locali hanno lasciato lo stato lunedì notte e sono atterrati con due voli non di linea a Washington, con l’intento di far venir meno il quorum necessario al Congresso texano e impedire l’approvazione di una delle leggi elettorali più restrittive e antidemocratiche – almeno secondo i membri del Partito Democratico – che è in discussione in questi giorni.


Il dibattito sul diritto di voto è cominciato negli scorsi mesi, dopo che numerosi stati a maggioranza Repubblicana, dando credito alle false accuse di brogli fatte dall’ex presidente Donald Trump dopo le ultime elezioni presidenziali, avevano cominciato ad approvare leggi che in teoria avrebbero dovuto rendere più difficili i brogli. Secondo i Democratici, però, queste leggi in realtà riducono notevolmente l’accesso al voto per le fasce più povere della popolazione e per i gruppi di persone che tradizionalmente sostengono il Partito Democratico alle elezioni, come per esempio gli afroamericani.

Ormai sono più di dieci gli stati che hanno approvato leggi simili o che, come il Texas, intendono farlo a breve. Ciascuna legge ha caratteristiche diverse, ma in generale le misure limitano o rimuovono diverse possibilità di accesso al voto, come il voto via posta (che viene quasi sempre molto ridotto) o come l’uso di buche delle lettere speciali che facilitano il voto; riducono l’assistenza che può essere fornita agli elettori, sia prima sia durante il voto (in Georgia, dove è stata approvata una delle leggi più restrittive, è vietato dare cibo e acqua alle persone in fila per votare, che spesso possono rimanere lì anche ore) e vengono richiesti più documenti di identificazione per votare in alcune circostanze (rendere più complicata la burocrazia di solito scoraggia gli elettori afroamericani).

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In molti stati, come in Georgia e, se la legge sarà approvata, in Texas, le leggi prevedono inoltre che il controllo di diversi enti amministrativi che gestiscono l’organizzazione delle elezioni sia affidato al partito che in quel momento controlla lo stato. Il New York Times ha scritto che in Georgia, dopo l’approvazione della legge, il Partito Repubblicano ha cominciato a rimuovere dalle commissioni elettorale di diverse contee i commissari afroamericani e Democratici. In precedenza, la composizione delle commissioni era decisa da entrambi i partiti.

I Democratici hanno reagito a queste leggi con grande indignazione. Joe Biden in più di un’occasione, compreso il discorso di martedì, ha detto che le leggi approvate dagli stati assomigliano alle cosiddette leggi “Jim Crow”, che dopo l’abolizione della schiavitù permisero la segregazione razziale negli stati del sud tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

Il problema per loro è che le contromisure sono relativamente poche: in tutti gli stati in cui queste leggi sono state approvate o stanno per esserlo i Repubblicani hanno maggioranze molto solide. I Democratici possono provare a rallentare la loro approvazione con emendamenti e altri espedienti, ma non possono bloccarle.

Il più drastico di questi espedienti è stata la decisione dei deputati Democratici texani di lasciare lo stato. Lo hanno fatto dopo che, la settimana scorsa, il governatore Repubblicano Greg Abbott aveva indetto una sessione speciale del Congresso texano apposta per approvare la legge sulle limitazioni al diritto di voto (e altre sgradite ai Democratici, come per esempio forti limitazioni alla partecipazione di eventi sportivi universitari per gli studenti transgender) e i Repubblicani nel fine settimana avevano smaltito in tempi rapidissimi i lavori preliminari in commissione per poter approvare la legge il prima possibile.

In teoria non è obbligatorio lasciare lo stato per far venire meno il quorum al Congresso texano: già due mesi fa i Democratici erano usciti dall’aula per bloccare il voto, ma si erano limitati a lasciare l’edificio del Congresso, ad Austin, per riunirsi in una chiesa non lontana. I deputati Democratici, assieme ad alcuni senatori, sono però volati a Washington per due ragioni. Anzitutto per non essere costretti a partecipare ai lavori d’aula: dopo la loro partenza, infatti, martedì i Repubblicani rimasti nel Congresso texano hanno votato una mozione per costringere i colleghi assenti a tornare, «se necessario in stato di arresto».

Le regole del Congresso texano prevedono in effetti che, se il resto dell’aula vota in questo senso, i membri del Congresso assenti ingiustificati possano essere arrestati e portati in aula per garantire il quorum. Le forze dell’ordine statali però non possono fare nulla se gli assenti si trovano in un altro stato, come nel caso dei deputati Democratici.

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I deputati e senatori texani sono andati a Washington anche per cercare di sbloccare il dibattito sul diritto di voto a livello federale. L’unico modo efficace per evitare che gli stati Repubblicani limitino in maniera considerevole l’accesso al voto è l’approvazione di una legge federale che garantisca il diritto di voto e che obliteri la legislazione statale. I Democratici hanno presentato ben due disegni di legge di questo tipo, il “For the People Act” e il “John Lewis Voting Rights Advancement Act”, dedicato al famoso attivista per i diritti civili morto l’anno scorso.

Entrambi sono passati facilmente alla Camera, dove i Democratici hanno un’ampia maggioranza, ma il For the People Act è stato bloccato al Senato perché i Repubblicani hanno messo in atto una pratica di ostruzionismo chiamata filibustering, che impone che per approvare una legge sia necessaria una maggioranza di 60 senatori su 100. In Senato, la maggioranza dei Democratici è risicatissima (ci sono 50 senatori Democratici e 50 Repubblicani, e il Partito Democratico riesce ad avere la maggioranza soltanto grazie al voto della vicepresidente Kamala Harris) e dunque è impossibile superare l’ostruzionismo dei Repubblicani senza un accordo. Dopo il blocco del For the People Act, i Democratici hanno evitato di presentare l’altro disegno di legge per timore di un’altra bocciatura.

Negli scorsi mesi all’interno del Partito Democratico c’è stato un dibattito molto acceso sulla possibilità di eliminare o cambiare le regole del filibustering, che soprattutto secondo l’ala sinistra del partito (ma anche secondo molti deputati texani, per dire) è l’unico modo per consentire l’approvazione delle leggi in difesa del diritto di voto e altre importanti riforme dell’amministrazione Biden. Ma molti esponenti più moderati del partito sono contrari all’eliminazione o a una rimodulazione pesante del filibuster, e stanno bloccando le iniziative legislative in questo senso.

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Anche Biden sembra incerto sul tema. Durante il suo discorso di martedì è stato durissimo contro i Repubblicani che stanno limitando il diritto di voto («Non vi vergognate?», ha chiesto a un certo punto) e ha esortato il Congresso ad approvare il For the People Act e il John Lewis Voting Rights Advancement Act. Ma, pur sapendo che i lavori sono bloccati a causa del filibustering, non si è espresso sulla possibilità di eliminare o riformare questa pratica, lasciando delusi molti osservatori progressisti.

Nel frattempo, i deputati texani sostengono di essere pronti a rimanere a Washington fino al 7 agosto, quando scadrà la sessione legislativa speciale della durata di un mese. Tuttavia Greg Abbott, il governatore Repubblicano, ha già detto che è pronto a indirne un’altra ancora, se sarà necessario per approvare la legge.