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  • Venerdì 2 luglio 2021

Il comandante ribelle che ha cacciato l’esercito etiope dal Tigrè

Tsadkan Gebretensae ha guidato la sorprendente avanzata dei ribelli verso la capitale Macallè, stravolgendo gli equilibri della guerra

Tsadkan Gebretensae
Tsadkan Gebretensae

Questa settimana le Forze di difesa del Tigrè (TDF), coalizione che riunisce i ribelli antigovernativi della regione settentrionale etiope, hanno avviato una sorprendente offensiva militare per riprendere il controllo di Macallè, la capitale regionale che era stata conquistata dall’esercito etiope lo scorso novembre. La riconquista di Macallè è stata accompagnata dal rapido e frettoloso ritiro dell’esercito etiope, mascherato dal governo federale del primo ministro Abiy Ahmed dietro a un cessato il fuoco unilaterale.

Le ricostruzioni di quanto successo sono incomplete e parziali, a causa dell’assenza di giornalisti e osservatori internazionali nel Tigré, e dell’interruzione di tutte le comunicazioni verso l’esterno. Anche per questo gli ultimi sviluppi sono stati accolti con estrema sorpresa. In pochi si aspettavano che i ribelli, sconfitti rapidamente lo scorso novembre e costretti a rifugiarsi sulle montagne, avessero le capacità per riorganizzarsi, avviare una nuova operazione militare e riprendersi Macallè, costringendo al ritiro i soldati di due eserciti diversi: quello etiope, che aveva iniziato la guerra per estromettere dal governo regionale i ribelli, e quello eritreo, che era poi intervenuto a fianco degli etiopi.

«Quando verrà scritta la storia dell’ultima guerra civile etiope, le battaglie di giugno potranno essere raccontate come una delle più grandi vittorie ottenute da un gruppo ribelle negli ultimi anni» ha scritto l’Economist commentando quanto successo.

Uno dei personaggi centrali per capire gli ultimi eventi è il generale tigrino Tsadkan Gebretensae, che ha guidato la ribellione. Gebretensae, che ha 68 anni, è forse il militare più noto in Etiopia e uno dei migliori strateghi militari della sua generazione in tutta l’Africa. La storia di Gebretensae è molto particolare, e per certi versi è emblematica dei complicati rapporti che hanno caratterizzato tigrini e resto del paese per decenni.

Gebretensae si unì al Fronte popolare di liberazione del Tigrè (TPLF) nel 1976, dopo avere lasciato il suo corso di laurea in biologia all’Università di Addis Abeba. Oggi il TPLF è il principale partito politico della regione del Tigrè, lo stesso che ha guidato l’ultima ribellione, ma allora era solo una piccola fazione formata da poche centinaia di guerriglieri che volevano destituire il regime marxista di Menghistu Haile Mariam, che governò l’Etiopia fino al 1991. Già alla fine degli anni Ottanta, ha scritto l’analista Alex de Waal, Gebretensae era però diventato uno dei più rispettati comandanti tigrini e il TPLF era arrivato a includere più di 100mila soldati. A maggio del 1991 il TPLF guidato da Gebretensae, alleato con l’esercito eritreo, riuscì a conquistare Addis Abeba, rovesciando il regime di Menghistu.

Gebretensae istituì una sede temporanea in una guesthouse vicino all’hotel Hilton della capitale: «Fu allora che il generale Tsadkan dormì in un letto con le lenzuola per la prima volta in 15 anni», ha scritto Alex de Waal.

Durante gli anni che seguirono, il potere in Etiopia fu detenuto proprio dal TPLF, tra le proteste e i malcontenti delle altre etnie del paese, molto più numerose dei tigrini ma meno rappresentate nel governo nazionale (i tigrini sono il 6% di tutta la popolazione etiope). A Gebretensae fu attribuito il rango di generale e gli fu dato il compito di ricostruire l’esercito federale dell’Etiopia. Anche tra le forze armate, come era successo con il governo, le cariche principali furono destinate a membri dell’etnia tigrina, che furono così in grado di sviluppare enormi competenze in campo militare, diventate utilissime nel pianificare l’ultima ribellione.

Alla fine degli anni Novanta, durante la guerra che l’Etiopia combatté contro l’Eritrea, Gebretensae si confermò uno stratega militare abile e competente, ma la sua vicinanza con il governo federale non durò molto. Nel corso del conflitto, infatti, Gebretensae si scontrò con altri leader militari tigrini sulla strategia da seguire, oltre che con l’allora primo ministro Meles Zenawi, di cui era anche chief of staff, capo di gabinetto. Dopo la fine dei combattimenti, Meles lo licenziò. Gebretensae iniziò a fare una vita da civile, avviando tra le altre cose un birrificio e un’attività di orticoltura nella provincia di Raya, nel sud del Tigrè.

Ritornò a essere coinvolto in faccende pubbliche solo dopo l’elezione di Abiy Ahmed, primo ministro etiope dal 2018, che a differenza dei capi di governo che l’avevano preceduto non è tigrino: è oromo, una delle etnie più marginalizzate del paese.

Forse per senso di rivalsa nei confronti dei leader tigrini che l’avevano scaricato, Gebretensae si disse disponibile a collaborare con il nuovo governo, ma anche questa volta non durò molto. Quando il sentimento antigovernativo cominciò a crescere nella regione del Tigrè, parallelamente alle istanze separatiste della regione, Gebretensae tornò a Macallè; e quando iniziò la guerra tra esercito federale etiope e forze separatiste tigrine, lo scorso novembre, si unì ai ribelli mettendo da parte le precedenti divisioni.

Un guerrigliero del TPLF vicino alla città di Hawzen (AP Photo/Ben Curtis, File)

Gebretensae fu messo da subito a capo delle Forze di difesa del Tigrè (che includono anche non membri del TPLF) e ne assunse il comando centrale: non riuscì a fermare la prima offensiva dell’esercito federale etiope, aiutato da quello eritreo, e lui e gli altri guerriglieri delle TDF furono costretti a rifugiarsi nelle montagne, lasciando la possibilità al governo di Abiy di dichiararsi vincitore della guerra.

A metà giugno però, dopo quattro mesi passati tra le montagne del Tigrè ad addestrarsi e riorganizzarsi sotto la guida di Gebretensae e di altri leader militari ribelli, le TDF sono riuscite – inaspettatamente per tutti – a contrattaccare, costringere alla fuga i soldati etiopi ed eritrei e riconquistare Macallè. I dettagli di come i ribelli siano riusciti a compiere un’operazione di questo tipo ancora non sono stati raccontati, anche per il rifiuto del governo di Abiy di ammettere la sconfitta e di fare una descrizione accurata e veritiera sui rapporti di forza oggi esistenti nel Tigrè.

Nonostante la riconquista di Macallè, non sembra però che la guerra si possa dichiarare conclusa. Come ha scritto il New York Times, «le forze ribelli sembrano avere poco appetito per una tregua» e hanno mostrato di stare valutando la possibilità di avviare un’operazione militare nella vicina Eritrea, con l’obiettivo di anticipare qualsiasi ulteriore futuro attacco dei soldati eritrei nel Tigrè. La guerra potrebbe allargarsi ulteriormente, aggiungendosi alle terribili violenze già compiute negli ultimi mesi dalle parti belligeranti contro i civili.