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  • Martedì 22 giugno 2021

L’invenzione dei bungalow sull’acqua

Le versioni moderne delle palafitte sono state rese celebri dai resort turistici delle Maldive, ma furono ideate da tre americani

Un bungalow sull'acqua all'isola di Moorea, nella Polinesia Francese (Frank May/ ANSA)
Un bungalow sull'acqua all'isola di Moorea, nella Polinesia Francese (Frank May/ ANSA)

Sono tra i simboli di isole tropicali come quelle dell’arcipelago delle Maldive, nell’oceano Indiano, ma i bungalow sospesi sull’acqua – in inglese “overwater bungalow” – non furono inventati dalle popolazioni autoctone. L’idea di costruire stanze d’albergo sulle palafitte – che gli esseri umani costruiscono da migliaia di anni – nacque invece da tre americani che nel 1959 si erano trasferiti nella Polinesia Francese con tutt’altri piani. Nei decenni successivi questo tipo di bungalow è stato copiato e reso celebre da strutture turistiche di lusso sparse in giro per il mondo, e di recente ha ispirato anche la realizzazione di case e residenze di lusso da decine di milioni di dollari.

I tre americani erano l’agente di borsa Jay Carlisle, l’avvocato Hugh Kelley e il venditore Donald McCallum. Erano andati nella Polinesia Francese con l’idea di mettere in piedi un’azienda agricola per la produzione di vaniglia, ma quando capirono che quel piano non sarebbe andato da nessuna parte si buttarono sul turismo, sfruttando la nuova popolarità che stava avendo l’arcipelago dell’oceano Pacifico grazie all’inaugurazione dell’aeroporto internazionale della sua isola principale, Tahiti, aperto nel 1960.

L’idea di costruire stanze di albergo su delle palafitte che dessero direttamente sulla laguna e fossero collegate alla riva attraverso una passerella a sua volta sospesa sull’acqua venne in particolare a Kelley.

I tre avevano comprato alcune proprietà trasformandole in hotel stravaganti chiamati Bali Hai, come una delle canzoni principali del musical South Pacific del 1949, che era ambientato su un’isola fittizia. Decisero quindi di provare a costruire tre stanze su palafitte in una zona lagunare dell’isola di Ra’iatea, che si trova circa 200 chilometri a nord-ovest dell’isola di Tahiti, e di affittarle alle coppie per 30 dollari a notte (che oggi potrebbero corrispondere a circa 225 euro). Il successo di queste particolari stanze d’albergo fu immediato: gli “overwater bungalow” diventarono la caratteristica tipica degli hotel dei tre americani e contribuirono a costruire l’immagine della Polinesia Francese come meta ideale per le vacanze su splendide e remote isole tropicali.

Carlisle, Kelley e McCallum furono soprannominati i “Bali Hai Boys” e la loro idea innovativa e di enorme successo fu copiata e riprodotta in tutto il mondo.

Carlisle, che oggi ha 86 anni ed è l’unico dei tre ancora vivo, ha raccontato al New York Times che le stanze sui bungalow sospesi a Ra’iatea erano a due passi dalla barriera corallina: l’unico lato negativo è che non c’era una spiaggia, ma gli ospiti potevano tuffarsi per fare snorkeling oppure pescare direttamente dalla loro camera, come per esempio faceva una coppia californiana che alla fine della giornata condivideva il bottino con lo staff dell’albergo.

Oggi la struttura di Ra’atea che ospitava i primissimi bungalow sospesi sull’acqua è chiusa, ma la figlia di Kelley, Vaihiria, allora bambina, ha detto di ricordare che bastava spostare un tavolino nella stanza per dar da mangiare direttamente ai pesci che nuotavano sotto le palafitte: il padre le aveva detto di immaginare che quella fosse «la televisione di Tahiti».

Un resort turistico composto da bungalow costruiti sull’acqua a Bora Bora, nell’oceano Pacifico (Wikimedia)

I bungalow creati dagli americani avevano comunque alcuni problemi: per esempio, potevano essere danneggiati da uragani o forti mareggiate, e inoltre era stato necessario studiare un sistema di tubature che passasse sotto le passerelle per evitare di smaltire le acque di scarico nelle lagune. In più, Kelley ha spiegato che in alcune isole la loro realizzazione aveva provocato le proteste delle popolazioni locali, perché non facevano parte del paesaggio autoctono; in altre invece erano state accolte relativamente bene perché non erano molto diverse dalle capanne rudimentali che i pescatori costruivano nelle zone lagunari per ripararsi dal sole e conservare il pesce pescato all’ombra.

A ogni modo, nei decenni successivi l’architettura dei bungalow sospesi sull’acqua si è evoluta e si è espansa in tutto il mondo, in particolare alle Maldive, dove secondo il sito overwaterbungalows.net si trova circa il 60 per cento delle 225 strutture che offrono più di 8mila stanze con questo tipo di sistemazione. Ci sono resort con bungalow sospesi sull’acqua anche in Europa, per esempio a Creta, e a Mauritius, al largo delle coste orientali del Madagascar, nell’oceano Indiano.

Il New York Times ha raccontato che da quando cinque anni fa ha iniziato a offrire questo tipo di sistemazione anche un prestigioso resort di Montego Bay, in Giamaica, i bungalow sull’acqua si sono diffusi in molte altre strutture in diversi paesi dei Caraibi: cosa che ha portato le autorità locali a introdurre nuove leggi per regolamentarne la costruzione e valutare attentamente il loro impatto ambientale sull’ecosistema.

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L’idea originale dei Bali Hai Boys ha influenzato anche l’architettura residenziale, e in particolare la realizzazione di ville e case da milioni di dollari con elementi che si protendono nell’acqua o che sono pensate per essere costruite sopra lagune o bacini d’acqua artificiali, dalla California al Messico.

Il progetto più costoso che prende spunto dai bungalow sospesi sull’acqua della Polinesia Francese è quello delle “Floating Seahorse homes” di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, che fa parte dell’arcipelago di isole artificiali chiamato “The World” per via della sua forma che ricorda vagamente la forma del mondo. Queste “case galleggianti” da quattro o cinque camere da letto hanno una superficie complessiva di circa 370 metri quadrati, e oltre a permettere di vivere praticamente sull’acqua hanno anche due stanze che si trovano sotto il livello del mare. 72 delle 133 “case galleggianti” che dovrebbero essere costruite nell’ambito del progetto sono già state vendute: ciascuna di loro costa 20 milioni di euro.