La nuova, pavida politica agricola europea
È stata concordata fra Parlamento e Consiglio ma gli ambientalisti sostengono che abbia gli stessi problemi strutturali di sempre
Venerdì il Parlamento Europeo e i governi nazionali rappresentati dal Consiglio dell’Unione Europea hanno fatto un accordo sulla nuova Politica Agricola Comune (PAC), il principale strumento europeo che regola i sussidi per le aziende agricole, che in tutto rappresenta circa un terzo del bilancio pluriennale dell’Unione. L’accordo sarà ratificato lunedì nell’assemblea del Consiglio in cui saranno presenti i ministri dell’Agricoltura dei 27 paesi membri.
L’accordo trovato ha stabilito le modalità con cui verranno erogati 270 miliardi di euro fra il 2023 e il 2027, cioè nella seconda parte del bilancio pluriennale iniziato nel 2021 (fino al 2022 saranno in vigore accordi transitori approvati l’estate scorsa). Il compromesso è stato giudicato molto deludente sia dal partito dei Verdi sia dalle associazioni ambientaliste. Persino il vicepresidente della Commissione Europea con delega al Green Deal, Frans Timmermans, lo ha giudicato «imperfetto», anche se ne ha sottolineato i punti positivi.
Le principali novità riguardano i cosiddetti “ecoschemi”, cioè la percentuale dei fondi collegata a pratiche di agricoltura giudicate sostenibili. Il Parlamento Europeo chiedeva di vincolare almeno il 30 per cento dei fondi, il Consiglio partiva da una quota inferiore al 20 per cento. Il compromesso è stato trovato a metà strada al 25 per cento, anche se gli ambientalisti hanno criticato la presenza di un meccanismo che consente ai paesi che non spendono tutti i fondi legati all’agricoltura sostenibile di usarli per altri scopi, meno vincolati.
Un altro elemento nuovo rispetto al passato, che peraltro non era presente nella proposta della Commissione ed è stato inserito soprattutto su spinta del gruppo del Partito Socialista Europeo, è la cosiddetta condizionalità sociale: dal 2025 i fondi potranno essere erogati soltanto alle aziende che rispettino alcuni parametri sui diritti dei lavoratori imposti dall’Unione (dal 2023 i paesi potranno cominciare ad adeguarsi ai nuovi parametri in maniera volontaria).
Le principali critiche al compromesso riguardano il fatto che l’accordo non ha risolto i problemi strutturali della PAC: per esempio la scarsità di vincoli con cui viene erogata la maggior parte dei finanziamenti, e il rischio che questi vengano distribuiti secondo logiche clientelari da parte dei governi nazionali, come accaduto di recente per esempio in Ungheria e Repubblica Ceca, oppure ottenuti da aziende già ricche e molto poco sostenibili.
Per decenni i sussidi all’agricoltura hanno occupato la maggior parte del bilancio dell’Unione Europea e dei suoi antenati. Gli obiettivi erano diversi, fra cui soprattutto facilitare la transizione verso settori industriali più remunerativi – come il terziario, ormai dominante in tutti i paesi occidentali – e rendere quasi autosufficienti i paesi europei dal punto di vista agricolo e alimentare. Rispetto agli anni Ottanta i sussidi sono via via diminuiti, ma occupano ancora una parte rilevante del bilancio dell’Unione Europea, soprattutto grazie alle influenti e rumorose lobby nazionali degli agricoltori.
Nel 2018 circa il 38 per cento del bilancio comunitario è stato destinato all’agricoltura: si parla di 58,53 miliardi di euro, di cui 14,3 per varie misure di sviluppo e 41,4 di sussidi diretti, distribuiti direttamente agli agricoltori a seconda della grandezza dei terreni posseduti. L’Unione Europea si limita a controllare che nelle loro attività le aziende beneficiarie rispettino alcuni laschi criteri di sostenibilità ambientale, come lasciare il 4 per cento dei terreni arabili a disposizione della flora e della fauna locali.
Questa modalità genera due tipi di problemi: per prima cosa, avvantaggia decisamente i grandi proprietari terrieri, consolidando le distanze con i piccoli e i medi agricoltori: secondo EuFactCheck circa il 20 per cento degli agricoltori più ricchi riceve mediamente l’80 per cento dei fondi europei dedicati all’agricoltura. La seconda stortura è che dato che il giudizio riguarda l’intera azienda, l’Unione non fa alcuna domanda su come vengano spesi di preciso i finanziamenti comunitari. Anche nel nuovo compromesso, il 75 per cento dei fondi sarà poco vincolato.
In sede di negoziato il Parlamento Europeo aveva spinto inoltre per allineare la PAC al Green Deal europeo, la serie di misure pianificate dalla Commissione Europea per rendere più sostenibili e meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia e lo stile di vita dei cittadini europei. Il compromesso finale sulla PAC però non contiene alcun vincolo esplicito: Euractiv fa notare che i riferimenti al Green Deal si limitano a un documento laterale, mentre non c’è alcun accenno agli articoli veri e propri del compromesso.
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In sede di Consiglio un po’ tutti i paesi si sono detti contrari a misure più ambiziose, forti anche di una promessa ottenuta dalla precedente Commissione, guidata da Jean-Claude Juncker, di avere maggiore controllo sulle politiche agricole. Il parlamentare europeo Martin Häusling, negoziatore-ombra della PAC per i Verdi, ha criticato i governi nazionali e il Consiglio per avere «concesso troppe deroghe» agli agricoltori, e aggiunto di essere rimasto molto deluso per la scarsa ambiziosità dimostrata anche dalla Commissione Europea.