La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la pena detentiva per i giornalisti condannati per diffamazione, salvo casi eccezionali

Il Palazzo della Consulta sede della Corte Costituzionale a Roma (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
Il Palazzo della Consulta sede della Corte Costituzionale a Roma (ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)

La Corte Costituzionale ha esaminato le questioni sollevate dai tribunali di Salerno e di Bari sulla legittimità costituzionale della pena detentiva prevista per la diffamazione a mezzo stampa e ha dichiarato illegittimo l’articolo 13 della legge sulla stampa del 1948, che finora determinava obbligatoriamente «la reclusione da uno a sei anni in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato».
È stato invece ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595 del Codice penale, che «prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa». Quest’ultima norma – spiega la Consulta in un comunicato – consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva soltanto i casi di eccezionale gravità.

La Corte ha sottolineato inoltre che «resta peraltro attuale la necessità di un complessivo intervento del legislatore, in grado di assicurare un più adeguato bilanciamento – che la Corte non ha gli strumenti per compiere – tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione».
Sono problemi che aveva già sollevato un anno fa: il 9 giugno del 2020, infatti, aveva dato al Parlamento 12 mesi di tempo per riscrivere le norme sulla diffamazione. I dodici mesi, però, sono nel frattempo scaduti.